Estorsione, peculato, trasferimento fraudolento di valori,  violazione della pubblica custodia di cose e sottrazione di cose sottoposte a sequestro, commessi con l’aggravante del metodo e della finalità mafiosi, attraverso la gestione illecita di un’impresa che continuavano a gestire nonostante provvedimenti di sequestro e confisca.
Questi i reati per i quali dalle prime luci dell’alba numerose unità di polizia giudiziaria del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, della Squadra Mobile della Questura di Messina e del Commissariato di P.S. di Barcellona Pozzo di Gotto, hanno dato esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Gip del Tribunale di Messina su richiesta della Distrettuale antimafia, nei confronti di 15 persone, quasi tutti barcellonesi che fanno capo alla famiglia Ofria. Un carcere14 indagati mentre una persona si trova ai domiciliari.
L’impresa che gestivano nonostante le confische
La misura cautelare si fonda su un quadro di gravitĂ indiziaria, raccolto nel corso di svariati mesi per effetto di articolate indagini, coordinate dalla Procura di Messina-Direzione Distrettuale Antimafia, che ha diretto le investigazioni affidate al Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, alla Squadra Mobile della Questura di Messina e al Commissariato di Barcellona Pozzo di Gotto. Gli elementi acquisiti hanno disvelato l’esistenza e la operativitĂ di una ben articolata compagine delinquenziale, di matrice mafiosa, dedita ai delitti, di estorsione, peculato, trasferimento fraudolento di valori,  violazione della pubblica custodia di cose e sottrazione di cose sottoposte a sequestro, commessi con l’aggravante del metodo e della finalitĂ mafiosi, attraverso la gestione illecita di un’impresa, con sede a Barcellona Pozzo di Gotto, nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, smaltimento di rifiuti speciali e demolizione dei veicoli. L’impresa, a sua volta, era giĂ destinataria di diversi provvedimenti giudiziari di sequestro e confisca, divenuti definitivi, all’esito di procedimenti penali e di misure di prevenzione antimafia. In particolare, all’esito delle indagini giĂ coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Messina, il 16 giugno del 2011, era stato disposto il sequestro, dal Gip di Messina, della medesima azienda, cui aveva fatto seguito un primo provvedimento di confisca da parte del G.U.P., nel primo grado di giudizio, in data 31 ottobre 2012, confermato dalla Corte d’ Appello di Messina il 28 ottobre 2014 e nuovamente confermato, dopo il ricorso in Cassazione e un giudizio di legittimitĂ costituzionale, dalla medesima Corte di Cassazione, in data 11 giugno 2018.
I provvedimenti giudiziari
Ulteriore e distinto provvedimento di confisca era stato disposto in data 11 giugno 2014 anche dal Tribunale di Messina-Sezione Misure di Prevenzione, nell’ambito del procedimento di prevenzione, su proposta della Direzione distrettuale antimafia di Messina, con provvedimento ablativo, confermato dalla Corte d’Appello in data 3 novembre 2016 e, poi, dalla Corte di Cassazione il 6 luglio 2017. Sin dal primo provvedimento di sequestro, la ditta era stata affidata all’amministrazione di un commercialista, nominato amministratore giudiziario nel mese di giugno 2011. I citati provvedimenti giudiziari avevano riconosciuto la riconducibilitĂ dell’impresa alla cosiddetta “famiglia mafiosa barcellonese”, essendo stata gestita da un noto pregiudicato per reati di mafia, figlio della titolare intestataria dell’impresa, ritenuto esponente apicale, attualmente detenuto, dovendo scontare una pena definitiva proprio per il reato di cui all’art. 416-bis cp.
La ditta affidata a un commercialista “asservito”
Tuttavia, nonostante i diversi provvedimenti di sequestro e confisca, le attivitĂ di indagine hanno messo in luce un inquietante quadro fenomenico, riflettente la posizione dominante del medesimo capo mafia barcellonese, nella gestione dell’attivitĂ imprenditoriale sottrattagli, per effetto dell’intervento di decisioni giudiziarie, divenute definitive; e ciò pur a fronte di una amministrazione giudiziaria formalmente insediata da piĂą di 13 anni per la gestione dell’impresa. Gli elementi indiziari raccolti, allo stato, consentono di ritenere che lo stesso, quale esponente di vertice della cosca mafiosa locale dei barcellonesi  -cui l’impresa è strettamente collegata per le attivitĂ criminali strumentali alle finalitĂ dell’organizzazione medesima –  abbia gestito, quale “titolare di fatto”, l’impresa sottoposta ad amministrazione giudiziaria. Secondo quanto emerso nel corso delle indagini, ciò sarebbe stato reso possibile anche grazie ai comportamenti dell’amministratore giudiziario, pressochĂ© completamente asservito al potere mafioso del clan, nei cui confronti avrebbe manifestato riverenza e compiacenza, omettendo l’adempimento dei doveri correlati all’esercizio delle sue funzioni.
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Più nel dettaglio, l’attività investigativa ha consentito di ricostruire il modus operandi degli indagati al fine di creare illeciti guadagni, attraverso la vendita di pezzi di ricambio usati senza il prescritto titolo fiscale e lo smaltimento di rifiuti non censiti; tutto ciò grazie alla ritenuta complicità dell’amministratore giudiziario e di alcuni dipendenti, alcuni dei quali impiegati presso la ditta da oltre vent’anni.
Gli elementi di prova raccolti hanno, infatti, disvelato come l’impresa sarebbe stata utilizzata, anzitutto, quale strumento di illecito arricchimento, attraverso la quotidiana, continua appropriazione del denaro, non contabilizzato, dalle casse; conseguendo, in tal modo, il risultato della percezione, agli occhi della comunitĂ , di un’organizzazione mafiosa in grado di gestire un’azienda, nonostante ben due provvedimenti di confisca e relativa amministrazione giudiziaria. Situazione, questa, che avrebbe consentito agli indagati di porre a segno condotte estorsive sia nei confronti del personale dipendente ritenuto non “affidabile” e per questo motivo allontanato dall’azienda, che nei confronti di altri imprenditori operanti in settori commerciali affini, avvalendosi, a tal fine, della “simbolica” presenza, quotidiana, del pregiudicato al vertice del clan e di tutti i suoi familiari, nei locali dell’impresa.
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