le disuguaglianze che alimentano la crisi globale

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Giustizia climatica negata, il 99% delle persone paga per l’1% più ricco del pianeta. È questo il costo climatico dell’élite globale secondo il report “Carbon Inequality Kills” di Oxfam.

In 60 minuti una persona che fa parte dell’1% più ricco del pianeta produce, attraverso i suoi investimenti, superyacht e jet privati, una quantità di CO₂ superiore a quella che una persona con reddito medio genera nell’intero arco della sua vita.

L’inquinamento generato da una ristretta élite è superiore a quello prodotto dal 66% della popolazione globale

Queste “emissioni spropositate” stanno prosciugando in tempi record il “budget residuo di carbonio” del Pianeta, il tetto massimo di CO₂ che possiamo ancora rilasciare per avere (non la certezza) ma il 50% di probabilità di contenere l’aumento della temperatura entro i limiti di sicurezza.

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Quante tonnellate di carbonio ci rimangono ancora da “spendere”? Ben poche. Il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) le ha stimate in 250 gigatonnellate di CO₂ che, al ritmo annuale, sono pari a soli 6 anni di emissioni. Il report di Oxfam, la confederazione internazionale di organizzazioni no profit, ha messo sotto la lente l’impatto climatico dei membri della cosiddetta “top 1%”.

Numeri alla mano, l’1% più benestante è responsabile per il 16% dello stock annuale di gas climalteranti immessi nell’atmosfera, una performance che è alla base della “disuguaglianza del carbonio” che, in sintesi, significa questo: l’inquinamento generato da una ristretta élite è superiore a quello prodotto dal 66% della popolazione globale più povera, circa 5 miliardi di persone. Ma di quanto inquinamento stiamo parlando?

Disuguaglianza climatica: chi inquina di più e chi ne paga il prezzo

Lo studio Oxfam, il più completo mai condotto sulla disuguaglianza climatica globale, indica in 8mila tonnellate l’impronta carbonica annua media di un membro della top 1%, con punte che arrivano fino a 23mila tonnellate. Al contrario, un cittadino dal reddito medio – con 5 tonnellate l’anno di CO₂ emessa – inquina il 99,9% in meno. Ma a cosa è dovuta questa enorme differenza? A fare schizzare verso l’alto lo stock di emissioni dei membri dell’élite del 1% contribuiscono i consumi di jet privati e super yacht. La maggior parte delle persone è responsabile in misura minima delle emissioni prodotte dai viaggi aerei, dal momento che solo il 4% della popolazione mondiale prende abitualmente voli internazionali.

Il report Oxfam rileva come l’impronta carbonica media annua di appena 20 business jet sia pari a 2.074 tonnellate di CO₂. Addirittura superiore quella generata da un singolo superyacht che, anche tenuto in porto “pronto a partire” e quindi inattivo, immette nell’atmosfera fino a 7 mila tonnellate l’anno di CO₂.

Che cos’è il limite di sicurezza dell’aumento della temperatura?

L’Accordo di Parigi del 2015 ha fissato un obiettivo fondamentale: limitare il riscaldamento globale a + 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali. Questa soglia non è un limite arbitrario, ma un confine scientificamente definito che segna la differenza tra un futuro gestibile e scenari climatici catastrofici.

 Cosa accade se superiamo 1,5 °C?

  • Aumento degli eventi climatici estremi: con un riscaldamento superiore a 1,5 °C, gli eventi come ondate di calore, uragani, alluvioni e siccità diventeranno più frequenti e intensi, colpendo in modo sproporzionato i Paesi vulnerabili.
  • Perdita di biodiversità: oltre il 70% degli ecosistemi terrestri rischia alterazioni irreversibili. Barriere coralline, foreste e habitat cruciali per la vita sul pianeta sono a rischio di scomparsa.
  • Scioglimento dei ghiacci: l’accelerazione del ritiro dei ghiacciai e lo scioglimento delle calotte polari contribuiranno all’innalzamento del livello del mare, minacciando città costiere e isole.
  • Impatto sulla salute umana: malattie legate al caldo, scarsità di risorse idriche e alimentari e migrazioni forzate creeranno ulteriori pressioni sociali ed economiche.
  • Danni economici devastanti: gli impatti climatici potrebbero causare perdite economiche globali di trilioni di dollari, aumentando il divario tra Paesi ricchi e poveri

Fondi per il clima: la giustizia climatica negata ai più vulnerabili

La parte più significativa e critica dell’impronta di carbonio di un super miliardario, tuttavia, è quella indiretta ossia le emissioni legate agli investimenti. Anche qui i numeri parlano da soli: il volume medio pro capite di CO₂ relativo agli investimenti dei 50 miliardari più ricchi del mondo ammonta a 2,6 milioni di tonnellate, ben 340 volte le emissioni combinate di jet privati e superyacht e rappresenta 400.000 anni di emissioni di una persona con reddito medio. Il 40% di questi investimenti è concentrato, infatti, in industrie altamente inquinanti tra cui quella petrolifera ed estrattiva e solo il 24% in industry che perseguono l’obiettivo di neutralità climatica (net zero).

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È sulla base di questi dati che il report Oxfam sottolinea la “chiara esistenza di un fenomeno di disuguaglianza nel consumo eccessivo e nelle emissioni”, ribadendo come la metà più povera del mondo nonostante abbia contribuito in minima parte allo stato di emergenza climatica, subisca le conseguenze più gravi: siccità, alluvioni, innalzamento del livello del mare, criticità da affrontare senza le risorse economiche per un adeguata protezione.

Gli autori evidenziano, dunque, la necessità che i membri della top 1% migliorino tempestivamente e in modo significativo il processo di environmental accountability, ovvero il meccanismo che, a livello sociale, politico, aziendale e collettivo, li chiama a rispondere delle conseguenze delle proprie azioni sul clima e sul benessere delle generazioni future, assumendosi anche la responsabilità economica dei danni causati.

Tali risorse, da raccogliere attraverso una fiscalità progressiva sugli investimenti in attività inquinanti, potrebbero quindi confluire nel Fondo per le perdite e i danni (Loss and Damage). Tuttavia, come ribadito durante la COP29 di Baku, questo dispositivo è ancora largamente sotto finanziato, come spiegato senza troppi giri di parole dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres: “la capitalizzazione iniziale di 700 milioni di dollari non è sufficiente a riparare il torto subito dai più deboli, rappresenta infatti poco più dei guadagni annuali dei dieci calciatori più pagati al mondo. Esorto i Paesi a stanziare nuovi fondi, a staccare assegni all’altezza”.

Per raggiungere questo obiettivo, come suggerito dalle linee guida della Loss and Damage Collaboration (L&DC), i governi dovrebbero potenziare i meccanismi per raccogliere finanziamenti includendo una tassa sui danni climatici. Questo strumento, insieme ad altre iniziative fiscali, potrebbe garantire le risorse necessarie per sostenere i Paesi più vulnerabili nella lotta contro gli effetti devastanti del cambiamento climatico.

L’impatto ambientale di Etica Sgr

Nell’idea di investimento responsabile di Etica Sgr, l’obiettivo di ottenere potenziali performance finanziarie positive va associato a quello di generare effetti positivi per l’ambiente e la società. Scegliere di investire in fondi etici vuol dire considerare anche l’impatto ESG (ambientale sociale e di governance).

Un’iniziativa rilevante in questo senso è sicuramente il Report di Impatto. Il documento misura i risultati di impatto ambientale, sociale e di governance degli investimenti dei nostri fondi. Più precisamente calcoliamo l’impatto dell’attività di selezione dei titoli (rispetto al mercato di riferimento o benchmark) e l’impatto dell’attività di stewardship ed engagement, realizzata attraverso il dialogo con gli organi sociali delle imprese in cui investono i fondi comuni di Etica Sgr.

Sul fronte del cambiamento climatico, l’ultimo report mostra:

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  • +40% di quota di investimento in società che hanno definito obiettivi di riduzione delle emissioni climalteranti e approvati da Science-Based Targets initiative;
  • + 130% di contributo degli investimenti dei fondi nel mitigare il cambiamento climatico;
  • – emissioni di gas serra dirette e indirette (scope 1, 2, 3).



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