Manodopera, stipendi e innovazione: ecco l’agenda di Pozzo

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Contributi per le imprese

 


Un programma in 18 punti che è determinato ad attuare «perché mi hanno votato all’unanimità». Attenzione massima al welfare dei dipendenti «oltre a quello privato sono fondamentali i servizi pubblici», la necessità di un’immigrazione «regolare e controllata ma assolutamente necessaria se vogliamo far lavorare le nostre fabbriche». Un’apertura a salari più alti grazie «alla detassazione degli straordinari che si può fare subito».

E ancora i rapporti con Confindustria Alto Adriatico, la congiuntura internazionale, l’andamento dell’economia in Friuli Venezia Giulia, il ruolo dei Consorzi industriali, l’ingresso dei fondi internazionali nelle società di capitali, la formazione dei giovani, lo sviluppo tecnologico e l’innovazione. Il neo presidente di Confindustria Udine, l’imprenditore metalmeccanico Luigino Pozzo, fondatore e proprietario della multinazionale Pmp, con sede a Coseano e numerose filiali estere, ha una visione chiara, energia e voglia di mettere a terra, con la collaborazione della sua squadra, le idee che ha in testa.

Le ha illustrate nel corso del forum, ospitato nel pomeriggio di martedì 14 gennaio nella sede del Messaggero Veneto, e condotto dai due vice direttori dei quotidiani del gruppo Nem, Paolo Mosanghini (Messaggero Veneto) e Luca Piana (Economia quotidiani Nem).

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Presidente Pozzo che ruolo ha oggi l’impresa nella società del 2025, digitalizzata, smart e sempre più veloce?

«L’impresa dovrebbe essere al centro della società. Sembra una cosa banale, ma in realtà non lo è. L’impresa merita oggi un’attenzione maggiore rispetto al passato. Viviamo quasi una “crisi” dell’imprenditore. Per quale motivo una persona si dedica allo sviluppo di un’attività? Per tradizione familiare? Per passione? Essere imprenditore non è scontato. Ma cosa accade a una società senza imprese? Certo ci sono il turismo e il commercio, ma credo che l’industria, la manifattura, siano la benzina nel motore di una società moderna».

Deve essere la politica a dare maggiore attenzione all’impresa? O non basta?

«Non c’è solo la politica. L’intera società dovrebbe prendere coscienza di questo. Dalla scuola, alle istituzioni, dalla giustizia al mondo accademico a chi si occupa di innovazione. Lavoro e innovazione sono pietre miliari, temi importantissimi».

«Le retribuzioni, in Italia, sono basse, è vero. Bisogna dare più soldi in tasca a chi poi li spende, per il mutuo, per la famiglia»

Temi che dovrebbero coinvolgere i giovani. Cosa pensate di fare su questo fronte?

«È necessario motivare i nostri ragazzi, a partire dalle scuole. Ragioniamo, come Confindustria Udine, di fare una Fiera dell’innovazione, qui in Friuli. La generazione Z deve essere partecipe dello sviluppo tecnologico mondiale, non solo a livello locale. I lavoratori di domani dovranno essere molto specializzati, servirà una formazione a 360 gradi».

Benissimo formare i nostri ragazzi, ma sta di fatto che nel 2030, complice l’inverno demografico, mancheranno in regione ben 100 mila lavoratori, quasi uno su cinque rispetto a quelli che sono impiegati oggi. Che rimedi, urgenti, si possono trovare?

«È un problema enorme, che però dobbiamo assolutamente risolvere. Il tema della natalità doveva essere affrontato prima, tra 5 anni non avremo persone pronte a entrare nel mondo del lavoro, anche se ci mettiamo d’impegno. Serve dunque un’immigrazione controllata e qualificata in una società multietnica gestibile. Il progetto Ghana di Confindustria Alto Adriatico è una cosa intelligente, sta nelle mie corde.

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In associazione istituiremo una Commissione apposita sui temi delle risorse umane e dell’immigrazione, si tratta di una priorità. Bisogna integrare le persone in tempi rapidi, il mondo cattolico africano forse è più affine culturalmente. Lavoreremo anche con l’Ente Friuli nel mondo, con i Fogolars furlans, in Argentina per trovare lavoratori».

Ma i giovani e meno giovani è possibile che non siano motivati a trovarsi un posto in Italia perché gli stipendi sono bassi?

«Le retribuzioni sono basse, è vero, ma i nostri giovani laureati o diplomati non vanno all’estero solo per un problema di salari. Però è necessario fare un ragionamento importante: tutti gli stipendi vanno aumentati, bisogna dare i soldi a chi li spende, a chi ha il mutuo, a chi cambia l’auto, a chi mette su famiglia e così via. Ci sono vari tipi di soluzioni, è indispensabile aprire un tavolo di discussione con sindacati e governo per un sistema più flessibile. Ma prima di tutto si potrebbero detassare gli straordinari, il governo si accontenti di tasse e contributi su 8 ore di lavoro. Lasciamo lavorare chi vuole lavorare di più facendo sacrifici e mettendo in tasca qualche euro in più».

«Nel 2030 la regione perderà 100 mila lavoratori, un’immigrazione controllata è indispensabile»

Come intende organizzare il suo mandato operativo in Confindustria? Lavorerà per aree tematiche?

«Abbiamo già alcune Commissioni che continueranno a sviluppare idee, dedicate a cultura, energia, con il grande tema degli approvvigionamenti, e innovazione. In più ne istituiremo di nuove, dedicate al Pnrr e infrastrutture, alla riqualificazione delle aree industriali e alle risorse umane e formazione».

Tra le commissioni che intende istituire ce n’è una dedicata alle infrastrutture, quali sono le priorità?

«La riqualificazione delle zone industriali. Abbiamo certi Consorzi che stanno lavorando molto bene, il Cosef per esempio, ma l’obiettivo primario dev’essere quello di dare un servizio ai nostri dipendenti anche nell’ottica di cui dicevamo prima, vale a dire incentivare i nostri ragazzi a restare qui, se gli garantiamo una serie di servizi è più facile che decidano di non andarsene».

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«Agli asili nido ad esempio. Ce n’è uno a Maniago, con orari flessibili, che mi propongo di visitare al più presto. E poi ai mezzi pubblici, perché non tutti, penso agli immigrati, posseggono un’auto. Mezzi pubblici capillari e sicuri. E ancora i centri estivi: durante l’estate i nostri dipendenti non sanno dove piazzare i ragazzi. Ecco, dobbiamo fa sì che nelle aree industriali i nostri dipendenti possano trovare tutti questi servizi».

Significa che oggi non lo fanno, che non stanno funzionando…

«Molte zone, specie le più piccole non hanno nessun servizio. Si parla spesso di welfare aziendale, di cosa le imprese fanno per il proprio personale, ma il pubblico dov’è? Ricordiamoci che i dipendenti non sono “figli” della sola impresa, ma anche della società. Dobbiamo fare in modo che i consorzi ci pensino».

Lei prefigura una significativa evoluzione delle competenze dei consorzi industriali: nati per infrastutturare le zone produttive diventerebbero erogatori di servizi per le persone. Servono fondi…

«I consorzi beneficiano di fondi regionali, i soldi ci sono, cerchiamo di spenderli in misure che diano soddisfazione ai dipendenti».

Come sono i rapporti con Confindustria Alto Adriatico?

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«Ottimi per quanto mi riguarda. Dove riusciremo a fare progetti sinergici lavoreremo insieme. Ci sono esigenze di base che devono restare territoriali, perché dobbiamo essere vicini agli associati, altre che possono essere gestite a livello più alto, ma non fraintendetemi, non penso alla regionalizzazione, non è una priorità tant’è che non l’ho messa nel programma».

Come valuta l’ingresso dei fondi in tante imprese friulane?

«Non sono contrario, ma dobbiamo capire come lavorano i fondi: impongono alle imprese un ritmo di crescita che non è sostenibile. L’imprenditore che guarda avanti 10-20 anni e progetta su quella lunghezza è molto più disposto a investire in innovazione, il fondo che arriva in un’impresa ha invece necessità di uscire dopo 4-5 anni e dell’innovazione non gli importa niente, cerca solo di creare massa e realizzare. Non ce l’ho con i fondi, ma questo sistema non ci porta da nessuna parte».

Friulia e le finanziarie pubbliche possono essere una soluzione?

«Direi ottima. Dobbiamo valorizzare il ruolo di Friulia, di Fvg Plus, di Finest. Abbiamo tre finanziarie regionali con cui possiamo lavorare molto e sostenere le imprese. Dobbiamo mettere insieme l’investitore paziente e l’investitore lungimirante».

Cosa si aspetta per il 2025?

«Il 2024 si è chiuso in leggera flessione, il 2025 non si presenta come un anno roseo. Continuerà la contrazione del settore manifatturiero iniziata l’anno scorso per effetto della situazione geopolitica. Per il sereno dovremo attendere il 2026. Venute meno le guerre militari ci toccherà però fare i conti con quelle economiche».

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È fiducioso che i conflitti siano ormai prossimi al termine?

«Vedremo i segnali di questo molto presto. Con Trump riprenderanno però le guerre economiche. Discuteremo a lungo di dazi e questo creerà instabilità. Bisognerà capire come si posizionerà l’Europa nello scenario internazionale. Credo si manterrà agganciata agli Usa il che ci porterà a una contrapposizione tra l’area Occidentale e quella Brics. Una situazione in funzione della quale le nostre imprese saranno chiamate ad adottare nuove strategie, a fare attenzione alle transazioni e alle catene di valore». 



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