Il grande pubblico conosce Wolfgang Stiller per i suoi “uomini fiammiferi”, ma la sua carriera spazia ben oltre queste opere. Nato nel 1961 a Wiesbaden, in Germania, Stiller è uno scultore concettuale con oltre quarant’anni di esperienza, il cui lavoro riflette un profondo interesse per la complessità dell’essere umano. Protagonista di oltre centoquaranta mostre personali e collettive, le sue opere sono presenti nelle collezioni di importanti musei internazionali, tra cui il Museo d’Arte Contemporanea di Wuhan (Cina); la Galleria Pfalzgalerie Kaiserslautern (Germania); il Museo K.E. Osthaus, Hagen (Germania); la Collezione pubblica della Terra d’Assia (Germania) e il Museo Bochum (Germania).
Le sue sculture, realizzate spesso con materiali insoliti come carta e legno, esplorano il concetto di metamorfosi e trasformazione, distinguendosi per la loro maestria tecnica e originalità concettuale. La diversità delle sue creazioni è testimone di una mente inquieta e brillante, sempre in evoluzione nel corso del tempo. Tuttavia, un filo conduttore attraverso il suo lavoro sembra essere una critica alla natura umana penetrante, sempre equilibrata da un tocco di giocosa ironia. Una delle sue serie più iconiche è “Matchstickmen”, nata in Cina, la cui forma è quella di enormi fiammiferi con teste bruciate, spesso interpretate come simbolo della “Burnout Syndrome” (sindrome da depressione professionale). Come ci ha raccontato, Stiller attribuisce alle opere ben altri significati, anche se preferisce lasciare libera l’interpretazione del pubblico, senza condizionarla. Proprio su questo corpus di opere l’artista ci ha rivelato che il loro successo è stato motivo anche di una profonda crisi, dovuta alle pressioni del mercato dell’arte, che spingono a conformarsi a uno stile che lui stesso trovava limitante.
Come sei passato dallo studio del design alla scultura?
Ero principalmente interessato alla pittura e al disegno, e ho capito che questa formazione alla fine mi avrebbe portato a un lavoro in un’agenzia pubblicitaria per cui non ero assolutamente interessato. Avevo già uno studio mio e facevo alcuni lavori che erano un misto di pittura ed elementi tridimensionali. Un amico ha portato il proprietario di una galleria e professore dell’Accademia di Belle Arti di Düsseldorf nel mio studio. Hanno presentato domanda per me all’accademia che poi mi ha accettato, e le cose hanno preso la loro strada. Quando ho iniziato come pittore ero già interessato allo spazio; quindi, è stato naturale finire nello spazio reale e tridimensionale.
Come prende vita la tua opera d’arte?
Normalmente ho un’idea e cerco di capire quali materiali sarebbero migliori per esprimerla nel modo più accurato possibile. Una volta deciso un materiale dipende tutto dallo studio e dal tentativo di avvicinarsi il più possibile alla mia idea. Non è che ce l’ho sempre chiara davanti agli occhi. A volte ci vuole un po’ per ottenere un risultato che si avvicina all’idea originale, e a volte prende una piega completamente diversa. Un po’ di tentativi ed errori.
Se è innegabile che sei uno scultore puro, hai per caso una predilezione per un materiale specifico?
Devo dire che non ho un materiale preferito. Anzi, amo talmente tanto la materia che cerco sempre di trovare e lavorare con nuovi materiali. In ogni caso, come ti spiegavo, scelgo il materiale in base alla mia idea e non realmente in base a una preferenza di materiale. Quindi prima viene l’idea, poi il come realizzarla. A volte scopro qualche materiale per caso che mi dà spunto per un nuovo lavoro, ma alla fine è sempre il lavoro che piega la materia, mai il contrario. Infatti, mi piace anche usare i materiali in un modo che vada contro la loro natura, come ho fatto con quei lavori a cera che sembravano oggetti congelati. La cera è un materiale che normalmente associamo al calore, alla fusione; io ho voluto dargli una sembianza diversa.
Sei caratterizzato da una produzione vasta, poliedrica ed eterogenea: c’è un filo comune nella tua ricerca artistica?
Negli ultimi quarant’anni ho realizzato molti lavori diversi, il che rende difficile per alcune persone scoprire un filo comune nel mio lavoro. In generale, cerco di trovare un linguaggio, nel mio caso la scultura, per esprimere scoperte o domande su argomenti che mi interessano. Nei miei primi anni ero davvero interessato alla scienza, mentre negli ultimi anni ho riflessioni su argomenti di rilevanza sociale. Sono cambiate le domande, quindi le risposte, ma il mezzo è rimasto sempre la scultura.
La tua ricerca sembra essere divisa in due momenti anche a livello estetico-formale: inizialmente le tue installazioni erano caratterizzate da oggetti sospesi, poi sono arrivati i volti e le figure umane.
Ho iniziato prima con grandi installazioni, tra cui i lavori che citavi tu. Per anni ho lavorato per comprendere il rapporto tra natura e artificio, mentre negli ultimi vent’anni la figurazione ha preso il sopravvento. Ero legato a quell’interesse di cui ti parlavo per la scienza: pensavo riflettesse lo stato mentale della nostra società. I miei primi veri lavori figurativi sono stati quei lavori gemelli in parte autobiografici e in parte legati alla scienza, forse sono stati un ponte tra i due “momenti”. Il gemello è un clone naturale in sé e questo lavoro rientrava nella categoria “naturale vs artificiale” e figurativo. A un certo punto però mi sono interessato di più alla figura umana e alla testa. È difficile dire perché. Ho trovato molto interessante lavorare con la testa umana senza il corpo. Ho fatto alcuni manichini per un film cinese che trattava dell’occupazione di Nanjing e del massacro commesso dai soldati giapponesi. Ho visto questa foto di teste mozzate disposte ordinatamente su un tronco d’albero che mi ha fatto una forte impressione. Ho rielaborato questo dramma e l’ho fatto mio.
Nascono così i tuoi iconici uomini fiammiferi che ti hanno fatto conoscere al grande pubblico. Sono un inno pacifista?
La politica c’entra poco, piuttosto è frutto del mio interesse per il buddismo. Gli “uomini fiammiferi” sono una metafora dell’impermanenza della nostra esistenza. Voglio che queste opere di fiammiferi che si consumano irrimediabilmente siano un memento mori, piuttosto che un messaggio politico, che proprio non è mai nelle mie corde. Spesso ritorna il tema dell’effimero dei miei lavori dall’uso della cera a questi grandi fiammiferi: non possiamo prevedere la durata delle nostre vite, dovremmo cercare di apprezzare ogni momento che abbiamo. Mentre alcuni potrebbero percepire il mio lavoro come negativo o cupo, io lo vedo invece come un catalizzatore per l’introspezione sull’essenza della vita. Come può essere negativo e cupo qualcosa che incoraggia la riflessione? Se lo fosse non ci penseremmo e proveremmo un senso di repulsione nei confronti di queste opere. L’effimerità e la vacuità dell’esistenza sono il mio pensiero principale dietro queste opere, ma è la motivazione che ho io per farli, e non l’unico modo in cui possono essere interpretate.
Perchè solo volti maschili e mai femminili?
Non raffiguro specificamente le mie figure umane come maschili; piuttosto rappresentano l’umanità nel suo complesso. C’è l’idea che gli artisti spesso creino figure che assomigliano alla forma del proprio corpo. Per me non è così. Quei volti sono universali: il fatto che non abbiano capelli li rende più “oggettivi” e meglio si adattano a essere metafora dell’effimera natura della nostra esistenza.
Domanda scomoda: il successo di queste opere con il volto umano e soprattutto degli “uomini fiammiferi” è stata un’opportunità o una schiavitù?
Va bene così, ora lo riesco a dire. Questa serie di lavori è forse un po’ più facile da capire rispetto ad altri lavori che ho fatto in passato, ma è innegabile che sono stato a lungo infastidito quando le persone riducevano sempre la mia intera produzione solo agli “uomini fiammiferi”. Ma è così che funziona il mondo dell’arte: le persone amano le etichette e vogliono vedere cose con cui sono familiari. Oggigiorno fare molte cose diverse come artista non è davvero gradito al mercato dell’arte: se noti, la maggior parte degli artisti sono conosciuti per un particolare tipo di lavoro che è subito riconoscibile. Picasso è forse l’unica eccezione. Ho fatto pace con questo. Faccio ancora molte opere diverse accanto agli uomini fiammiferi, ma accetto che vengano “meno apprezzate” e raccontate.
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