Il Crocchio dei Goliardi Spensierati torna col suo irresistibile Nerone – L’Arno.it

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 


Il teatro e lo spettacolo in genere vanno da sempre a braccetto con la beneficienza. È un modo intelligente e generoso per dare una mano a chi sta in difficoltà. Tra le tante compagni teatrale amatoriali del nostro territorio sempre disponibili a titolo gratuito ad esibirsi per una giusta causa brilla il Crocchio dei Goliardi Spensierati. Questa formazione artistica specializzata in vernacolo pisano domenica 19 gennaio porterà in scena il classico “Nerone” presso il Teatro parrocchiale di Santo Stefano (Pisa) alle ore 16 per l’Associazione Fraternità Alleanza. Un’iniziativa importante perché vede protagonista il vernacolo, importante caratteristica culturale della città della torre pendente.

Non si tratta di un dialetto dato che è molto vicino alla lingua italiana e registra soprattutto cambiamenti nei suoni, nelle forme verbali e nel lessico. Il vernacolo pisano venne inserito da Dante Alighieri tra i 5 fondamentali dell’area linguistica toscana. Ha una matrice popolare che non scade nel becero, ha pronta la battuta spiritosa e la critica pungente, è venato di malinconia per il passato glorioso ormai alle spalle e per i sentimenti individuali. Per saperne un po’ di più su questo spettacolo così degno d’interesse abbiamo cercato il presidente del CGS Lorenzo Gremigni facendo con lui una piacevole chiacchierata.

Come dico sempre a tutti gli intervistati si presenti…
“Mi chiamo Lorenzo Gremigni, sono un avvocato di quasi 50 anni ma quando ho iniziato ad occuparmi di teatro in vernacolo ero uno studente di 18. Quindi ho dietro di me una lunga strada che ha visto la rinascita del Crocchio ad opera della mia generazione (primi anni 2000) in piena sintonia con quella precedente. È da circa 25 anni che sono presidente del CGS, il che vuol dire, al di là del titolo altisonante, il più “bischero” di un discreto gruppo di “brodi” ormai piuttosto conosciuti in città e non solo”.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Ci parla un po’ del Crocchio?
“Il Crocchio è forse l’associazione studentesca più antica d’Italia ancora in piena attività, essendo nata nel 1921. Da circa un quarto di secolo il Crocchio ha raccolto l’eredità culturale della parodia vernacola, un filone teatrale tipico dell’esperienza goliardica pisana che viene rappresentata con diverse modalità, da quelle grandiose degli spettacoli al Verdi con coro, balletto, orchestra, figuranti, a quelle minime quando siamo pochi attori a recitare in un piccolo teatro parrocchiale o in una sagra, magari all’aperto. Quindi si va da un nucleo minimo di una decina di attori a circa un centinaio tra collaboratori più o meno occasionali: ma si tratta sempre un gruppo di amici che ha come unico comandamento quello di divertirsi facendo divertire il pubblico che sta al gioco”.

Il Nerone da chi fu scritto, quando e perché?
“Questa non è affatto una domanda semplice. Ho fatto delle ricerche sia sui testi che parlando con molti testimoni ormai scomparsi. La prima del Nerone risale al novembre del 1945, al Teatro Rossi. Le musiche erano del grande “Nocciolo” vale a dire Bruno Bardi, recentemente mancato a quasi 101 anni di età: molti tra questi motivi sono diventati celebri nel nostro ambito. La tradizione goliardica lo attribuiva scherzosamente a Beppe Del Genovese (l’autore della canzonetta “Bimbe di Pisa”, l’Inno del CGS), che però in quel periodo si trovava in America Latina. Probabilmente si trattò di un lavoro a più mani quantomeno di Guido Gelli (l’indimenticabile “Guidelli”) e forse di Francesco “Cecco” Patti, che poco prima aveva tentato la sorte con una “Giulietta e Romeo” che ebbe poco successo. Il copione attinge parzialmente da alcune pagine di Petrolini e probabilmente da alcuni pezzi trasmessi via radio e andati perduti. La pièce ebbe notevole successo per l’indovinata struttura della drammaturgia, impostata sulla falsariga delle “riviste” del dopoguerra. Dopo numerosissime repliche in tutta Italia per un decennio circa,
“Nerone” venne riproposto saltuariamente nei decenni successivi fino al 1992 quando fu rappresentato con grande concorso di energie al Teatro Verdi dai “vecchi” del Crocchio”.

Quante volte l’avrete rappresentato?
“Il “nostro” Nerone risale al 2002, ed è naturalmente una versione aggiornata, del tutto riscritta sia per le esigenze di una piccola compagnia che per dilettare un pubblico moderno. È stato rappresentato penso una ventina di volte all’anno, quindi non credo di sbagliare se ritengo di averlo interpretato in oltre 100 rappresentazioni. Lo abbiamo rappresentato sempre in Toscana (mi pare) perché quando ci hanno chiesto di esibirci fuori abbiamo sempre preferito, chissà perché, altri titoli del nostro repertorio. Ma quando abbiamo voluto ricordare un nostro amico e attore immaturamente scomparso, Gianluca Guelfi di Grosseto, non abbiamo avuto dubbi e il “Nerone” ha risuonato in sua memoria al “Cassero” maremmano a mò di saluto, Perché il vernacolo serve anche per ridere, ma è una cosa seria”.

Qual è il posto più lontano in cui vi siete esibiti?
“Con la “Traviata”, nel 2006, siamo stati ad Ancona al concorso nazionale di teatro dialettale ed abbiamo pure vinto un premio. Il posto geograficamente più lontano dove ci siamo recati è Bruxelles: anche qui una Traviata per l’Istituto Italiano di Cultura, nel 2004. Solo dopo la rappresentazione abbiamo appreso che una parte del pubblico particolarmente scatenata era composta da stranieri: forse il pisano è la nuova lingua universale?”.

Di cosa parla il Nerone?
“Dopo tanti anni non l’ho ancora capito (ride). La società romana coi suoi vizi viene messa in ridicolo: oggi può quasi apparire una farsa di genere, quasi da commedia dell’arte, ma nel 1945 era una critica precisa alla situazione del dopoguerra, come stanno a certificare alcune memorabili battute”.

Quante e quali opere avete nel vostro repertorio?
“Francesca da Rimini, Nerone, La Traviata, Otello: ciascuna con decine e decine di rappresentazioni all’attivo. Nell’ultimo decennio abbiamo portato un po’ dappertutto anche “Vernacolo in Musica”, uno spettacolo letterario musicale divertente e d’intrattenimento ma con una solida base culturale, di cui è una sorta di continuazione scanzonata la “Disfida vernacola tra Pisa e Livorno” che condividiamo coi nostri “cugini” labronici della compagnia “La Combriccola”. Senza dimenticare la drammaturgia “Gli studenti Pisani a Curtatone”, più volte rappresentata (anche al Teatro Verdi) con grande successo in occasione dell’anniversario della Unità d’Italia e poi del ’48, ed infine quell’indiscusso capolavoro drammatico che è “Macerie” di Domenico Sartori che ha commosso ed emozionato i pisani nel 2019, mancando dalle scene per quasi sessant’anni“.

Perché continuare a coltivare il vernacolo?
“Un po’ per missione in un duplice senso: per prima cosa, se si smette, il vernacolo potrebbe essere “del gatto”. Non è presunzione, anzi è una affermazione seria e ponderata: siamo così pochi ormai ad occuparci di vernacolo che ciascuno di noi è indispensabile. Sul Crocchio grava quindi una responsabilità, quella di sostenere e di divulgare finché è possibile sia il vernacolo in generale e quello teatrale in particolare, sia quella eredità culturale ormai antica di circa 130 anni che è la parodia goliardica in vernacolo. In secondo luogo, la missione consiste nel non deludere le aspettative dei moltissimi appassionati che, continuamente, ci domandano quando torneremo sulle scene. Chiudere il sipario non sarebbe giusto e forse neanche possibile”.

Il pubblico ama sempre il vernacolo?
“Appunto. Lo ama moltissimo. A volte lo ama e non lo sa. Ha dietro una storia che parte dai sonetti del Fucini nel 1872 e tira a dritto sino ad oggi, sedimentata nella nostra identità culturale: finché questa non sarà totalmente mutata, il vernacolo continuerà a parlare al cuore di chi lo ascolta“.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

A Pisa il vernacolo è più o meno seguito rispetto ad altre città toscane?
“È piuttosto seguito e ha una sua “organizzazione” che passa attraverso la rivista “Er Tramme” (40 anni di pubblicazioni ininterrotte), diverse associazioni teatrali, concorsi vernacoli, una ventina di scrittori tra bravi e così e così, spettacoli con cadenza pressoché periodica presso teatri sempre ospitali e con immancabili “esauriti”. Direi che è molto, anche se si potrebbe certo fare di più, come corsi di vernacolo, vernacolo nelle scuole, pagine di vernacolo sui quotidiani: tutte cose di cui si sente la mancanza. Nelle altre città toscane il vernacolo è apprezzato, ma non presenta la solidità letteraria e teatrale che può vantare l’esperienza pisana. Livorno fa eccezione, nel senso che è una città dove il vernacolo brulica continuamente: teatri, ristoranti, stabilimenti balneari e pure la tv pullulano di comici, musicisti e compagnie teatrali che portano il vernacolo. L’attenzione dei cittadini e degli enti per il vernacolo è davvero strabiliante, perché il linguaggio popolare è considerato un elemento essenziale della livornesità. È però una tradizione vernacola che poggia, più che su di un sedimento letterario, sulla ricchissima tradizione canora e barzellettaiola livornese e su quel teatro schiettamente popolare che forse solo a Livorno sino a poco tempo fa riusciva ancora a costituire per taluni “mostri” un vero e proprio mestiere”.

Qual è l’associazione per cui vi esibirete domenica 19 al Teatrino di Santo Stefano?
“Si chiama AFA – Associazione Fraternità Alleanza – ed ha lo scopo di recuperare a una vita degna le persone che vivono nella favela brasiliana di Foz do Iguaçu attraverso la fornitura di cibo (specialmente latte ai bambini), il supporto alle famiglie, la costruzione di abitazioni, scuole e centri di accoglienza. Posso dire con un certo orgoglio che il CGS si esibisce annualmente per AFA da circa 15 anni con uno spettacolo tradizionalmente a gennaio, e che in questo lungo periodo sono state raccolte delle somme veramente sostanziose grazie alla generosità del numeroso pubblico intervenuto. Ed è allora giusto ricordare che attraverso il vernacolo si possono compiere dei grandi gesti di solidarietà, per questo chi si occupa di spettacoli in vernacolo è coinvolto spesso e volentieri in eventi di questo tipo, che a noi fanno immenso piacere”.

Vi hanno contattato loro o lo avete fatto voi?
“Ormai l’appuntamento è annuale. Comunque è abbastanza difficile che io proponga i nostri spettacoli. Solitamente gli enti ci chiamano, specie se si sparge la voce (ma la vorrei smentire!) che si recita volentieri aggratisse”.

Impegni futuri?
“Stiamo organizzando adesso il calendario del 2025. Ma senza furia! Intanto vediamoci domenica in Santo Stefano per questo ritrovato “Nerone”, poi di ‘osa nasce ‘osa…”.

Una bella proposta da accettare senza indugio alcuno. Bravi e tutti a vernacolare!

Guido Martinelli

Cessione crediti fiscali

procedure celeri

 



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link