Mini reattori, grande inganno. L’azzardo nucleare del governo

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Mentre al World Energy Forum Meloni promuoveva le energie rinnovabili e l’eterna chimera della fusione nucleare, in patria si torna a parlare del «vecchio» nucleare da fissione, affossato da due referendum e altrettanti incidenti gravi a Chernobyl e Fukushima.

Palazzo Chigi, confermando le anticipazioni del ministro delle imprese Urso, ha annunciato un disegno di legge quadro sul riavvio del programma nucleare italiano in arrivo per la fine di gennaio. Ci vorranno poi due anni per i decreti attuativi, col rischio che non basti la legislatura a concludere l’iter. Stando alle anticipazioni, il disegno di legge prevede la creazione di una nuova agenzia per il nucleare che punterà sui mini-reattori modulari. La stessa tecnologia su cui proprio l’italiana Enea e le francesi Edison e Edf hanno appena firmato un’intesa per nuovi progetti di sviluppo.

Ha dato una mano alla fanfara nuclearista anche l’Agenzia Internazionale per l’Energia, pubblicando un report che prevede un record di produzione di energia da fissione nel 2025 e un aumento della potenza nucleare installata da qui al 2050 di circa il 50%. A spingere di nuovo il vento in poppa al nucleare, dice l’agenzia, è anche la necessità di decarbonizzare l’economia e l’energia nucleare sembra la soluzione più a portata di mano.

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Però tra la propaganda dei governi e le necessità del pianeta c’è una bella differenza. I mini-reattori di cui parla il governo italiano fanno certamente meno paura delle mega-centrali ma hanno una portata limitata. Secondo la Iea, in base agli investimenti attuali nel 2050 i minireattori produrranno 40 GW di potenza energetica a livello mondiale, cioè il 6% del totale, in buona parte assorbita dai grandi centri di calcolo dei colossi dell’informatica. Anche nelle prospettive più espansive, i mini-reattori avranno dunque un ruolo marginale nell’abbandono delle fonti fossili.

Quando la Iea prevede un aumento della produzione, dunque, pensa soprattutto alle grandi centrali in costruzione. Ma è improbabile che questo governo voglia giocarsi il consenso della seconda parte di legislatura discutendo di dove piazzare i nuovi reattori visto che, come i predecessori, non riesce nemmeno a individuare un sito in cui collocare le scorie delle centrali chiuse quarant’anni fa per le resistenze della cittadinanza e della politica locale. Riaprire i cantieri nucleari richiederebbe investimenti ingenti e per una lunga fase di transizione un aumento delle bollette per rientrare della spesa, operazione impopolare da cui tutti i governi finora si sono tenuti alla larga.

I dati internazionali snocciolati dalla Iea però farebbero pensare che a causa delle paure ambientaliste l’Italia rischia di rimanere a terra mentre il treno nucleare riparte ovunque. In realtà, il record previsto per il 2025 consiste in un ritorno ai livelli di produzione di energia toccati già due decenni fa. Da allora, la produzione di energia nucleare è calata in valori assoluti. E nel mix energetico, il nucleare in realtà ha raggiunto il suo picco addirittura trent’anni fa, quando il 17% dell’energia elettrica globale era prodotta con i reattori. Oggi quella percentuale si è dimezzata.

Se ora la produzione riparte all’insù è soprattutto grazie a due Paesi: 48 dei 52 reattori in costruzione dal 2017 a oggi si trovano infatti in Russia e Cina, che dispongono anche del 12% di tutte le riserve di uranio nel mondo, di cui invece l’Europa (eccetto l’Ucraina che detiene il 2% delle riserve globali) è priva.

Anche l’imperativo ambientale di ridurre le emissioni è un mezzo inganno. La stessa Iea ammette che per azzerare le emissioni entro il 2050 come previsto la potenza installata dovrebbe raggiungere i 1000 gigawatt, due volte e mezzo quella attuale. E a quel punto le riserve di uranio, che al livello odierno di consumo basteranno per circa ottant’anni secondo le stime ottimistiche, si ridurrebbero a pochi decenni, forse nemmeno sufficienti per realizzare le centrali italiane.

Il record di produzione di energia nucleare peraltro andrebbe messo nella giusta prospettiva. L’aumento della produzione di energia da uranio non dimostra affatto che quella sia la fonte del futuro. Secondo i dati della Iea, nel 2024 anche il petrolio, il gas e persino il carbone hanno registrato i nuovi record storici di consumo globale: dovremmo per questo riaprire le miniere? La realtà è che non c’è alcuna transizione energetica in corso: l’economia di cui viviamo ha sempre più bisogno di energia e mobilita tutte le fonti a sua disposizione. Fino a esaurimento scorte.

 



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