Diniego compatibilità paesaggistica: nuovi chiarimenti dal Consiglio di Stato

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Importanti precisazioni in materia di competenze amministrative
tra organi politici e dirigenziali, con particolare riferimento ai
provvedimenti di diniego di accertamento della compatibilità
paesaggistica, arrivano dal Consiglio di Stato.

Diniego compatibilità paesaggistica: la sentenza del Consiglio
di Stato

Con sentenza n. 9587 del 29
novembre 2024
il Consiglio di Stato ha sottolineato che
l’adozione di atti amministrativi legati alla gestione tecnica è
esclusiva competenza dei dirigenti o, in loro assenza, dei
responsabili di servizio, come sancito dal D.lgs. n. 267/2000
(TUEL).

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L’Amministrazione è libera di esercitare il proprio potere, ma è
comunque soggetta al rispetto di specifici limiti normativi, come
quelli riguardanti la sfera di intervento del
Sindaco
, che non può disporre provvedimenti spettanti alle
competenze dirigenziali, come ad esempio un diniego di
accertamento della compatibilità
paesaggistica
.

Il caso di specie

Nel caso oggetto del nuovo intervento di Palazzo Spada, viene
accolto un ricorso per l’annullamento del diniego della
compatibilità paesaggistica richiesta ai sensi
dell’art. 167, comma 4 del D.lgs. n. 42/2004
(Codice dei beni culturali e del paesaggio) e del
pregresso parere negativo espresso dalla Soprintendenza.

Il ricorso nasce da una controversia relativa a un provvedimento
di diniego firmato dal sindaco del Comune, che negava la
compatibilità paesaggistica per un edificio annesso rurale
temporaneo. Il Consiglio di Stato ha accolto l’appello, annullando
il provvedimento per incompetenza del sindaco. La competenza
esclusiva spetta, infatti, al responsabile dell’Ufficio Edilizia
Privata, come previsto dalla normativa.

In particolare, viene rilevato che l’adozione di un
provvedimento come quello di diniego della compatibilità
paesaggistica attiene alla competenza esclusiva del
responsabile del Servizio
, o in sua assenza, del vicario
facente funzioni, ma non del Sindaco, la cui sfera di
competenza
è definita in maniera ben precisa
dall’art. 50 del D.lgs. n. 267/2000 (Testo
Unico sull’ordinamento degli Enti locali
).

La sentenza spiega che la ripartizione delle competenze
amministrative tra organi politici e burocratici dev’essere
condotta in base alla distinzione tra atti di gestione e
atti di indirizzo
, e l’attività gestionale amministrativa
rientra interamente nella sfera delle competenze dirigenziali, non
in quella degli organi politici.

Nel caso in esame, un accertamento di compatibilità
paesaggistica richiesto sul progetto in sanatoria di un edificio
annesso rurale-rimessa agricola temporanea è stato negato sulla
base di un provvedimento di diniego firmato dal
Sindaco
, che deve quindi essere annullato.

Diniego sanatoria e compatibilità paesaggistica: come si
contestano

Un aspetto cruciale della sentenza riguarda l’interazione tra il
silenzio-rigetto e il diniego espresso. L’art. 36, comma 3, del
Testo Unico Edilizia (D.P.R. 380/2001) stabilisce che, trascorsi 60
giorni dalla presentazione di una richiesta di sanatoria senza
risposta, si forma un tacito diniego. Tuttavia, l’amministrazione
conserva il potere di adottare un diniego espresso, che sostituisce
integralmente il precedente atto tacito.

Una volta formatosi il rifiuto tacito, l’Amministrazione non ha
alcun obbligo di provvedere espressamente alla definizione della
richiesta, ma comunque non perde il potere di adottare un
diniego
espresso e motivato, in quanto è libera di
esercitare il proprio potere e riesercitarlo per sostituire proprie
precedenti determinazioni.

Qualora il Comune decidesse di intervenire con un
provvedimento espresso
, tale atto andrebbe a
sostituire quello tacito
precedente, come è accaduto nel
caso in esame, dove il ricorrente ha correttamente provveduto
all’impugnazione del solo atto espresso, e non anche di quello
tacito.

Seppure sia corretto, quindi, quanto pronunciato dai giudici del
TAR in merito al fatto che sull’istanza di sanatoria si sia formato
un silenzio rifiuto che non è stato impugnato, si
evidenzia però che il Comune abbia successivamente svolto una
propria istruttoria e trasmesso il progetto alla Soprintendenza per
l’emissione del parere.

L’impugnazione del provvedimento di diniego
espresso
risulta pertanto sufficiente ai fini della
validità del ricorso, anche se non è mai stato effettivamente
impugnato il silenzio rifiuto.

Il ricorso è valido, inoltre, anche se non è stato impugnato
nell’immediato l’atto di rigetto dell’istanza di
autorizzazione paesaggistica
, essendo sufficiente
l’impugnazione dell’atto conclusivo del procedimento.

Secondo una consolidata giurisprudenza, infatti, “è
inammissibile il ricorso proposto contro un parere – ancorché esso
sia vincolante – quando non sia impugnato anche l’atto conclusivo
del procedimento
”.

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Nel caso del diniego della compatibilità paesaggistica, il
soggetto interessato ha l’onere di impugnare
congiuntamente
l’atto comunale conclusivo del procedimento
e il parere negativo presupposto – versando peraltro un contributo
unificato – mentre non ha alcun obbligo di provvedere prima
all’impugnazione del parere negativo e successivamente a quella
dell’atto conclusivo procedimentale – che comporterebbe, inoltre,
il versamento del contributo due volte.

In sostanza, pur essendo necessaria l’impugnazione sia del
rigetto definitivo che del parere negativo sul quale il rigetto si
basa, non c’è alcun obbligo di impugnazione immediata del
parere
della Soprintendenza, che, anche avendo natura di
atto decisorio con efficacia preclusiva, ha comunque carattere
endoprocedimentale non conclusivo del procedimento di
accertamento di conformità paesaggistica art. 167, comma 5 del
Codice
dei beni culturali.

Il ricorso, quindi, è stato accolto, con conseguente
obbligo di riforma della sentenza impugnata e
annullamento del provvedimento del Comune.

La pronuncia ribadisce il principio fondamentale della
separazione tra indirizzo politico e gestione tecnica: il sindaco,
in qualità di organo politico, non può adottare atti di gestione,
come previsto dall’art. 50 del TUEL. Questa distinzione mira a
garantire trasparenza e professionalità nella gestione
amministrativa, limitando il rischio di vizi procedurali. La
sentenza rafforza, in definitiva, l’obbligo per le amministrazioni
comunali di rispettare rigorosamente le competenze attribuite a
ciascun organo. Essa rappresenta un richiamo per i professionisti e
gli amministratori pubblici a operare nel rispetto delle regole,
evitando sovrapposizioni di ruoli che possano compromettere la
validità degli atti amministrativi.





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