Incidente, uno spiacevole fatto inatteso da non usare come scusa

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di Paolo Fallai

Eredità latina, come il fratellastro accidente, è perfetto per una disputa o una deviazione. Meno per gli scontri stradali dove ci distrae troppo dalle responsabilità

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Ci sono alcune parole che ci sono indispensabili per definire situazioni di cui ci piacerebbe tanto fare a meno. E per di più le usiamo talmente spesso da farci cadere anche in qualche equivoco. Una delle più importanti di questo tipo è senz’altro incidente.

Qui cade sempre qualcosa. Letteralmente incidente è il participio presente del verbo incidere, che abbiamo ereditato direttamente dal latino, composto da càdere (cadere) col prefisso in-. Qualcosa di tagliente, visto che porta alla formazione di parole come incisione o ai significati del verbo incidere. Da quelli concreti (tagliare in modo netto, produrre un incavo nella superficie), a quelli figurati (Le spese scolastiche incidono sul bilancio familiare, l’ingresso delle riserve ha inciso in modo decisivo sul risultato). Della stessa famiglia, con destini diversi, il verbo latino accidere, composto sempre da càdere (cadere) ma stavolta col prefisso ad-. Abbiamo quindi qualcosa che “cade sopra”, una sfortunata evenienza. Nella nostra lingua accidere non ha avuto grande fortuna, fatta eccezione per il participio presente, accidente, perfetto per indicare una evenienza sfortunata subìta o da augurare (ti venisse un accidente!). Quindi i nostri due termini incidente e accidente non sono sinonimi ma fratellastri senza dubbio. E incaricati di rappresentare una costellazione di imprevisti di cui faremmo volentieri a meno. Accidenti!

Considerazione emotiva. Le parole hanno un carattere che suscita emozioni contrastanti. Parlando di incidente (ma anche del fratellastro accidente) non c’è dubbio che si portano dietro una importante sensazione di casualità negativa. Un infortunio, una disgrazia, una sciagura che capita all’improvviso. Resta l’impressione permanente dell’evento inatteso, che ci piomba sulla testa per volere del destino e su cui c’è poco da fare se non predisporsi alla rassegnazione. Questi elementi, così presenti nel nostro linguaggio che ne assorbe tutte le implicazioni emotive, sono alla base di un uso spesso sbagliato della parola incidente.

La lunga strada dell’equivoco. La prima cosa a cui pensiamo quando parliamo di incidente è a un incidente stradale. Certo esistono incidenti casuali, ma sono una piccolissima minoranza. Per lo più sono scontri o collisioni stradali dove di casuale c’è solo la nostra disperata propensione ad assolverci. Se un guidatore spinge la sua vettura oltre i limiti di velocità esponendo tutti a gravi rischi, non è una casualità. Se assume alcol o stupefacenti e provoca scontri con vittime, non è un incidente, non c’è niente di casuale. Se non si indossano le cinture di sicurezza e non si fanno indossare ai passeggeri dell’autovettura, non è un caso se in una collisione riportano delle ferite. Parlare di incidente serve solo a farci sentire un po’ meno responsabili.

Le frontiere del ridicolo. Questa involontaria pratica autoassolutoria ci impedisce di affermare come perentorie alcune norme del codice della strada, che tendiamo a considerare al limite come consigli. Questa sottovalutazione porta alcuni a rifiutare come ingiuste le sanzioni che vengono impartite (pensate alle reazioni contro la sacrosanta presenza di autovelox sulle nostre strade) e crea un costante spostamento della responsabilità dal guidatore del veicolo coinvolto. Guardare con maggiore attenzione le espressioni che usiamo noi giornalisti (tutti) nei titoli e nelle notizie sugli scontri stradali, offre scoperte interessanti.

Un’antologia dimenticabile. Vediamone una piccola serie. Furgone falcia ciclista sulla statale (a meno che non fosse un furgone a guida autonoma, è l’autista del furgone ad avere investito il ciclista); ha perso il controllo dell’auto a causa dell’asfalto reso viscido dalla pioggia (l’asfalto non ha nessuna responsabilità, se piove e l’acqua rende scivoloso il terreno, bisogna andare più piano e la causa è sempre l’imprudenza del guidatore); nuova tragedia sulla 106 la statale killer (una strada, statale o meno, non ha mai ucciso nessuno, sono gli autisti a farlo); il pedone rimasto schiacciato sul marciapiede si trovava nel posto sbagliato nel momento sbagliato (no, il pedone stava dove poteva stare, sul marciapiede, è l’autista del mezzo che l’ha investito che andava troppo forte). E potremmo continuare in questo florilegio di titoli assolutori, ma il risultato non cambia: tutto concorre a sottovalutare le cause reali e spostare l’attenzione dalle responsabilità dell’autista coinvolto.

Se parliamo di lavoro. Anche per questi casi si utilizzano sbrigativamente le espressioni incidenti sul lavoro e morti sul lavoro. «Sono ogni giorno tre e li definiamo morti sul lavoro ma forse sarebbe più giusto dire che sono morti di lavoro». Segnalava così sul Corriere della Sera nel 2023 Giusi Fasano, le tante incertezze che ci concediamo nel raccontare queste tragedie. «A rigor di logica muore sul lavoro l’impiegato a cui viene un infarto in ufficio, alla sua scrivania; mentre muore di lavoro il muratore che cade da un’impalcatura. Ora: non che sia fondamentale il lessico dell’infortunistica; capiamo tutti benissimo quel che si intende comunemente con «morti sul lavoro». Ma converrete con noi che morti di lavoro fa più giustizia al concetto. Spiega meglio il fatto che ognuna di quelle vite spezzate sia quasi sempre figlia di una summa di assenze: o assenze di regole, formazione, normative, oppure — dove le regole ci sono — assenza di volontà nel rispettarle. E questo vale per chi sarebbe tenuto a farle rispettare ma anche per chi non se ne cura e poi ne paga le conseguenze con lesioni gravi o addirittura con la vita. Tutto ciò, spesso, nel nome dell’abitudine che il sistema consente perché “tanto è sempre andata bene così”». Ecco, anche questi, non sono semplici incidenti.

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Tutti gli altri. Incidente, nel senso proprio di fatto inatteso destinato a cambiare il previsto svolgimento degli eventi, concorre a numerose locuzioni. Vediamo le principali, riportate dai dizionari. Incidente diplomatico (fatto o avvenimento, concreto o figurato, che rischia di compromettere le relazioni fra due paesi); incidente di frontiera (scontro armato, limitato, tra forze di due stati confinanti); incidente di percorso (contrattempo che si verifica nel corso di un’azione); incidente probatorio (attività istruttoria compiuta, nel corso di un procedimento penale, prima dell’apertura del dibattimento). A questo punto, ma linguisti esperti avrebbero ancora molto da dire, possiamo considerare chiuso il nostro viaggio alle origini degli incidenti. A proposito, quella frasetta tra due virgole “ma linguisti esperti avrebbero ancora molto da dire”, in grammatica si chiama “proposizione incidentale”. Accidenti, non riusciamo proprio a liberarcene.

14 gennaio 2025

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