Se dire che viviamo nel cyberpunk realizzato può sembrare una banalità lo è meno notare che ciò avviene attraverso le forme dell’anarcocapitalismo globale. La storia degli ultimi vent’anni della Silicon Valley ha tracciato la via ma è il transumanista Elon Musk che tira la volata finale. Il quadro si fa più cupo se si osserva che le destre internazionali si stanno riconfigurando per farsi sempre più simili e compatibili con l’idea di cosa pubblica proposta da questi signori, a cominciare dalle relazioni sempre più strette anche con Milei e Meloni.
Per anarcocapitalismo o libertarianesimo (di destra) si intende indicare tutte quelle posizioni politiche, più o meno esplicite, che propongono – partendo da una base etica ultra individualista – lo smantellamento dello stato ma il perdurare della proprietà privata, oppure, lo stato minimo, con l’azzeramento del welfare ma l’uso dell’esercito e della polizia (ossia il monopolio sull’uso della violenza) e un potere legislativo ed esecutivo ridotto nei numeri e nella rappresentanza. Al di là delle definizioni, quello che emerge è un potere oligarchico che non ha più bisogno della vecchia democrazia per legittimarsi. Gli opinionisti dicono che questo governo dei pochi equivarrebbe in sostanza a un nuovo feudalesimo oppure a una tecnocrazia o a un ibrido tra questi.
Resta il fatto che ciò a cui stiamo assistendo è un fatale abbraccio tra i monopoli legati alle tecnologie digitali e il potere politico più reazionario degli ultimi anni. Le conseguenze che potenzialmente ne possono derivare sono motivo di preoccupazione per tantissime persone dato che si parla concretamente di controllo delle informazioni, fake news, sorveglianza degli oppositori politici, monitoraggio di spostamenti, consumi, interazioni e molto altro.
Ma da dove viene rapporto così stretto tra anarcocapitalismo e tecnologia digitale della Silicon Valley? Di fatto il libertarianesimo di destra ha una storia tutta sua e un po’ particolare. Si sviluppa a latere di dottrine politiche socialiste e libertarie, come quelle di Josiah Warren, Lysander Spooner e Benjamin Tucker, nell’ottocento degli Stati Uniti, nelle quali era forte la riflessione sull’individualismo. Queste idee vengo poi riprese a partire dagli anni quaranta del novecento e ibridate con le idee economiche della scuola austriaca, in particolare quelle di Ludwig von Mises e Friedrich von Hayek, da parte di pensatori quali Murray Rothbard, Any Rand, Robert Nozick, David Friedman.
Questo insieme di tendenze e idee percolano nelle controculture californiane degli anni sessante e settanta contribuendo a formare quell’Ideologia Californiana fatta di libertà individuale, libero mercato e proprietà privata che rappresenta il principale presupposto politico e culturale di buona parte degli innovatori delle tecnologie digitali, programmatori, esperti di sicurezza e nerd informatici. Ci sembra assolutamente rilevante comprendere quali siano i valori che ispirano questo milieu in quanto hanno contribuito a plasmare l’immaginario tecnologico collettivo e le società in cui viviamo.
Anni fa cercavamo di mettere in guardia i tecno ottimisti ingenui dicendo che la delega tecnica diventa molto rapidamente delega sociale. Ma quello che sta avvenendo segna un’ulteriore accelerazione, una fusione del potere politico e del potere economico nell’era digitale mai vesta prima: l’anarcocapitalismo dei «tecnobro» che si fa istituzione fascista.
Ora i nodi vengono al pettine ma questi nodi sono quelli di una rete che ci avviluppa dandoci l’illusione di potenziarci e così facendo decuplica il proprio potere – ormai è sotto gli occhi di tutt* – sia politico che economico. Allo stato attuale delle cose, è sempre più importante immaginare, creare e praticare alternative digitali (strumenti) e sociali che ci mettano al riparo dalle conseguenze di questa congiuntura economico-politica e che ci permettano di vivere in modo degno. Per farlo è però necessario fare un percorso che prevede una serie di passaggi.
Un primo passaggio è quello dell’uso degli strumenti. Siamo proprio sicuri che non possiamo intervenire sulle app commerciali che usiamo tutti i giorni, come, per esempio la cronologia di YouTube che registra costantemente i miei passaggi e la mia attività?
Posso modificare alcune voci per fare sì che la mia privacy sia tutelata un po’ di più continuando a usare quello strumento. Bisogna andare a vedere cosa si può fare e cosa no, ma il passaggio immediatamente successivo è cercare di capire quali siano, se ci sono, gli strumenti che mi profilino meno, e come li posso usare. Ossia quali servizi non sono compromessi con questa dinamica di appropriazione delle nostre vite. Programmi, servizi, strumenti, app di questo tipo ovviamente esistono, sono diffusi. Sono prevalentemente strumenti free software o open source e ci permettono di fare quello che facciamo già normalmente con le tecnologie commerciali, ma sono pensati per tutelare gli utenti e per far sì che le nostre identità digitali sia rimangano nostre. Questo è un primo livello: l’uso degli strumenti e quali strumenti adottare.
Un secondo passaggio riguarda il fatto che le nostre identità, sia quelle analogiche sia quelle digitali, si formano dalla relazione, dalle relazioni che intraprendiamo tra di noi e con gli strumenti. Le nostre pratiche di vita ci formano, ci informano e ci modellano. Allora, sapendo che siamo esseri relazionali, è giusto capire come certi strumenti pian piano modificano le nostre percezioni, le nostre abitudini.
Chiediamoci, come agisce sulla nostra interiorità l’identità digitale? Viviamo oramai nella società del controllo delineata da Deleuze decenni fa, solo che questo controllo è dato tanto dalle architetture delle piattaforme, dalle interfacce, dalle procedure gamificate, dalla costruzione dei database quanto dai valori interiorizzati, dagli stili di vita, dai modi di esistenza. Il lavoro di Bernard Stiegler mostra come le tecnologie commerciali rendano sempre più difficile i processi di soggettivazione, perché sostanzialmente l’utente viene schiacciato nella sua dimensione di consumatore in una cornice semantica evidentemente tutta orientata al marketing. A queste considerazioni possiamo affiancare la lezione di Foucault sulla cura del sé. L’insieme di pratiche che viviamo sulla nostra pelle e alle quali siamo esposte formano gli elementi della nostra interiorità e possono essere usate in senso disciplinare – o meglio di controllo – oppure in senso libertario. Il riferimento agli strumenti conviviali di Ivan Illich resta in questo senso centrale. Qui sono le comunità, le collettività che, partendo dai propri saperi e dai propri bisogni, stabiliscono di quali strumenti dotarsi e come, e del loro funzionamento.
A questo secondo passaggio se ne può aggiungere un terzo, più strettamente epistemologico perché se ci si auto-organizza collettivamente, ma si va a riprodurre esattamente le stesse dinamiche di potere, è un gioco a somma zero. Invece, per dare vita a una alterità radicale dobbiamo necessariamente mettere in discussione la razionalità strumentale che costruisce gli strumenti della tecnologia anarcocapitalista. Perché questa tecnologia nasce in un tempo storico preciso ed è una tecnologia prevalentemente bianca, specista, anti-ecologica e razzista. Non resta che biforcare e riappropriarci di noi stesse per dare vita a una tecnologia altra che sia a misura dei nostri desideri.
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