Addio posto fisso, fuga dal servizio pubblico nel Veneziano. Il sindacato: allarme assistenza. I primi casi nelle rsa: «Mi spaccavo la schiena con turni infiniti, ho resistito tre mesi»
«Una volta con gli straordinari guadagnavo 1.600 euro, adesso lavoro cinque giorni alla settimana, senza turni e ne prendo duemila». dice. Sono sempre di più gli operatori socio-sanitari che rinunciano ad un contratto a tempo indeterminato per aprire una partita iva e diventare liberi professionisti. Dopo il boom di medici e infermieri «a gettone», esploso in particolare durante il periodo pandemico, ora anche gli oss scelgono di approfittare dei vantaggi dell’essere «gettonisti»: gestire in autonomia il proprio lavoro fissandone gli orari, scegliere le tariffe che si ritengono più adatte ai servizi offerti, agevolazioni fiscali (soprattutto per chi aderisce al regime forfettario con aliquota al 5 per cento per i primi anni di attività) e, primo tra tutti, una maggiore redditività.
Le dimensioni della «fuga»
Impossibile quantificare il numero di oss che, ad oggi, lavorano a gettone nel Veneziano, ma l’aumento costante delle dimissioni di operatori in età non pensionabile, potrebbe essere un indicatore indiretto di questa tendenza. Le prime ad aver fatto propria questo tipo di esperienza sono la Rsa Don Moschetta di Caorle e la casa di cura San Marco a Mestre. «Attualmente la situazione si può definire sotto controllo, anche se in realtà non possiamo conoscerne l’entità — dice dalla segreteria Cisl Fp di Venezia Paolo Lubiato —. Ma in una situazione di crisi economica come quella che stiamo vivendo saranno sempre più gli oss che sceglieranno di abbandonare il lavoro fisso per passare alla libera professione: il tentativo di guadagnare il più possibile si tradurrà in un problema di reclutamento del personale, senza considerare che sempre più corsi per oss finiscono deserti».
«Mi spaccavo la schiena con turni infiniti»
In media, un operatore socio-sanitario assunto nel pubblico, nella città metropolitana, guadagna poco più di 1.400 euro al mese, pari a circa 10 euro l’ora. Come libero professionista, un oss viene pagato in media 25 euro l’ora: una ragione che porta tanti professionisti a scegliere di rinunciare a ferie, malattia, maternità e ogni altra agevolazione prevista da contratto. «Da quando ho lasciato il pubblico e sono diventata libera professionista ho cambiato vita — afferma la oss, operativa nella Riviera del Brenta, M.T. —. Per circa quattro anni ho lavorato, prima in una casa di riposo pubblica e poi in un ospedale pubblico, in entrambi i casi con un contratto a tempo indeterminato. Mi spaccavo la schiena con turni infiniti, lavoravo anche la notte, i weekend e nei giorni festivi. Ero considerata meno di nulla da infermieri e medici e facendo gli straordinari a fine mese riuscivo a portare a casa al massimo 1.600 euro».
Il burn-out e il cambio vita: «Ora guadagno più di duemila euro»
A gennaio 2023 M.T. accusa tutti i sintomi tipici del burn-out: ogni mattina, al solo pensiero di doversi recare a lavoro, vomita più volte e non appena arriva in ospedale non ha il coraggio di toccare nessun paziente, terrorizzata di potergli in qualche modo fare del male. «Ho resistito tre mesi, poi mi sono licenziata — racconta — Dopo un paio di mesi “sabbatici” ho aperto la partita iva: nel giro di poche settimane ho ricevuto 5 o 6 proposte e ora lavoro per tre enti differenti. Non lavoro né il sabato né la domenica né la notte e guadagno più di 2 mila euro al mese». Ad avere svantaggi, secondo la Cisl Fp, è soprattutto l’utenza: «La qualità del servizio erogato subisce un calo — dice Lubiato — questo perché è difficile fare assistenza non lavorando a ciclo continuo: oggi puoi essere seguito da un oss e domani da un altro, mentre la continuità nell’assistenza è fondamentale, anche per il rapporto di fiducia che si instaura tra paziente e operatore. Questo è anche il motivo per cui difficilmente una rsa ammette liberamente di aver inserito nel proprio organico oss a gettone».
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