L’Africa non deve diventare teatro di nuove guerre tra occidente e resto del mondo

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Può l’Africa diventare il polo internazionale dello sviluppo e della cooperazione anziché essere un teatro di scontri e di rivalità strategica e geopolitica? In gran parte dipende, piaccia o no, dalle decisioni dell’amministrazione di Donald Trump. In verità nel suo primo mandato l’ha ignorata o tollerata come un fardello. Joe Biden ha fatto lo stesso. A eccezione della sua partecipazione alla conferenza Onu sui cambiamenti climatici tenutasi in Egitto nel 2022. Solo alla fine del suo mandato ha visitato l’Angola. L’intenzione, però, non è lo sviluppo dell’Africa attraverso una genuina cooperazione, ma l’accaparramento delle sue materie prime e il contenimento delle varie operazioni cinesi sul continente.

L’oggetto della visita è stato il Corridoio di Lobito, la costruzione della ferrovia di millesettecento chilometri per il trasporto delle materie prime dal bacino minerario, formato dall’Angola, dalle regioni meridionali della Repubblica Democratica del Congo e dallo Zambia. Come noto, tale bacino è ricchissimo di cobalto, rame, coltan e tantissimi altri minerali strategici. Il progetto è finanziato dagli Stati Uniti per quasi un miliardo di dollari, con il sostegno e la piena partecipazione finanziaria dell’Unione europea. Il programma europeo Global Gateway prevede, sulla carta, investimenti in Africa per centocinquanta miliardi di euro. Il Corridoio di Lobito è in cima alla lista. È anche il principale progetto del Piano Mattei, con uno stanziamento di trecento milioni di euro. Il progetto, purtroppo, si contrappone alla ristrutturazione della ferrovia Zambia-Tanzania, finanziato dalla Cina, con lo sbocco sull’Oceano Indiano. Naturalmente le materie prime estratte in Zambia, soprattutto il cobalto, partirebbero verso i porti cinesi.

Invece di diventare una zona di conflitti, sarebbe opportuno, secondo noi, cercare un coordinamento dal quale tutti potrebbero trarne dei benefici. In particolare i paesi africani che troppo spesso sono considerati solo come produttori di merci senza alcun potere. Senza il necessario coordinamento queste vaste regioni africane potrebbero diventare una zona di vera e propria guerra per procura, proprio come in passato sono stati l’Angola e il Mozambico.

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Sull’Africa si gioca anche la grande partita della disinformazione. Come la narrazione della dipendenza debitoria dei paesi africani verso la Cina che li renderebbe succubi e ricattabili da Pechino. Si tenga presente che la Cina è il terzo partner commerciale e il secondo grande creditore degli Stati Uniti. Anche qui c’è un’influenza maligna? Non crediamo. Mentre l’interesse politico americano verso il continente sembrerebbe poca cosa, nel periodo 2019-2023 gli Stati Uniti, in verità, hanno avuto una quota del sedici per cento nella vendita delle armi in Africa rispetto al tredici per cento della Cina.

La presenza industriale e commerciale della Cina in Africa è cresciuta enormemente da quando la Belt and Road Initiative (Bri), la cosiddetta Nuova Via della Seta, è stata proiettata verso i paesi africani, anche con la costruzione di strade, ferrovie e altre infrastrutture. Ciò ha fatto sì che la Cina sia diventata il principale partner commerciale dell’Africa con un interscambio di duecentottantadue miliardi di dollari nel 2023, quattro volte quello avvenuto tra Stati Uniti e Africa.

Negli ultimi due decenni la Cina ha prestato ai governi africani centosessanta miliardi di dollari per progetti che oggi rappresentano il venti per cento della produzione industriale africana. Comunque, la stragrande maggioranza del debito africano è dovuta a creditori occidentali. Solo sette dei ventidue Paesi africani in difficoltà devono più di un quarto del loro debito pubblico alla Cina.

Purtroppo, sul tema vi è un silenzio assordante, con l’eccezione di Papa Francesco. In occasione dell’apertura del Giubileo 2025, il Pontefice ha lanciato l’appello per una «consistente riduzione, se non proprio il totale condono, del debito internazionale, che pesa sul destino di molte nazioni». In occasione della cinquantottesima Giornata mondiale della pace, inoltre, ha affermato che «il debito estero è diventato uno strumento di controllo, attraverso il quale alcuni governi e istituzioni finanziarie private dei paesi più ricchi non si fanno scrupolo di sfruttare in modo indiscriminato le risorse umane e naturali dei paesi più poveri, pur di soddisfare le esigenze dei propri mercati». E poi ha aggiunto: «I Paesi di tradizione cristiana diano l’esempio».

Il dato sui prestiti evidenzia che l’Africa, in particolare le regioni sub sahariane, è la più negletta tra le varie nazioni. Si consideri che nel 2023 il Fondo monetario internazionale ha concesso più prestiti al Messico che a tutti i cinquantacinque Paesi africani messi insieme.



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