Mancano pochi mesi al 45° anniversario della strage di Bologna e la I sezione penale della Cassazione discuterà l’udienza del processo a Gilberto Cavallini, l’ex terrorista dei Nar condannato all’ergastolo in primo e secondo grado per aver dato, secondo l’accusa, alloggio a Luigi Ciavardini, Francesca Mambro e Valerio Fioravanti (già condannati in via definitiva), per aver aiutato nella compilazione della patente falsa poi usata da Fioravanti e per aver fornito l’auto con cui Mambro e Fioravanti avevano viaggiato da Villorba di Treviso a Bologna e ritorno. Cavallini, che ora ha 72 anni, è attualmente in semilibertà. Il 23 settembre del 2023 per il quarto Nar: Gilberto Cavallini è arrivata conferma della sentenza dei giudici dell’Assise di Bologna che nel motivare la condanna a definirono il massacro della stazione “una strage di Stato”, specificando il ruolo dei “Nar compromessi coi servizi segreti” e sottolineando che “depistaggi” riguardarono sono solo la mattanza del 2 agosto 1980 ma che “sono stati la regola da piazza Fontana a Ustica”.
La richiesta del pg – Il pg della Cassazione ha chiesto la conferma della sentenza di secondo grado e quindi dell’ergastolo. Nella requisitoria si afferma come Cavallini “avesse quantomeno una contiguità anche con contesti di Servizi deviati e con ambienti massonici, cui pure è riconducibile la strage. Inserendosi, come già osservato, in quel micidiale e si spera irripetibile humus nel quale convergevano Servizi deviati, P2 e parte dell’eversione nera allo scopo, evidentemente comune anche se per motivi forse differenti, di destabilizzare ed infine distruggere l’assetto democratico e costituzionale dello Stato Italiano”.
La sentenza di primo grado – Per i giudici di primo grado – a dispetto della ‘derubricazione’ poi corretta in appello in strage comune – fu “una strage di Stato” . Una strage politica dunque anche in virtù dei numerosi tentativi di deviare le indagini. “Lo si comprende in maniera già esaustiva e incontestabile dai depistaggi che vi sono stati, soprattutto quello consacrato nelle condanne definitive emesse a carico di Gelli, Musumeci, Belmonte, Pazienza (ossia uomini ai vertici delle istituzioni, o che le stavano metastatizzando con le loro consorterie, o che erano inviati speciali da paesi esteri). Queste persone – si leggeva nelle motivazioni di primo grado – non avrebbero avuto interesse a coprire e mandare impuniti quattro criminali che si divertivano a scatenare il panico nella popolazione e turbavano la convivenza sociale se in ballo non vi fosse stato anche il loro interesse. Nessuna logica può affermare il contrario“.
Ed ecco l’inserimento di piste straniere, tutte false e tutte smentite in radice: quella tedesca, quella libanese, spagnola, la monegasca (pista Ciolini), la libica e naturalmente quella palestinese la più famosa (archiviata nel 2015 dopo 9 anni di indagine, ndr) che la difesa dell’imputato Cavallini ha cercato di riportare nel processo. Il giudice ricorda che è “stato gettato un amo anche per una pista israeliana, troppo impegnativa però perché potesse essere accolta da qualcuno. Resta invece il fatto che quella di Bologna è stata una strage buona per tutte le piste, varie, eterogenee, tutte fungibili come pezzi di ricambio, per nulla imparentata l’una con l’altra, salvo che per un comune intento: negare la responsabilità di terroristi di destra italiani, servizi segreti italiani e istituzioni italiane, e dirottare tutto su imprecisate, fantomatiche e fantasiose organizzazioni estere, o su governi esteri che a loro volta reclutavano imprecisati e fantomatici mercenari. Anche questo non è senza significato. Ma è anche drammatico perché rivela come, da più parti, ma congiuntamente si sia sempre operato sistematicamente per nascondere la verità. Quella della strage di Bologna resta una vicenda costellata da una stupefacente convergenza di falsità e depistaggi, che dura tutt’ora”.
E Cavallini “era tutt’altro che uno ‘spontaneista’ confinato in una cellula terroristica autonoma. Nonostante la sua maniacale riservatezza il suo nome è comparso in molti scenari, direttamente e/o incidentalmente. Risulta chiaro che Cavallini, con i suoi ‘collegamenti, era pienamente consapevole dei disegni eversivi che coinvolgevano il terrorismo e le istituzioni deviate”. La corte boccia la parte di imputazione con il termine “spontaneista” che ha impedito un verdetto di colpevolezza per strage politica.
Una visione “che riconduce tutto alla dimensione autarchica di 4 amici al bar che volevano cambiare il mondo (con le bombe, ma anche con il solito corteo di coperture e depistaggi) lascia perplessi, anche perché non si sa attraverso quale percorso istruttorio e/o processuale si sia approdati a ciò”. Senza dimenticare che Cavallini avrebbe potuto essere processato molto prima. Il giudice cita una lettera di Valerio Fioravanti (sulla cui posizione e responsabilità insieme Francesca Mambro vengono dedicate moltissime pagine, ndr) scriveva: “Prendi ad esempio la strage di Bologna: perché io e Francesca ci siamo dentro e non ci sono i vari Cavallini, che pure vivevano con noi?”. Ecco per il presidente estensore Leoni “il fatto che il contributo agevolatore fosse integrato anche dalla semplice ospitalità concessa all’attentatore (che poteva dirsi pacifico anche solo in base a questo scambio confidenziale) era di immediata percezione anche per il profano. Ben trentotto anni fa”.
La sentenza di secondo grado – La strage in stazione del 2 agosto 1980 fu di matrice politica, una strage di Stato. Questo perché “il fine che muoveva i Nar era strettamente politico eversivo ed aveva come mira le strutture dello Stato democratico e la radicale distruzione della società; era quindi una strategia di radicale destabilizzazione del ‘sistema’”. Le oltre 350 pagine scritte dalla Corte d’assise d’appello di Bologna riqualificano quindi il reato da strage comune a politica (come chiesto dalla Procura generale), dopo che il giudice di primo grado pur riconoscendo la strage come politica, aveva sostenuto di non poter qualificare il reato in questo modo, optando per strage comune, stante la nozione di “spontaneismo” riferito ai Nar, richiamata dalla Procura ordinaria nell’imputazione. E sono legate a doppio filo a quanto già sostenuto dai giudici che hanno condannato Bellini, nell’individuare il ruolo nella strage dei servizi segreti deviati e della P2 di Licio Gelli.
“Può ritenersi che il Gelli – scrive la Corte – tramite i Servizi da lui dipendenti e che a lui rispondevano, finanziò e attuò la strage, servendosi come esecutori di esponenti della destra eversiva (Nar, esponenti di Tp e per quanto da ultimo accertato dalla Corte d’assise di Bologna, anche Avanguardia Nazionale)”. Tutto questo, sottolineano i giudici, “trovando terreno fertile in quei ‘ragazzini’ che in quella fase avevano il convergente interesse, nella loro prospettiva ideologizzata, a ‘disintegrare’ in radice le basi dello Stato democratico, innestandosi in tale intento anche rapporti di tipo economico”. A maggior ragione, quindi, “va riconosciuta la ricorrenza della matrice politica della strage”.
La sentenza affronta e smonta il tema degli alibi forniti dai Nar per i giorni dell’attentato alla stazione – “il 2 agosto 1980 era un giorno indimenticabile, non è dunque pensabile che ben quattro persone non ricordassero con esattezza dove si trovavano” – e in particolare su Cavallini, che aveva contatti “plurimi e continuativi” con i Servizi e la P2, sottolinea la “radicale falsità dell’alibi, il che è prova a carico”.
I giudici parlano di un “contributo agevolatore” di Cavallini per aver fornito alloggio a Mambro, Fioravanti e Ciavardini nella fase immediatamente precedente la strage, aver falsificato la patente intestata a Flavio Caggiula, consegnata da Ciavardini a Fioravanti, e infine aver messo a disposizione dei tre il veicolo per raggiungere il luogo della strage. La Corte poi sottolinea, anche se “non è stato possibile appurare se anche Cavallini si sia recato a Bologna”, quanto accertato “è già pienamente sufficiente, sul piano oggettivo, a configurare un apporto concorsuale”. Così come “è provato che Cavallini fosse ben consapevole di ciò che i sodali sarebbero andati a fare una volta lasciato Treviso”. Nelle motivazioni si legge infine che “l’incontro dei quattro coimputati la sera del 31 luglio e le successive condotte unitariamente tenute sono riprova di una meticolosa preparazione di un evento che li accomunava”, e poiché Cavallini “rivestiva un ruolo apicale” nei Nar, “il gruppo non avrebbe mai aderito (a commettere l’attentato, ndr.) senza il suo pieno consenso e la sua diretta partecipazione”.
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