La Camera dei Deputati si appresta a discutere una proposta di legge sulla partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese. Dietro l’apparente intento di collaborazione, tuttavia, emergono dubbi e criticità: questa legge rischia di trasferire ulteriormente il peso degli obiettivi aziendali sulle spalle dei lavoratori.
La partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese è un principio sancito dalla Costituzione italiana (art.46), che sembra essere rimasto però inattuato per decenni. La proposta di legge in discussione alla Camera, per cui la Cisl è promotrice della campagna firme, mirerebbe a cambiare questa situazione, ma rischia pero di andare incontro a grossi rischi. Dietro l’enfasi sulla collaborazione, infatti, si intravedono potenziali falle: la nuova legge potrebbe infatti non garantire una reale tutela dei lavoratori, ma contribuirebbe a spingerli a una maggiore subordinazione alle logiche aziendali.
La proposta di legge: cosa prevede e perché preoccupa
La proposta di legge attualmente in discussione alla Camera punta a incentivare la partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese attraverso un approccio “flessibile” e non “vincolante”. Si tratta di una cosiddetta “soft law”, cioè una normativa che non impone obblighi rigidi e prescrittivi, ma fornisce indicazioni, strumenti e incentivi per favorire un determinato comportamento. In altre parole, non obbliga le imprese a seguire delle regole precise, ma le incoraggerebbe ad adottare modelli partecipativi attraverso soluzioni personalizzabili.
L’obiettivo è quindi quello di promuovere un clima di collaborazione tra lavoratori e datori di lavoro, lasciando però solo alle aziende la libertà di scegliere come implementare questi modelli, adattandoli alle proprie esigenze e specificità. Per sostenere questa transizione, la legge prevede l’istituzione di un fondo incentivante, finanziato con 70 milioni di euro stanziati dalla recente legge di Bilancio. Questi 70 milioni di euro dovrebbero servire a supportare le imprese che introducono modalità innovative di partecipazione, come l’integrazione del salario con premi legati ai risultati aziendali o l’offerta di benefit aggiuntivi.
L’idea di fondo è che, coinvolgendo i lavoratori nella definizione e nel raggiungimento degli obiettivi aziendali, si possano creare relazioni industriali più cooperative e meno conflittuali. Proprio questo legame tra partecipazione e risultati aziendali solleva però delle grosse perplessità: il rischio è infatti che la retribuzione dei lavoratori venga subordinata alle performance dell’azienda, aumentando quindi la loro esposizione a dinamiche economiche e produttive che spesso non vengono controllate.
Più rischi che benefici per i lavoratori
La proposta non convince ancora tutti, sicuramente non convince Cgil che evidenzia infatti alcune criticità fondamentali: legare il salario ai risultati aziendali significa che i lavoratori rischiano di vedere la propria retribuzione variabile in funzione delle performance dell’impresa. Se l’azienda cioè non raggiunge gli obiettivi prefissati, il lavoratore potrebbe subire perdite economiche ingenti, anche quando il suo impegno personale non è in discussione. La partecipazione agli obiettivi aziendali potrebbe anche tradursi in un’intensificazione dei ritmi di lavoro e in una maggiore responsabilizzazione dei dipendenti, senza che ciò si accompagni a una reale condivisione del potere decisionale.
Come ultima preoccupazione c’è il fatto che la mancanza di un modello uniforme e obbligatorio può lasciare spazio a disparità tra le imprese e i lavoratori. In contesti meno favorevoli, gli impiegati potrebbero non beneficiare quindi realmente della partecipazione, rimanendo così esposti a condizioni contrattuali precarie. Non solo: nonostante l’intento di ridurre i conflitti industriali, il nuovo modello potrebbe generare nuove tensioni, soprattutto se il peso degli obiettivi aziendali ricadrà eccessivamente sui lavoratori.
La Cgil, attraverso il suo segretario Maurizio Landini, ha espresso insomma un chiaro dissenso: secondo Landini, questa legge potrebbe accentuare la dipendenza del salario dai risultati aziendali, minacciando quindi la stabilità economica dei lavoratori e rendendo più difficile la contrattazione collettiva. Per il segretario Cgil, invece, la priorità dovrebbe essere una legge sulla rappresentatività sindacale, per rafforzare il ruolo delle organizzazioni che tutelano i lavoratori. Di contro, la Cisl continua a sostenere il provvedimento, definendolo un passo avanti verso un modello di relazioni industriali più moderne e collaborative. Una visione ottimistica che potrebbe però non tener conto degli effetti negativi di un sistema che potrebbe privilegiare solo e soltanto gli interessi delle imprese.
Senza un adeguato sistema di garanzie, insomma, il rischio è che i lavoratori, più che essere messi al centro, si trovino ad affrontare nuove forme di pressione e insicurezza.
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