Ogni novembre, come da tradizione, i giornali seguono con attenzione il confronto tra il Governo e i sindacati riguardante la nuova Legge di bilancio. Anche quest’anno si segue lo stesso copione. Il prossimo 29 novembre 2024, è stato indetto uno sciopero generale da parte di Cgil e Uil, deciso al termine dell’ultimo incontro presso Palazzo Chigi sulla manovra finanziaria.
Per comprendere meglio il dibattito imminente, è utile partire da alcuni presupposti fondamentali. Primo, la Legge di bilancio di quest’anno, come molte precedenti, presenta pro e contro. Secondo, lo sciopero è un diritto tutelato dall’articolo 40 della Costituzione, e i sindacati, specialmente dopo la concertazione dei primi anni ’90, lo hanno adottato come strumento di protesta non solo contro i datori di lavoro ma anche nei confronti dei Governi. Terzo, è cruciale che lo sciopero, soprattutto se generale come quello del 29 novembre, non provochi più problemi di quanti ne voglia risolvere.
Oltre al consueto confronto tra le parti, emerge una questione più profonda riguardo alla proposta del Governo e al dibattito che la segue: quali sono le implicazioni lavorative di questa manovra?
Partendo dai punti positivi: la Legge di bilancio si propone di sostenere la genitorialità. Per le famiglie con un ISEE fino a 40.000 euro, la Manovra include un contributo di mille euro, potenzia il “bonus asilo nido” con un rimborso delle spese fino a 3.600 euro per chi ha figli tra 0 e 3 anni e mantiene la decontribuzione per le lavoratrici madri di due o più figli fino ai dieci anni del figlio minore, o di tre o più figli fino ai 18 anni del terzo.
Assicura inoltre l’80% della retribuzione per 3 mesi di congedo parentale nei primi sei anni di vita del bambino, a fronte del 30% nel periodo successivo. Per i nuovi assunti dal 1 gennaio 2025, con un reddito da lavoro dipendente inferiore a 35.000 euro nell’anno precedente, che si trasferiscano oltre un raggio di 100 km, la legge stanzia 5.000 euro annui per il pagamento dei canoni di locazione o manutenzione degli immobili affittati.
Prosegue con il “bonus Donne”, che incentiva l’assunzione di lavoratrici di qualsiasi età, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, provenienti dalle regioni meridionali o, se disoccupate da almeno 24 mesi, anche da altre regioni.
Passando alle ombre, la Manovra investe poco nel settore pubblico. Non prevede piani significativi di assunzione per medici e infermieri, proponendo per i medici solo un aumento di 14 euro netti nel 2025 e di 115 euro dal 2026, mentre per gli infermieri si parla di un incremento di soli 7 euro nel 2026 e di circa 80 euro dal 2026 in poi.
Limita il turnover dei dipendenti pubblici, con 8.000 tagli tra docenti e personale amministrativo nel settore scolastico. Riduce le prestazioni previdenziali, impattando nuovamente sul settore pubblico.
Complica inoltre il sistema fiscale, in particolare l’Irpef, mentre le misure di sostegno alla Zona Economica Speciale, come evidenziato dalla Banca d’Italia, aumentano l’incertezza per le imprese, “con possibili ripercussioni sulla capacità della misura di generare investimenti aggiuntivi”.
Questa manovra perde un’importante occasione: quella di aumentare il potere d’acquisto dei lavoratori attraverso una riforma organica del welfare.
Il welfare, secondo un modello ereditato dagli anni ’70, si rivolge ancora a una “categoria omogenea di lavoratori”, escludendo le aziende che offrono servizi gratuiti (dalla cura medica alle attività ricreative) o fringe benefits (che possono tradursi in erogazioni monetarie dirette) sia dalla detassazione che dalla decontribuzione.
Nelle aziende contemporanee, le categorie omogenee di dipendenti non esistono più, sostituite da lavoratori con esigenze personali uniche. Di conseguenza, il welfare è ancora troppo poco sfruttato a svantaggio della popolazione dipendente.
Inoltre, al welfare non accedono coloro che ne avrebbero più bisogno: numerosi lavoratori autonomi che, nei contesti produttivi, operano in regime di sostanziale mono-committenza, privi dei diritti garantiti ai dipendenti e con limitati guadagni economici.
È in questo contesto che lo sciopero del 29 novembre deve essere valutato. Sia che si condanni il Governo per averlo reso inevitabile, sia che si biasimino i sindacati per averlo proclamato senza ragioni valide, è necessaria clemenza. Come ricordava Albert Schweitzer nel 1932, lo spirito del nostro tempo inclina all’esagerazione nei toni, nelle forme, nel pensiero.
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