Finanza: donne escluse e sottopagate, il gap che frena

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La disparità di genere è ancora forte e diffusa in tutto il mondo del lavoro italiano, compreso quello della finanza. Il Paese è in 111esima posizione – arretrando di 7 posti in classifica in un anno – per quanto riguarda la partecipazione economica delle donne (Fonte: World Economic Forum, Rapporto globale sulla disparità di genere).

Nello specifico, sul tasso di partecipazione alla forza lavoro persiste una differenza del -17% tra quella delle donne e degli uomini – 40,7% rispetto a 58%. E la presenza femminile rimane sottorappresentata anche nelle posizioni apicali, con una percentuale del 42% nei consigli di amministrazione delle società. Con solo l’11% delle aziende che presenta una maggioranza di donne titolari del business.

Il gap riguarda anche l’educazione finanziaria, vale a dire l’insieme di consapevolezza, conoscenza, abilità, approcci e comportamenti necessari per prendere decisioni finanziarie consapevoli e, infine, per raggiungere il benessere finanziario individuale. La Banca d’Italia ha evidenziato che, tra le categorie considerate esperte in materia di finanza, ci sono per lo più uomini laureati.

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Il gender gap nel mondo della finanza

Quello che emerge, infatti, è che le differenze nelle conoscenze, così come nei comportamenti e nelle attitudini, dipendono dal livello di reddito, istruzione, età e genere. Un fatto particolarmente allarmante, se si considera che la popolazione italiana è la più vecchia d’Europa. La quota di laureati è del 19% contro il 33% della media europea, mentre l’Italia è il Paese dell’Unione con il più basso tasso di occupazione femminile.

Allo stesso modo, il gender gap caratterizza anche il mondo della consulenza. In Italia oggi operano oltre 52.700 consulenti finanziari. Di questi, solo circa il 20%, un quinto, sono donne. Quella del consulente finanziario resta quindi una professione soprattutto maschile.

Le iniziative di ANASF e J.P. Morgan AM

Per approfondire l’analisi della situazione e trovare le soluzioni per migliorarla, ANASF (Associazione  Nazionale dei Consulenti Finanziari) e J.P. Morgan Asset Management hanno cofinanziato la ricerca intitolata Consulenza finanziaria, genere e pari opportunità, realizzata con il contributo dell’Università Bocconi. Lo studio – condotto su un campione di 830 consulenti finanziari, di cui 585 uomini e 245 donne – ha avuto come scopo l’identificazione degli ostacoli, i fattori demografici, familiari e lavorativi, le motivazioni e le attitudini che portano le donne a essere ancora sottorappresentate nella categoria professionale dei consulenti finanziari.

Cosa emerge? Una prima evidenza, ad esempio, è la netta differenza, tra uomini e donne, in termini di distribuzione tra fasce di reddito. Il breadwinner (chi guadagna di più) della propria famiglia è più spesso un uomo (l’87% dei soggetti, contro il 47% tra le donne). Relativamente agli aspetti di conciliazione tra vita personale e impegno lavorativo, emerge come le consulenti abbiano una maggiore difficoltà a concentrarsi sulle attività che riguardano la propria occupazione a causa delle responsabilità familiari di cui si fanno carico.

A livello di soddisfazione personale e professionale, inoltre, gli uomini sono mediamente più soddisfatti della propria vita (con una valutazione di 8,1 punti per il genere maschile rispetto a 7,9 del genere femminile, su una scala da 1 a 10). Sono anche più realizzati professionalmente (per un punteggio medio maschile di 8,1 rispetto a quello femminile di 7,7). Questi dati dimostrano come – per le donne – sia la soddisfazione lavorativa che quella della vita personale diminuiscono con l’aumento della stanchezza e dei conflitti tra lavoro e vita privata, ma aumentano al crescere del reddito personale.

Un’ulteriore disparità all’interno del nucleo familiare emerge in relazione al congedo parentale. Il 90% circa dei professionisti non ha usufruito di alcun congedo per la nascita dell’ultimo figlio, mentre lo ha richiesto il 50% circa delle professioniste.

Prospettive, ostacoli, aspirazioni

L’indagine analizza inoltre le prospettive medie, per i prossimi tre anni, in relazione alle aspirazioni di vita personale e lavorativa dei consulenti finanziari in Italia, evidenziando come sia gli uomini sia le donne ritengano mediamente probabile una progressione della carriera – in misura maggiore laddove non siano presenti figli nel nucleo familiare – mentre entrambi i generi credono sia poco probabile cambiare lavoro e avere dei figli. Per quanto riguarda l’aspettativa di cambiare lavoro non emergono invece significative differenze né di genere né tra i gruppi, con e senza figli.

«Iniziative come un’analisi specifica del settore sono un punto di partenza, non un punto di arrivo», ha detto il presidente ANASF, Luigi Conte (intervistato anche nella cover story di questo numero). «È necessario iniziare a parlare di alterità e non più di diversità, valorizzando finalmente tutti gli sforzi per creare una dimensione di genere dove le prospettive siano molteplici e tra di loro complementari. Con i dati e i numeri raccolti, abbiamo voluto dare un contributo distintivo rispetto a queste prospettive, per immaginare questo processo come un continuum non fine a se stesso, ma come un esempio e un punto di riferimento per andare al di là dei pregiudizi».

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La parità di genere come priorità strategica

«La parità di genere nel mondo finanziario è una priorità strategica ormai da anni» ha aggiunto Andrea Aurilia, Country Head per l’Italia di J.P. Morgan Asset Management. «Su un tema così importante è necessario continuare a fare rumore e analizzare le evidenze dal punto di vista accademico, che è un supporto indispensabile. Con ANASF abbiamo una relazione storica e dal 2023 – in occasione del decennale della collaborazione dedicata alla formazione dei neo-consulenti finanziari – abbiamo deciso di dare un supporto concreto alle giovani professioniste destinando la borsa di studio intitolata ad Aldo Vittorio Varenna esclusivamente a loro».

Più in generale, e guardando anche oltre l’ambito della consulenza finanziaria, il quadro non cambia. Nel nostro Paese, per annullare il gender pay gap – il divario retributivo di genere – si dovranno attendere ancora 169 anni, secondo il Global Gender Gap Report. Per ODM Consulting, società di consulenza HR di Gi Group Holding, gli stipendi delle donne italiane rispetto a quelli degli uomini differiscono infatti da 3mila euro a oltre 16mila euro nel 2024 per mansioni simili.

Il gap, che si era ridotto fra il 2017 e il 2019, è tornato a crescere. Inoltre, va considerato che è un problema che riguarda il presente e il futuro delle donne, ma non solo. Ha ripercussioni su tutta la società, perché frena l’economia e rallenta la natività.

Gli altri gender gap nel mondo della finanza

Un altro dato è quello del credit gender gap, vale a dire la disparità di genere nell’accesso al credito. In Italia, pesa quasi 70 miliardi. Nel 2023, secondo la FABI – Federazione Autonoma Bancari Italiani – su oltre 474 miliardi di euro di finanziamenti concessi alle famiglie dalle banche, solo il 20% (95 miliardi) è andato alle donne. Mentre il 35% (164 miliardi) agli uomini. Il resto riguarda finanziamenti cointestati. Numeri che segnano una differenza di quasi 70 miliardi a sfavore della componente femminile.

C’è poi da considerare un’altra urgenza: la cosiddetta violenza economica. È quella violenza fatta attraverso l’impedimento nell’acquisire le risorse finanziarie. Ma anche con l’impedimento all’accesso alle risorse disponibili, il consumo delle risorse finanziarie della vittima, come evidenziato anche nella Convenzione di Istanbul. È una forma di violenza trasversale. Colpisce vittime di ogni ceto e riguarda una fascia compresa tra i 40 e i 60 anni. Secondo le analisi di settore, «economia e finanza sono percepiti da tutti come argomenti complicati e da lasciare “agli esperti”. Questo è ancora più vero per le donne. O almeno così è stato per molto tempo.

Per fortuna specialmente tra le persone più giovani, cresce la consapevolezza dell’importanza di occuparsi di finanza. La rinnovata attenzione all’emancipazione femminile può rilanciare anche la cultura economica delle donne, e la loro educazione finanziaria».

Accelerare per migliorare la situazione

Nonostante la buona posizione dell’Europa nel panorama globale, il World Economic Forum stima che, al ritmo attuale, ci vorrebbero altri 67 anni per raggiungere la piena parità di genere in Europa. In tale direzione, l’Italia sta portando avanti la Strategia Nazionale per la Parità di Genere 2021-2026. Con lo scopo di facilitare una notevole riduzione delle discriminazioni.

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In particolare, si colloca con 0,7 punti al 87esimo posto del Global Gender Gap Index, facendo registrare un punteggio più alto rispetto al 2014 (0,6), ma comunque restando al di sotto della media europea (0,75). Risultati simili sono ottenuti nel Gender Equality Index, dove si colloca al 13esimo posto su 27 Paesi analizzati, totalizzando un totale di 68 punti su 100, anche in questo inferiore alla media europea (70 punti).

La migliore prestazione la registriamo nel campo della salute, posizionandoci al nono posto tra tutti gli Stati membri dell’UE. Mentre le disuguaglianze di genere restano particolarmente evidenti nell’ambito del lavoro, dove il Paese resta all’ultimo posto dal 2013. In questo quadro, colmare il divario di genere non è solo un dovere morale, ma anche un investimento per il futuro. Infatti, una società più equa e inclusiva consentirebbe alle donne di esprimere pienamente il loro potenziale, dando così un contributo decisivo allo sviluppo sociale ed economico del Paese.   ©

Articolo tratto dal numero del 15 gennaio 2025 de Il BollettinoAbbonati!

📸 Credits: Canva





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