I conti pubblici sotto controllo e le aste record per i Btp L’attesa per un rating migliore

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L’ANALISI

ROMA I mercati sono razionali. I grandi fondi quando investono i loro capitali lo fanno pesando bene il rischio e il rendimento. Se c’è un’opportunità la colgono. Non è dunque un caso se, nella prima asta di titoli pubblici italiani di quest’anno, a fronte di un’offerta di Btp di 18 miliardi, il Tesoro abbia ricevuto richieste per 275 miliardi. Offerte non arrivate da “speculatori”, ma da fondi pensione, banche e altri investitori pazienti. Significa che comprare oggi debito italiano è conveniente. Offre un buon rendimento e, soprattutto, è sicuro. Nessuno mette in discussione la solvibilità del Paese. Il rischio Italia, insomma, è decisamente basso. Un risultato frutto di diversi fattori. Il primo è la capacità che ha avuto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti di tenere i conti pubblici sotto controllo. L’impegno a contenere la spesa in un limite massimo di aumento dell’1,5 per cento medio per i prossimi sette anni è un’ottima garanzia per gli investitori. Il sistema pensionistico, con i suoi meccanismi automatici di aggiustamento, al netto delle polemiche di questi giorni, non desta particolari preoccupazioni. Il debito italiano è l’unico tra i Paesi del G7 ad essere tornato allo stesso livello che aveva prima della pandemia: il 135,8 per cento del 2024 contro il 134,2 per cento del 2019. In valore assoluto, e al netto degli impatti del Superbonus, continua ad aumentare solo per effetto della spesa per gli interessi e non perché ci siano squilibri strutturali. È questo il principale punto da affrontare. Per accelerare la riduzione del debito pubblico va aumentato il tasso di crescita dell’economia, ma va anche ridotto il suo onere. In che modo? Convincendo sempre di più i mercati della solidità del debito e della credibilità del Paese. Passi avanti, va detto, ne sono stati fatti.

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IL PASSAGGIO

Giorgia Meloni, nel consiglio dei ministri di ieri, ha sottolineato i dati diffusi qualche settimana fa dall’Upb, l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, uno “sceriffo” messo a controllo dei conti pubblici imposto dalle norme europee e che non ha mai fatto sconti a nessun governo nei suoi giudizi. Per la prima volta ha fatto un conto al contrario. In genere, ogni anno, calcolava di quanto sarebbero aumentati gli interessi pubblici sul debito in caso di un aumento dello spread di 100 punti base. Questa volta il conto è stato fatto all’inverso: quanto risparmiano gli italiani sugli interessi con il calo strutturale dello spread ottenuto dall’Italia? Risparmieremo 10,4 miliardi di euro nel biennio 2025-2026 rispetto a quanto avevamo previsto nel Def dell’aprile 2024, che diventano 21 se si considera anche il 2027. Perché la spesa scenda ancora bisognerà, probabilmente, attendere che le agenzie di rating rivedano i loro giudizi sul Paese che oggi appaiono eccessivamente punitivi. L’Italia ha una tripla B che si confronta con le doppie A di Paesi come Regno Unito e Francia che si trovano in una crisi politica ed economica profonda. Anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al Forum di Cernobbio aveva sottolineato come «il termometro della percezione dei mercati sull’affidabilità di un Paese può rivelarsi quanto meno opinabile». La verità è che, probabilmente, oggi le ragioni per una promozione dell’Italia ci sarebbero tutte. Quasi il 70 per cento del debito è in mani “nazionali”, e questo lo mette al riparo da possibili attacchi speculativi. La ricchezza delle famiglie è molto più ampia dello stesso debito. C’è un surplus elevato nella bilancia con l’estero. Persino sulla crescita economica il Paese ha mostrato negli ultimi anni un maggior dinamismo. Non significa che non ci siano problemi da affrontare. La crisi della manifattura e dell’auto in particolare, sono una questione urgente. Così come lo è il costo dell’energia e le regole europee della transizione energetica che rischiano di mettere fuori mercato interi settori. Ma parliamo di un Paese che in questa “permacrisi” ha dimostrato di saper navigare meglio di molti altri.

Andrea Bassi

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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