Pensioni, si torna a parlare di 3 modifiche. E non sono positive, anzi.

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Quali sono le nuove modifiche alle pensioni che tornano in discussione? Anche il 2024, come molti anni precedenti, si è concluso con un nulla di fatto per le tanto attese novità per le pensioni auspicate.

Ancora una volta non c’è stata alcuna revisione dell’attuale riforma pensionistica e i requisiti per lasciare il lavoro sono stati ancora confermati a 67 anni di età e 20 anni di contributi per la pensione di vecchiaia e con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e un anno in meno per le donne, e a prescindere dal requisito anagrafico in entrambe i casi, per la pensione anticipata ordinaria. Vediamo quali sono le modifiche di nuovo al vaglio, che non sembrano poi essere così positive.

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  • Cancellare i tre mesi di aumento dell’età pensionabile per adeguamento all’aspettativa di vita 
  • Eliminare le pensioni anticipate per rendere il sistema sostenibile 
  • Via libera ad un superbonus per chi resta a lavoro fino a 71 anni

Cancellare i tre mesi di aumento dell’età pensionabile per adeguamento all’aspettativa di vita 

Una delle prime modifiche alle pensioni di cui si è tornato a discutere riguarda la cancellazione dei tre mesi di aumento dell’età pensionabile legati all’adeguamento all’aspettativa di vita.

A rilanciare la misura è stato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che ha parlato di una sterilizzazione dell’incremento, spiegando che la Ragioneria di Stato è ferma sui decreti per l’aumento perché si attendono i dati definitivi dell’Istat sull’andamento della speranza di vita, che presumibilmente saranno resi noti il prossimo mese di marzo, e le conseguenti decisioni definitive della politica.

La modifica sull’aumento dell’età per l’uscita per l’aspettativa di vita, con la sterilizzazione di cui parla Giorgetti, sarebbe certamente positiva perché non permetterebbe all’età per andare in pensione di aumentare ma, allo stesso tempo, bloccherebbe il sistema e implicherebbe l’impiego di molte, moltissime risorse.

Le stime parlano di circa 4 miliardi di euro. Anche il presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, Alberto Brambilla, parla della necessità di bloccare l’anzianità contributiva agli attuali 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 e 10 per le donne, con riduzioni per donne madri e precoci, ma a patto di compiere contemporaneamente ulteriori scelte oculate che permettano la sostenibilità del sistema.

Non sono stati lanciati allarmismi sulle pensioni, al contrario. Il sistema è stato definito sostenibile, ma sono comunque necessarie scelte, soprattutto alla luce di un’occupazione che è tornata a salire e del miglioramento del rapporto attivi-pensionati.

Eliminare le pensioni anticipate per rendere il sistema sostenibile 

Secondo il Centro Studi (molto seguito e considerato dai politici), per garantire la tenuta del sistema, bisognerebbe limitare le uscite anticipate, cancellare del tutto nuovi canali di prepensionamento ed evitare misure come le decontribuzioni, dal bonus mamme alla decontribuzione Sud. 

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L’obiettivo su cui si punta è diminuire le eccezioni per andare in pensione prima (come la quota 103 o l’ape sociale), modifica che permetterebbe di risparmiare risorse ma cancellerebbe la possibilità per molte categorie di persone di decidere di lasciare prima il lavoro, anche a causa dell’attività svolta.

Allo stesso tempo, si punta a definire un superbonus per chi rimane a lavorare fino a 71 anni.

Via libera ad un superbonus per chi resta a lavoro fino a 71 anni

Per recuperare soldi e per ridurre la spesa assistenziale (che ha inciso per oltre 92 miliardi sulla spesa complessiva) che, insieme agli esoneri contributivi, costa sempre più, secondo il presidente di Itinerari previdenziali, si potrebbe anche prevedere un superbonus per coloro che decidono di restare al lavoro fino i 71 anni di età, premiando così chi continua ad effettuare versamenti contributivi. 

La misura potrebbe certamente garantire trattamenti più corposi a chi uscirà più tardi, ma ci si chiede, al tempo stesso, se sarà penalizzante per chi, al contrario, andrà in pensione prima.


 



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