Stop alle sigarette all’aperto: una limitazione della libertà personale o un provvedimento necessario per la tutela della salute e la riduzione dell’inquinamento atmosferico? Il comune di Milano da quest’anno ha esteso il divieto di fumo «a tutte le aree pubbliche o a uso pubblico all’aperto, incluse vie e strade, a eccezione quindi delle aree isolate in cui è possibile rispettare la distanza di 10 metri da altre persone». Si tratta di una prescrizione contenuta nel “Regolamento per la qualità dell’aria”, approvato nel 2020 e che già prevedeva l’impossibilità di fumare presso le fermate dei mezzi pubblici, i parchi, le aree verdi, cani e giochi, le strutture sportive (spalti inclusi) con l’obiettivo di «migliorare la qualità dell’aria», tutelare «la salute dei cittadini», proteggere
dal fumo passivo nei luoghi pubblici, frequentati anche dai più piccoli.
IL CONTESTO La decisione di Milano è coerente con le riflessioni che in materia stanno facendo autorità nazionali (il Comitato nazionale di bioetica) e internazionali, con la Commissione europea che chiede agli stati membri dell’Ue di estendere le zone interdette alle sigarette, includendo inoltre nei divieti anche le sigarette elettroniche e in generale tutti i prodotti contenenti tabacco (mentre a Milano lo stop vale solo per le prime), considerando che l’Oms nel 2024 ha ribadito che «non si sono dimostrate efficaci come strategia per smettere di fumare» e che «le ENDS (acronimo inglese riferito alle sigarette elettroniche, ndr) sono senza dubbio dannose, devono essere rigorosamente regolamentate e, soprattutto, devono essere tenute alla larga dai bambini». Inoltre le stime indicano che il 27% dei tumori in ambito comunitario è fumo-correlato, tanto da aver spinto l’Ue a porre, tra i target della sua strategia per la riduzione dei casi di cancro, una quota dei fumatori non superiore al 5% della popolazione entro il 2040: oggi circa il 25% dei cittadini europei fuma.
RAGAZZI Se si guarda alla popolazione più giovane, in Italia la “Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze” testimonia che «per quanto riguarda il consumo di tabacco, oltre 1.2 milioni di giovani, pari al 50% della popolazione studentesca, riferiscono di aver fumato una sigaretta almeno una volta nella vita e 950mila (39%) nel corso del 2023: entrambi questi consumi evidenziano percentuali superiori tra le studentesse. Inoltre, 480mila studenti hanno fumato almeno una sigaretta al giorno nell’ultimo anno (19%)». Tra chi ha fumato almeno una volta il 57% lo ha fatto prima dei 14 anni, mentre 480mila studenti (19%) riportano «di aver utilizzato le sigarette senza combustione almeno una volta nella vita» e 1.2 milioni hanno usato almeno una volta le sigarette elettroniche, dato che «risulta in aumento superando i valori pre-pandemici». Di fatto sei studenti su dieci hanno avuto un’esperienza con la nicotina.
SALUTE E questo nonostante gli effetti sulla salute siano ormai acclarati. Il “British Doctors Study”, in corso dal 1951, precisa che a 50 anni per un fumatore l’aspettativa di vita – per un consumo medio stimato di circa 15 sigarette al giorno – è ridotta di 10 anni per gli uomini e di 11 per le donne. Non bastasse, il fumo compromette anche il numero di anni trascorsi in “buona salute”, cioè liberi da “acciacchi” e patologie vere e proprie. Sarah Jackson, epidemiologa dell’University College di Londra, ha stimato in 15 minuti la vita sottratta da ogni singola sigaretta: se tra due amici fumatori uno smettesse di fumare oggi, alla prossima edizione de L’Araldo avrebbe già guadagnato un giorno di vita, entro agosto un mese ed entro l’anno poco meno di due, insomma nello stesso tempo sarebbe “invecchiato” meno del compagno rimasto fumatore. Infine non bisogna dimenticare il fumo passivo, il quale espone a rischi simili per la salute ed è uno dei motivi che ha spinto il comune di Milano a introdurre le restrizioni.
I LIMITI Ma perché insistere sul limite dei 10 metri? Da un lato Roberto Boffi, responsabile della Pneumologia dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano, intervistato precisa: «Vero è che il fumo può essere una componente minoritaria dell’inquinamento dell’aria, ma a meno di 10 metri può essere dannoso, anche all’aperto. Anche nei nostri studi condotti negli stabilimenti balneari di Bibione, abbiamo visto che 4-5 metri non bastano per non essere esposti al fumo passivo del vicino di ombrellone. Analizzando ciò che accade nei cosiddetti “canyons urbani”, come le vie strette di città con locali, patios e dehors dove le persone fumano ed è impossibile mantenere la distanza di 10 metri, abbiamo misurato la qualità dell’aria e abbiamo visto che chi sta lì si espone a picchi alti di particolato, rischiosi per i soggetti più sensibili, come bambini, anziani, donne incinte». Dall’altro lato l’articolo 9 del Regolamento non chiede di “andare in giro col metro”, ma pone un divieto assoluto in tutte le aree pubbliche e parla di «almeno 10 metri» solo per definire il concetto di «luoghi isolati», nei quali fumare è ancora consentito.
Giuseppe Del Signore
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