Come l’Ue può conciliare decarbonizzazione, competitività e coesione sociale

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 


Alla vigilia delle elezioni per il Parlamento europeo del 2024, si è molto speculato sul futuro del Green Deal, il piano complessivo dell’Unione europea (UE) per il raggiungimento dell’obiettivo zero emissioni nette entro il 2050. Il timore era che potesse essere smantellato contestualmente all’ascesa dei partiti di estrema destra, ma così non è stato: il centro pro-europeo ha mantenuto la maggioranza dei seggi nel Parlamento europeo, a indicare che l’Europa non intende invertire la rotta sul tema della transizione verde. Ciò nonostante, le oscillazioni verso l’estrema destra in diversi Paesi europei sono a loro volta un segnale, tra gli altri, che tra gli elettori persiste un certo disagio sulla politica climatica e che la questione va presa sul serio.

I rischi per il Green Deal
Due sono i principali rischi per il Green Deal europeo. Il primo è il continuo procrastinare che aleggia nel nuovo Parlamento europeo: data la crescente pressione da parte della destra, il Partito Popolare Europeo (PPE) di centro-destra potrebbe essere tentato di sollecitare dei rinvii o di raffreddare alcune delle disposizioni più controverse del Green Deal. I primi voti all’inizio della legislatura, a partire dalla fine dei 2024, come quello sulla regolamentazione contro la deforestazione, sono un segnale di questa tendenza, che potrebbe intensificarsi ulteriormente con l’attivazione delle clausole di revisione previste dalle norme del Green Deal. Un esempio emblematico è il divieto di vendita di nuove auto a motore endotermico a partire dal 2035, il cui riesame è previsto per il 2026. Resistere a questa tentazione è fondamentale: una riapertura dei fascicoli su cui si è trovato un accordo dopo anni di negoziati minerebbe la fiducia nella traiettoria verde dell’Europa, danneggerebbe l’industria europea e porterebbe a un rinvio degli investimenti verdi. Ne conseguirebbe un aumento dei costi per coloro che hanno già intrapreso la strada della transizione investendo in tecnologie pulite, dai processi industriali ad alta efficienza energetica fino alle auto elettriche, lasciandoli con la sensazione di essere stati traditi. In altre parole, è essenziale che il quadro di politica climatica sia credibile se si intende sostenere gli investimenti verdi del settore privato nei prossimi anni.

Il secondo rischio è rappresentato dall’indolenza dei governi nazionali. Mentre il Green Deal entra nella fase di attuazione dopo cinque anni di progettazione politica e legislazione, portare il tutto sul piano nazionale è ciò che davvero decreterà il successo o il fallimento delle ambizioni verdi dell’Europa. Nei prossimi cinque anni servirà una nitida accelerazione della de- carbonizzazione se l’UE intende raggiungere gli obiettivi climatici prefissati. A livello nazionale è necessario fare di più per decarbonizzare settori come l’edilizia e i trasporti, attraverso i quali la politica climatica entra nella vita quotidiana dei cittadini. Ci si aspetta che siano Germania, Francia, Italia e altri grandi Paesi a fare il grosso del lavoro, ma cosa succederebbe se i loro governi non lo facessero? La realtà è che l’Unione dispone di strumenti limitati per spingere i governi ad agire e per scongiurare questo rischio cruciale urge la messa in atto di una strategia di investimento verde. Ciò potrebbe comportare diverse misure, tra cui un uso migliore del bilancio dell’UE, l’attribuzione di un maggiore potere alla Banca europea in fatto di investimenti per finanziare la transizione verde, nonché l’istituzione di un nuovo Fondo verde da sovvenzionare mediante un nuovo debito comune europeo; quest’ultima sarebbe pienamente giustificata, trattandosi di un finanziamento una tantum per una transizione straordinaria, temporanea e vantaggiosa per le generazioni future.

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

Just transition e sviluppo industriale
La radicale trasformazione del Green Deal solleva alcuni complessi interrogativi su chi si farà carico dell’onere economico. Se quei costi finissero per ricadere in modo sproporzionato sui lavoratori (per non parlare della fetta della popolazione più povera e vulnerabile), la trasformazione acuirebbe la disuguaglianza e diverrebbe insostenibile da un punto di vista sociale e politico. Va da sé che questa non è un’opzione da considerare. Fortunatamente, un’adeguata pianificazione delle politiche climatiche può prevenire tale esito e favorire invece una maggiore uguaglianza sociale. Il Green Deal europeo già comprende il Just Transition Fund e il nuovo Social Climate Fund, vantando quindi un’eccellente base per un nuovo contratto sociale verde. All’UE non resta che semplificare e razionalizzare gli strumenti di finanziamento, così da fornire un supporto ancor più determinante ai più vulnerabili – ma anche alla classe media, che ha bisogno di sostegno per adottare alternative verdi, siano essi veicoli elettrici oppure impianti di riscaldamento domestico ecologici.

L’Unione deve poi trasformare la decarbonizzazione in una vera opportunità economica e industriale; per fare ciò, servirà un solido “Clean Industrial Deal” in grado di promuovere la decarbonizzazione unitamente alla crescita sostenibile e allo sviluppo industriale. Tale pacchetto di politiche, che la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen si è impegnata a promuovere nei primi 100 giorni del suo secondo mandato, rafforzerebbe il sostegno alla transizione verde, rendendola politicamente accettabile.

Una strategia industriale europea deve creare le giuste condizioni per gli investimenti: ciò significa in primis rendere le energie rinnovabili più accessibili e stimolarne l’impiego introducendo crediti d’imposta, riformando i mercati delle materie prime e altro ancora. Inoltre, si dovrà ridurre la burocrazia (senza annacquare la politica climatica), per esempio accelerando i permessi e migliorando l’accesso ai finanziamenti e ai mercati per mobilitare le risorse di cui necessitano da un lato i produttori di tecnologie pulite per crescere e dall’altro le industrie energivore per riorganizzarsi.

Fortuna vuole che esistano molti modi per potenziare gli investimenti verdi: uno di questi consiste nell’incorporare nel nuovo quadro fiscale dell’UE una norma sugli investimenti pubblici, un altro coinvolge maggiori finanziamenti per la Banca centrale europea per gli investimenti in modo da poter massimizzare la sua capacità di ridurre i rischi legati agli investimenti in energia pulita. L’Unione potrebbe inoltre mettere meglio a frutto il proprio bilancio comune istituendo un nuovo fondo europeo per la competitività (che anche von der Leyen ha promesso di introdurre), così da stimolare l’innovazione e legare le spese all’attuazione dei piani nazionali per l’energia e il clima degli Stati membri. Anche una combinazione di risparmi e investimenti potrebbe essere d’aiuto, poiché contribuirebbe alla realizzazione di un mercato finanziario europeo più solido.

Una strategia del genere potrebbe avvalersi di appalti pubblici per la creazione di un mercato interno riguardante tecnologie 46 pulite innovative e prodotti realizzati in Europa. Poiché la gestione di risorse come l’acqua sta acquisendo sempre più centralità, anche le misure legate all’economia circolare e alla tutela dell’ambiente dovrebbero naturalmente avere un ruolo di primo piano.

Accanto a tutto ciò, bisogna riflettere su come integrare la transizione in materia di energia pulita con quella digitale, superando le contraddizioni tra due: se da un lato i data center, per esempio, richiedono molta energia, dall’altro le tecnologie digitali saranno fondamentali per gestire in modo efficiente il futuro sistema energetico.

Da ultimo, è necessario formare i lavoratori per le occupazioni del futuro, così da mitigare l’impatto sociale della transizione energetica, soprattutto nelle regioni con industrie ad elevate emissioni di carbonio.

Gli strumenti per il finanziamento
Per affrontare le sfide specifiche dei diversi settori, un Clean Industrial Deal dovrebbe sostenere con sussidi le filiere strategiche in ambiti tecnologici in cui l’Unione europea gode di un vantaggio comparativo, considerando al contempo gli equilibri tra decarbonizzazione, competitività e sicurezza. Questo obiettivo potrebbe essere raggiunto attraverso una “europeizzazione” quanto più ampia possibile. Seguendo le raccomandazioni del recente rapporto di Mario Draghi sulla competitività europea, sarà fondamentale indirizzare i finanziamenti pubblici verso progetti importanti di interesse comune europeo (IPCEI) e potenziare l’utilizzo di strumenti come l’Innovation Fund. Gli schemi innovativi promossi dalla Hydrogen Bank – tra cui le “auctions-as-a-service” che consentono agli Stati membri di integrare i fondi dell’Innovation Fund per sostenere un numero maggiore di progetti, e i “carbon contracts for difference” per aiutare le imprese a proteggersi dalle future oscillazioni dei prezzi – potrebbero fungere da modello.

Cessione crediti fiscali

procedure celeri

 

Per garantire che le scarse risorse siano assegnate agli IPCEI, il fondo europeo per la competitività dovrebbe essere strutturato in modo tale da combinare strumenti finanziari nuovi con quelli già esistenti. Inoltre, il nuovo quadro fiscale dell’UE dovrebbe riservare un trattamento preferenziale al sostegno nazionale per i progetti e si dovrebbero compiere sforzi per reperire finanziamenti dalle entrate generate dal sistema di scambio delle quote di emissione dell’UE e dai carbon contracts for difference degli Stati membri. Qualsiasi piano per la decarbonizzazione industriale su larga scala può essere credibile solo se include misure concrete per ridurre il costo del capitale e fornire risorse sufficienti.

Il Clean Industrial Deal, al pari del Meccanismo di Adeguamento del Carbonio alle Frontiere dell’UE e della normativa sulla deforestazione, avrà ripercussioni globali. Per attenuare le tensioni geopolitiche e diversificare le fonti di materie prime critiche e componenti, l’UE potrebbe sviluppare partenariati commerciali e di investimento puliti con Paesi terzi strategici. Collaborare con governi non appartenenti all’UE sugli obiettivi legati all’energia verde sarebbe un passo decisivo per rafforzare la competitività e la sicurezza europee.

Tuttavia, questi partenariati possono essere istituiti solo a due condizioni. Primo, il cosiddetto “approccio Team Europe”, in cui gli Stati membri uniscono le forze nelle azioni esterne, deve essere potenziato per aumentare il peso dell’UE nei Paesi terzi. Secondo, tali partenariati devono essere coordinati a livello di vicepresidente esecutivo, per garantire coerenza e impatto nelle politiche complessive.

In conclusione, si può affermare che la fattibilità politica del Green Deal europeo nei prossimi anni dipenderà in larga misura dall’attuazione da parte dell’UE di un pacchetto di politiche che combini gli sforzi di decarbonizzazione con misure per rafforzare la competitività e la coesione sociale. Compito principale della nuova Commissione europea in quest’ambito è quindi quello di porre in essere un forte Clean Industrial Deal, anche seguendo la linea tracciata nel rapporto Draghi.

Simone Tagliapietra è Senior fellow presso il think tank Bruegel e docente presso la European University Institute e la Johns Hopkins University.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato sul numero 62 di We – World Energy, il magazine di Eni.

Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link