Pantaleone PAGLIULA
Nonostante la tecnologia messa in campo negli ultimi anni e le azioni di risparmio adottate, le scarse piogge e le temperature oltre la media soprattutto nello scorso anno continuano a ridurre la disponibilità di acqua nella nostra Regione. La siccità non dà tregua, per questo motivo Acquedotto Pugliese è stato costretto a correre ai ripari riducendo la pressione di distribuzione sulla rete idrica. Questo significa che nella nostra rete di distribuzione idrica scorre una minore quantità di acqua e che negli stabili sprovvisti di autoclave si verificano enormi disagi con l’acqua che non riesce ad arrivare ai piani superiori delle nostre abitazioni. Tante sono le lamentele e le segnalazioni da tutta la Puglia, in particolare da chi vive nei palazzi più vecchi dei centri storici.
Acquedotto Pugliese attinge circa il 55% di acqua da 5 invasi (Sinni, Pertusillo, Conza, Occhito e Locone), il 33% dalle sorgenti Irpine e la restante parte, il 12%, da circa 180 pozzi dislocati soprattutto nella parte meridionale della Puglia e dedicati esclusivamente all’uso potabile. La siccità ha ridotto la disponibilità d’acqua complessiva di circa il 60% rispetto alla media storica nonostante le ultime piogge e le riduzioni di pressione su tutta la rete dureranno fino a quando ci sarà difficoltà collegata agli invasi lucani, ovvero fino a quando le piogge non riporteranno i livelli oltre quelli considerati sicuri per il periodo. E non è detto che questo basti a scongiurare il problema perché nella Regione Basilicata sono già stati avviati piani di razionamento.
A tutto questo tocca aggiungere la copiosa dispersione di acqua nel nostro acquedotto dovuta a una rete obsoleta con migliaia di punti critici che richiede un veloce e programmato intervento.
E’ risaputo che la Puglia è caratterizzata, per la natura prevalentemente carsica del suo territorio, da una modesta disponibilità di risorse idriche superficiali e da notevoli risorse idriche sotterranee localizzate in acquiferi costieri. A loro volta le risorse sotterranee sono soggette ad un diffuso degrado qualitativo per l’incremento lungo la costa del contenuto salino dovuto all’intrusione delle acque marine, ad un inquinamento antropico dovuto allo smaltimento dei rifiuti e alle acque reflue e a specifiche attività produttive che hanno deteriorato la qualità delle acque sotterranee anche nelle aree interne per l’eccessivo emungimento dell’acqua dei pozzi.
In sostanza le acque sotterranee mentre fluiscono verso il mare entrano progressivamente in contatto con acque saline e durante il loro percorso acquisiscono carichi inquinanti provenienti dalle aree antropizzate e agricole creando rischi ecologici anche per le aree umide costiere di particolare pregio delle specie bentoniche.
Nel Salento la circolazione idrica sotterranea è più diffusamente freatica con una sua falda idrica che raggiunge quote piezometriche di pochi metri al di sopra del livello del mare (al massimo 4÷5 metri s.l.m.) e con percorsi dalle zone di alimentazione alle zone di efflusso non sempre continui ed omogenei in quanto disturbati da diversi fattori idrogeologici dovuti alla notevole vulnerabilità dell’acquifero salentino, all’inquinamento salino per intrusione marina e a quello derivato dall’attività dell’uomo proveniente soprattutto dai numerosi centri urbani diffusi sul territorio e dalle attività agricole.
Da ciò consegue il rischio concreto che anche laddove il degrado appaia oggi non particolarmente marcato, la situazione sia destinata a deteriorarsi nel tempo, con conseguenze gravi ai fini degli usi cui la falda acquifera è destinata.
Anche la presenza diffusa di parametri indicatori di inquinamento antropico, quali l’ammoniaca, i nitrati, e i nitriti nelle acque sotterranee campionate dai pozzi e dalle sorgenti purtroppo delinea un quadro allarmante. Le acque di maggiore qualità, tanto da risultare potabili, sono oramai appena rinvenibili solo in porzioni interne di territorio del Salento.
Di positivo, in questa triste realtà di quantità e qualità delle acque a nostra disposizione, sono gli studi condotti in questi ultimi anni dall’Università di Bari nella Zona Palude del Capitano compresa nel Parco Naturale di Porto Selvaggio, sulla possibilità di attingere da “acque profonde” diverse dalle acque da falde superficiali che potrebbero aprire una speranza concreta arricchendo il nostro fabbisogno idrico salentino e pugliese.
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