L’inizio di M – Il figlio del Secolo

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Proiettarsi in un periodo storico non è mai facile; tuttavia, l’oggettività degli eventi e le relative testimonianze possono aiutarci a capire il vero filo conduttore di un ventennio che ha dipinto l’Italia di buio. La serie M – Il figlio del Secolo, già dalle prime due puntate è riuscita a trasmettere quella sensazione grottesca della cruda verità, sia sulla natura di Mussolini, sia su una società nettamente divisa in classi di appartenenza, dove ognuna di esse portava avanti le proprie istanze per contrastare l’altra, senza risparmiarsi sul campo della lotta, tanto da arrivare a situazioni di guerriglia che in molti luoghi assumevano il doveroso appellativo di guerra civile.

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La vera forza della serie sta nella narrazione obiettiva degli eventi; non a caso la prima scena della prima puntata si apre con un discorso di Mussolini che elogia i valorosi patrioti andati in guerra e condanna le negligenze dello Stato, facendosi portatore delle loro istanze, come per esempio il risarcimento per vedove o mutilati. Inoltre, si evidenzia in modo netto la contrapposizione con una monarchia parlamentare corrotta che fa la guerra al popolo; difatti, le prime parole d’ordine, poi tradite, sono: anticapitalista, antiborghese e anticlericale. La nascita di un piccolo movimento che si proponeva tutto e il contrario di tutto, con a capo il suo capobranco pronto a tradire ogni sua narrazione precedente pur di arrivare al potere. Emblematico, infatti, è il caso di Fiume, dove l’opportunismo politico e la manipolazione danno un assaggio di quella che sarà l’ascesa del fascismo, dove “salvare le apparenze” è tutto. Il tradimento con il passato politico di M. è narrato attraverso una scena surreale e significativa: un conflitto interiore che lo porta a rinnegare tutto il suo credo; ma è ancora più evidente nel momento in cui si mostra la natura del rapporto con la moglie Rachele Guidi, figlia di contadini proletari, e con l’amante Margherita Sarfatti, figlia della borghesia. Questo passaggio risulta fondamentale non tanto per cercare di capire la morale di un uomo che di morale non ne aveva, ma per comprendere come il tradimento con il suo passato sia giustificato dalla sua stessa natura narcisistica e manipolatrice. Se qualcuno pensasse che M. sia stato soggiogato dalla borghesia o che ne fosse stato in qualche modo vittima, questo aspetto viene smentito categoricamente dalle azioni che egli stesso conduce, non sempre in prima persona, come l’assalto squadrista a fabbriche e terreni occupati dai Socialisti e alla sede de L’Avanti.

La scena a mio avviso più rivelatrice è l’annuncio della nuova formazione del partito fascista, che si legava a quella realtà borghese un tempo disprezzata assumendo l’aspetto reazionario fino a quel momento assente. Proprio quando Mussolini sta facendo l’ennesimo discorso falso del suo corso politico, si vede intervenire Marinetti, fondatore del movimento futurista e stimatore della prima ora del movimento fascista, uno di quei fedelissimi che hanno partecipato all’assalto de L’Avanti.  Marinetti si manifesta pubblicamente contrario alla svolta reazionaria e al tradimento con il passato e riceve una risposta molto significativa di quello che era il fascismo: la retorica del nulla che trovava la sua linfa nell’essere il braccio armato della borghesia e che, sfruttando l’ignoranza, poteva giustificare il tutto con una supercazzola. La smorfia che al termine del discorso dice più delle parole. Tuttavia, personalmente sono rimasto affascinato dall’interpretazione del Marinelli-Duce, perché la vera forza interpretativa, con tanto di dialoghi allo spettatore, sta nel replicare l’impersonificazione dell’inganno, dell’ipocrisia, dell’opportunismo e soprattutto della “Bestia” che lui stesso più volte afferma di essere perché “Come le bestie sento quando è il mio tempo”. In realtà risulta evidente, in tutto l’arco narrativo, che l’unica cosa a cui M. ambiva era il potere. Infine, credo che la riflessione maggiore sia contenuta nel primo monologo che il protagonista fa allo spettatore – <<A cosa è servito?>>, facendo riferimento alla fine del ventennio, e poi <<Siamo di nuovo tra voi>> – ponendo un interrogativo per nulla retorico sulla politica del nostro tempo.



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