L’assalto alle terre alte e il progetto del comprensorio sciistico “Colere-Lizzola”

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Nelle valli bergamasche rischia di consumarsi un nuovo assalto alle terre alte, con decine di milioni di euro di fondi pubblici destinati a impianti di risalita e di innevamento artificiale.

Un progetto che comprometterebbe il prezioso ambiente montano delle Orobie bergamasche senza fermare lo spopolamento delle valli e dei Comuni montani e promuovendo una visione del turismo ormai insostenibile.

Lo denunciano i rappresentati di Orobievive, associazione dei gruppi ambientalisti della bergamasca, di terreAlt(R)e, collettivo di cittadini attivi in campo ecologico e sociale, di Legambiente e della sezione locale del Club alpino italiano (Cai) che si oppongono al progetto di collegamento tra i comprensori sciistici di Lizzola (BG) e Colere (BG).

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“Quella del comprensorio è un’idea progettuale vecchia di trenta o quarant’anni -fa notare il Cai Val di Scalve-, quando molte delle consapevolezze che oggi stiamo (ancora troppo lentamente) maturando non erano ancora di pubblica evidenza. Oggi abbiamo gli strumenti per qualche cosa di più ambizioso e lungimirante. Da costruire insieme”.

Lo scopo del collegamento è quello di creare un unico comprensorio unendo due stazioni sciistiche: quella di Lizzola, frazione del Comune di Valbondione, dotata al momento di quattro seggiovie e 20 chilometri di piste, e quella di Colere, che dispone di tre seggiovie e di una cabinovia sostituita e ristrutturata a fine 2023. Il collegamento avverrà tramite due impianti di risalita e un tunnel lungo 450 metri scavato attraverso il Pizzo di Petto, montagna al confine tra le due valli.

In parallelo per gli impianti di Lizzola si prevede la demolizione di tre seggiovie e la loro sostituzione con un’unica cabinovia e il completamento dell’impianto di innevamento artificiale. Il costo dell’intero collegamento è pari a 70 milioni di euro, di cui 50 milioni coperti da fondi pubblici.

I promotori del progetto e gli amministratori locali, come i sindaci dei Comuni di Valbondione e di Colere, plaudono al progetto e lo presentano come un modo per arrestare lo spopolamento della valle e rilanciare turismo ed economia locale. Dall’altro lato le organizzazioni e i cittadini criticano il collegamento per ragioni ambientali, economiche e sociali. A iniziare da Legambiente che nel 2024 ha assegnato alla società Rsi, che controlla gli impianti di Colere ed è al centro del contestato progetto di collegamento, la “Bandiera nera” destinata alle aziende e associazioni che ripropongono un modello superato e dannoso di turismo montano.

Le maggiori criticità riguardano il piano ambientale. “I nuovi impianti interessano due zone, la Val Sedornia dal lato di Lizzola e la Val Conchetta da quello di Colere -racconta ad Altreconomia Angelo Borroni di Orobievive, rete di associazioni ambientaliste locali-, si tratta di due valli selvagge e non ancora antropizzate e la costruzione degli impianti di risalita, delle piste e dell’impianto di innevamento rischia di danneggiare una delle zone più preziose per la natura delle montagne lombarde”.

L’area interessata dagli interventi non solo fa parte del Parco delle Orobie bergamasche ma anche di un Zona speciale di conservazione (Zsc) “Val Sedornia – Val Zurio – Pizzo della Presolana” istituita dal progetto dell’Unione europea Rete Natura 2000 e comprende il cosiddetto “Mare in burrasca”, la zona carsica alpina più grande della Lombardia.

“Si tratta della zona più preziosa per la biodiversità di tutta Lombardia e che viene studiata per il suo ambiente carsico di particolare unicità -prosegue Borroni- ma le criticità non si fermano qui. La valle dove sorgeranno gli impianti è molto ripida e va protetta dal rischio valanghe con opere in calcestruzzo”.

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I promotori sostengono che i nuovi impianti non impatteranno sulla biodiversità della zona. “Il progetto ha una specifica attenzione verso la mitigazione dell’impatto ambientale, in virtù della quale si è scelto di realizzare in Val Conchetta (versante Colere) una minore lunghezza delle piste e una cabinovia anziché le due seggiovie già previste. Questa scelta ha consentito di ridurre ad un terzo l’impatto ambientale”, scrivono in un comunicato stampa.

“Ma si tratta di una valutazione su impianti previsti nel 2008 che non sono stati poi realizzati, mentre ora si vuole introdurre una cabinovia, due piste, un bacino e un traforo”, controbatte Borroni. Lo stesso ente gestore del Parco delle Orobie bergamasche nella sua valutazione sottolinea come sia proprio la presenza di piste da sci e di strutture ricreative a rappresentare la minaccia maggiore per la zona. E come la costruzione del comprensorio già esistente ne abbia danneggiato la biodiversità. “Lo stato di conservazione è già stato compromesso dalla realizzazione degli impianti sciistici -si legge nel rapporto-. Numerose doline e pozzi carsici, non solamente quelli situati in prossimità delle piste, sono stati colmati da materiali di discarica e da rifiuti prodotti durante l’attività sciistica”.

A minacciare l’integrità ecologica della zona non saranno solo impianti e piste da sci ma anche il sistema di innevamento artificiale che verrà costruito per “sparare” sulle piste nuove e quelle esistenti, che si trovano per la maggior parte della loro estensione al di sotto dei 2.000 metri di quota. Per alimentare il sistema è prevista la costruzione di un bacino artificiale ai piedi del Monte Ferrante, cima che svetta su Colere. A causa della natura carsica del suolo, permeabile all’acqua, l’invaso artificiale dovrà essere impermeabilizzato tramite materiali plastici e potrà venire alimentato solo dalle piogge.

Un’altra incognita riguarda i costi, che secondo Orobievive saranno ben superiori alle previsioni. “Rsi indica un aumento dei costi del 36% dichiarati per il versante Val Sedornia e Lizzola -denuncia Borroni- e questo bilancio non comprende la sostituzione degli impianti destinati a durare fino al 2084 e quelli di dismissione per quando gli impianti arriveranno inevitabilmente a fine vita. Per non parlare poi dei costi per innevare artificialmente i 40 chilometri di piste che sono stimati essere al di sopra del milione di euro l’anno. Questo turismo rischia solo di far aumentare il costo della vita per gli abitanti della valle e paradossalmente accelerare il fenomeno dello spopolamento di questi Comuni montani”.

Una simile posizione è quella di terreAlt(r)e. “Non siamo contrari per principio a un rinnovamento degli impianti di risalita, se questo fosse limitato e su territori già antropizzati -spiega Nicola Mazzucchini di terreAlt(r)e-. Ma il nuovo progetto, oltre a non essere sostenibile da un punto di vista climatico (la società Rsi ha calcolato che sono necessari 120 giorni di innevamento l’anno, un numero difficile da raggiungere per colpa del cambiamento climatico), non aiuterà neanche a fermare lo spopolamento delle valli. I nuovi impianti non daranno lavoro a più di dieci persone e le infrastrutture della valle, come alberghi e strade, non sono adatte a sostenere un turismo di massa”.

Infine, il nuovo collegamento sciistico si baserebbe, secondo gli oppositori, su un modello di sviluppo turistico obsoleto e non più sostenibile. La sezione della Val di Scalve del Club alpino italiano (Cai) ha espresso critiche e perplessità sulla sostenibilità sociale, sostenendo invece la necessità di promuove una forma di turismo alternativa. “La nostra contrarietà non riguarda solamente gli aspetti economici e sociali -afferma Loris Bendotti consigliere Cai Val di Scalve- ma soprattutto l’aspetto sociale. Il cambiamento climatico sta rendendo lo sci, specie a quote così basse, non sostenibile. Da anni proponiamo forme di turismo alternativo e lento, come il cammino della Via Decia. Infine, non condividiamo l’idea che lo spopolamento delle vallate alpine si combatta solo tramite il turismo, specie se di massa. La Val di Scalve gode di solide realtà imprenditoriali che andrebbero valorizzate, magari con gli stessi fondi pubblici che invece verranno destinati ai nuovi impianti”.

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