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Novità giurisprudenziali favorevoli per i residenti
italiani percettori di dividendi di fonte svizzera
In ambito internazionale, il tema dell’imposizione degli
utili derivanti dal possesso di partecipazioni societarie (ossia,
in particolare, dei dividendi) è assolutamente centrale.
S ul punto si incrociano le norme tributarie dei singoli Stati e
le previsioni delle convenzioni contro le doppie imposizioni. Nel
contesto italo-elvetico, il tema è condizionato dalle
modalità di imposizione di tali redditi previste nei due
Stati, le quali, in taluni casi, possono pregiudicare la completa
eliminazione della doppia imposizione. Avendo riguardo al caso di
dividendi erogati da una società svizzera nei confronti di
una persona fisica residente in Italia, bisogna però dare
conto di un recente orientamento della giurisprudenza italiana
foriero di rilevanti conseguenze.
L’imposizione dei dividendi secondo le norme interne
Secondo il diritto tributario italiano, i dividendi esteri
relativi a partecipazioni non qualificate e qualificate1
percepiti (al di fuori dell’esercizio di impresa) da
persone fisiche residenti in Italia sono soggetti ad imposizione
nella misura del 26%. La modalità concreta di tassazione
differisce a seconda che i dividendi siano incassati tramite un
intermediario finanziario italiano (nel qual caso essi saranno
assoggettati a ritenuta a titolo d’imposta2 ) oppure
direttamente all’estero (es. su un conto corrente acceso presso
una banca svizzera); in tale ultimo caso, il contribuente
avrà l’obbligo di includere i dividendi nella propria
dichiarazione dei redditi italiana, assoggettandoli ad imposta
sostitutiva delle imposte sui redditi (sempre nella misura del
26%). In generale, i dividendi di fonte estera non sono quindi
soggetti alle imposte ordinarie sui redditi, non concorrendo,
quindi, a determinare il reddito complessivo del contribuente.
Dal punto del diritto fiscale elvetico, i dividendi erogati da
società svizzere sono assoggettati all’imposta
preventiva, riscossa a livello federale con aliquota pari al
35%3 . Qualora tali dividendi siano percepiti da
soggetti non aventi il domicilio in Svizzera, il diritto al
rimborso dell’imposta preventiva è
escluso4
In questa situazione, è evidente come, sulla base delle
sole norme interne dei due Stati coinvolti, la percezione di
redditi in discorso sarebbe soggetta a una rilevante doppia
imposizione.
La normativa convenzionale
In questa situazione, giunge in soccorso del contribuente la
Convenzione contro le doppie imposizioni conclusa tra Italia e
Svizzera nel 1976 (di seguito, “CDI“).
Secondo la CDI, la potestà impositiva sui dividendi spetta
in via concorrente sia allo stato della fonte (nel caso di specie,
la Svizzera), sia allo stato della residenza del percettore
(l’Italia5 ). Tuttavia, l’imposizione nello
stato della fonte è limitata alla misura massima del 15%.
Pertanto, nella fattispecie in discorso, il contribuente italiano
potrà richiedere all’autorità fiscale svizzera il
rimborso della ritenuta subita in eccesso nella Confederazione:
ossia, nello specifico, il rimborso del 20% dell’imposta
preventiva prelevata all’atto dell’erogazione del
dividendo. In tale situazione, è evidente che la doppia
imposizione non sarebbe eliminata, bensì solo attenuata. Al
riguardo, la CDI prevede quindi l’obbligo per l’Italia di
dedurre dalle imposte italiane quelle pagate all’estero,
attraverso il meccanismo del c.d. “credito
d’imposta6 “. A tale principio fanno eccezione
solo i casi nei quali i redditi di fonte svizzera siano soggetti a
imposizione sostitutiva (o a ritenuta) “su richiesta del
beneficiario del reddito7“.
Le rigidità interpretative da parte italiana
In questa prospettiva, il contribuente residente in Italia deve
però scontrarsi con la rigidità dell’approccio
sinora mantenuto dall’autorità fiscale italiana rispetto
al tema in discorso. In primo luogo, va notato che nel caso di
incasso dei dividendi tramite intermediari residenti in Italia, la
ritenuta va da questi applicata sull’importo del dividendo
al netto della ritenuta (es., imposta preventiva) scontata
all’estero (c.d. “netto frontiera”). Diversamente,
secondo la costante prassi dell’autorità fiscale
italiana, nel caso di incasso all’estero del dividendo (es.,
presso la banca svizzera), l’imposta sostitutiva andrebbe
liquidata dal contribuente sull’importo del dividendo al
lordo delle ritenute estere. Da ciò, un primo
disequilibrio – nient’affatto giustificato –
rispetto al trattamento di queste due fattispecie. In secondo
luogo, l’amministrazione finanziaria italiana nega
altresì il riconoscimento del credito per le imposte
trattenute dallo stato della fonte (in casu, la Svizzera)
sulla base del fatto che tali redditi sono, come si diceva,
assoggettati in Italia a ritenuta a titolo d’imposta o a
imposta sostitutiva (e non, invece, soggetti ordinariamente
all’IRPEF).
Il recente orientamento giurisprudenziale
Come si accennava in apertura, bisogna però dare conto di
un importante orientamento assunto dalla Corte di cassazione
italiana a partire dal 20228 e recentemente confermato
con una sentenza dello scorso aprile 20249 . In tali
decisioni (rese con riferimento all’applicazione della
Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Stati Uniti)
la Cassazione ha sconfessato l’approccio dell’Agenzia delle
Entrate, stabilendo che la modalità di tassazione (imposta
sostitutiva o ritenuta a titolo d’imposta) dei dividendi,
essendo obbligatoria per i contribuenti italiani, non possa
precludere il riconoscimento del credito per le imposte estere.
Ciò, appunto, qualora la convenzione rilevante preveda che
il credito non spetti quando tale imposizione sostitutiva (o
ritenuta) derivi da una richiesta del beneficiario del
reddito. Tale è anche il caso – come si accennava
sopra – della CDI tra Italia e Svizzera. Inoltre, la
Cassazione opera una assimilazione tra le due modalitÃ
impositive (ritenuta e imposta sostitutiva), neutralizzando
sostanzialmente la differenza tra le due modalità di incasso
(ossia, tramite intermediario italiano o estero).
L’orientamento espresso dalla Cassazione è stato,
ancor più di recente, sposato anche dalla
giurisprudenza di merito, e in particolare dalla Corte di giustizia
tributaria di primo grado di Milano (CGT), in una sentenza dello
scorso luglio10. La decisione merita qui particolare
attenzione poiché riguarda specificamente il caso di un
soggetto, residente in Italia, percettore di dividendi di fonte
svizzera, fornendo importanti spunti interpretativi della CDI.
La CGT, in particolare, ha rilevato che la tassazione domestica
italiana, così come applicata secondo la menzionata prassi
dell’Agenzia delle Entrate, contrasta con l’art. 24 della
CDI. In particolare, i giudici hanno evidenziato l’incoerenza
tra tale approccio e le finalità della Convenzione
italo-svizzera, che mira appunto ad evitare la doppia imposizione.
In tal senso, la sentenza stabilisce che i soci residenti in Italia
possono detrarre la quota di imposta svizzera non rimborsabile
(nella misura del 15%, come già notato) dall’imposta
italiana del 26%.
Prospettive sistematiche
A fronte di questo positivo orienta mento
giurisprudenziale, va tuttavia notato che l’attuale quadro
normativo italiano presenta numerose criticità .
L’esclusione dei redditi soggetti a tassazione sostitutiva
dalla base imponibile complessiva rende infatti complessa
l’applicazione pratica del credito d’imposta, costringendo
i contribuenti ad agire in via amministrativa e financo
contenziosa, assumendosi rilevanti oneri.
Le sentenze menzionate, pur segnando un notevole passo in
avanti, lasciano aperte questioni fondamentali legate alla coerenza
sistematica dell’ordinamento tributario e alla certezza del
diritto. È quindi auspicabile un’evoluzione legislativa
che, oltre a recepire i principi affermati dalla giurisprudenza,
introduca meccanismi più chiari e accessibili per la
gestione del credito d’imposta sui redditi esteri.
Footnotes
1. Si definiscono “qualificate” (ex art. 67,
d.P.R. n. 917/1986, “TUIR”) le partecipazioni che – nel
caso i titoli siano quotati – rappresentano una percentuale di voto
superiore al 2% o che siano relative a una partecipazione al
capitale (o al patrimonio) superiore al 5%. Se i titoli non sono
quotati, le percentuali salgono, rispettivamente, al 20% (diritti
di voto) e al 25% (patrimonio).
2. Cfr. art. 27, comma 4, D.P.R. n. 600/1973.
3. Cfr. artt. 4 e 13 della Legge federale
sull’imposta preventiva, “LIP”.
4. Cfr. artt. 21 e 22 LIP.
5. Cfr. art. 10 CDI.
6. Cfr. art. 24, par. 1 CDI.
7. Cfr. art. art. 24, par. 2 CDI.
8. Cfr., Sent. Cass. n. 25698/2022.
9. Cfr. Sent. Cass. n. 10204/2024.
10. CGT Milano, Sez. 13, sent. n. 3184/2024.
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