Giubileo della comunicazione, c’è una Porta da varcare

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Non è una semplice coincidenza, ma una volontà precisa che porta con sé un messaggio impegnativo. Il Giubileo del mondo della comunicazione, primo grande “raduno” del calendario giubilare, sfugge alla casualità degli eventi, lanciando un appello a quanti lavorano nel settore mediatico. In un tempo di contrapposizioni e polarizzazioni, l’Anno Santo interpella gli operatori della comunicazione e dell’informazione sulla forza ed estrema debolezza del linguaggio odierno. Non si tratta di questione tecnica o teorica, ma di essenza di una professione che, al pari delle altre, è una vera e propria chiamata da vivere ancora oggi con una profonda adesione personale. Il Giubileo ricorda proprio questa dimensione “spirituale” dell’opera comunicativa, insieme al suo valore sociale che si concretizza nel contributo alla crescita della comunità. In questo senso la continuità temporale, tipica della comunicazione e dell’informazione, trova nei mesi giubilari un punto di riferimento per comprenderne il valore.
Innanzitutto, a partire da un dato oggettivo: il Giubileo 2025 è chiamato ordinario perché legato alla cadenza venticinquennale fissata da Paolo II nel 1470. E, come sempre, invita alla riconciliazione, alla penitenza e alla conversione per accogliere la grazia della misericordia. Dal 2000 a oggi, nel contesto comunicativo lo scenario è completamente mutato. Quello attuale è, infatti, il primo Anno Santo che si svolge nell’epoca del digitale, con tutto ciò che questo comporta nelle relazioni e nelle deviazioni tecnologiche. Si pensi, ad esempio, ai fenomeni delle fake news, del disordine informativo (disinformazione, misinformazione, malinformazione), del deep fake, cioè della creazione e diffusione di immagini false… Si pensi, ancora, alle grandi sfide che i sistemi di intelligenza artificiale stanno portando a livello etico e deontologico.

Vincenzo Corrado

Vincenzo Corrado – Foto Siciliani

Siamo tuttora coinvolti in una vera e propria Odissea, affrontando diverse peripezie come Ulisse nel poema epico di Omero. Con la medesima volontà di far ritorno a casa – a Itaca –, ovvero al fine ultimo di chi comunica e informa. «La neutralità dei media – ricordava papa Francesco dieci anni fa – è solo apparente: solo chi comunica mettendo in gioco sé stesso può rappresentare un punto di riferimento. Il coinvolgimento personale è la radice stessa dell’affidabilità di un comunicatore». Il Giubileo è memoria viva di una missione nella storia, nella sua doppia finalità: mettere in comune (comunicazione) tessendo relazioni e dare forma (informazione) “ordinando” ciò che avviene. Per gli operatori dei media è un appello a far tesoro di questa doppia risonanza esistenziale e a viverla nell’evoluzione in corso. In questa attività appassionante e, allo stesso tempo, sfidante viene in soccorso il tema centrale di questo anno giubilare: la speranza.
È la coordinata per orientare l’inquietudine che accompagna le piccole e le grandi conquiste. Non è idealismo, ma capacità di vedere “qui e ora” l’impresa da compiere, senza fughe in avanti o ritorni al passato. È la capacità di chi comunica o informa di vedere ciò che verrà. Non si tratta di arte divinatoria, ma di una postura interiore che è fatta di connessioni tra pensiero, parola/scrittura e vita. La speranza è una forza che spinge la storia verso il suo compimento. È nell’anticipazione creativa del futuro, nella capacità di immaginare e desiderare ciò che ancora non è, che si manifesta la vera essenza dell’uomo. Sembra pura utopia, eppure – ricorda Charles Péguy – «la Speranza vede quel che non è ancora e che sarà. Ama quel che non è ancora e che sarà. Nel futuro del tempo e dell’eternità».

La distinzione pare ormai chiara e diventa invito a cogliere la netta differenza tra vera e falsa speranza, quest’ultima mascherata da illusioni e passioni personali. Ne ha parlato papa Francesco, aprendo lo scorso 24 dicembre la Porta Santa della Basilica di San Pietro e celebrando la Messa nella Notte di Natale. «La speranza – ha ricordato – non ammette la falsa prudenza di chi non si sbilancia per paura di compromettersi e il calcolo di chi pensa solo a sé stesso; la speranza è incompatibile col quieto vivere di chi non alza la voce contro il male e contro le ingiustizie consumate sulla pelle dei più poveri». È un bel programma da condividere per rinnovare un patto nella responsabilità di chi comunica e informa. Sarà un bel frutto del “nostro” Giubileo.
* Direttore Ufficio nazionale per le Comunicazioni sociali della Cei

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