Risarcimenti ex legge Pinto, giusto che noi avvocati indichiamo ai cittadini l’opportunità della piattaforma digitale

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«È l’opportunità di non subire una doppia beffa. Sì, chi aspira ai risarcimenti per l’irragionevole durata del processo può avvalersi ora della nuova modalità di presentazione delle istanze, possibile anche in relazione ai decreti di pagamento emessi dalle Corti d’appello tra il 2015 e il 2022, che possono essere ricaricati sulla piattaforma digitale del ministero. È giusto invitare i colleghi ad approfittarne. I tempi sono completamente diversi rispetto alla modalità cartacea, la verifica dei requisiti e del diritto vantato va a un ritmo prima inimmaginabile, e si risolve appunto il paradosso dell’attesa doppiamente irragionevole». Francesco Greco, presidente del Consiglio nazionale forense, si riferisce al progetto “Pintopaga”, che prevede di accogliere sulla piattaforma “Siamm Pinto digitale”, disponibile già dal 2023, anche le istanze arretrate relative ai ristori ex legge Pinto. Una modalità della quale ci siamo occupati anche con un servizio pubblicato sul Dubbio di stamattina, in cui si segnala come i primi giorni di “apertura retroattiva” del canale telematico abbiano fatto registrare una notevolissima quantità di domande esaminate, nell’ordine del migliaio alla settimana, che fa ben sperare non solo gli uffici di via Arenula. 

Il beneficio dovrebbe riguardare innanzitutto gli utenti della giustizia, presidente Greco.

Partiamo dal presupposto che ora come ora le domande già presentate in formato cartaceo fino al 2022 e che il ministero deve evadere sono ottantamila. Una cifra che fa impressione. È chiaro che con le modalità tradizionali lo smaltimento avrebbe tempi talmente prolungati da produrre l’attesa doppiamente irragionevole a cui facevo riferimento. Chi cioè ha già dovuto attendere troppi anni per ottenere la sentenza, il riconoscimento dei propri diritti, e ha visto attribuirsi dalle Corti d’appello il risarcimento ex legge Pinto per questa stasi estenuante, rischia di dover attendere un tempo troppo lungo anche per incassare materialmente il ristoro. Col nuovo sistema dovrebbe essere tutto diverso. Ed è giusto invitare i colleghi a ricaricare in formato digitale le vecchie istanze. È una modalità già collaudata, e quando si andrà a regime, i tempi di erogazione saranno completamente diversi. Ora però c’è quell’arretrato impressionante. L’opportunità di avvalersi della piattaforma non va persa: le domande relative ai decreti di pagamento precedenti al 2023 potranno essere ricaricate in digitale fino al 30 giugno di quest’anno. Il ministero sa che quanto più massiccia sarà ora l’adesione al progetto di riconversione informatica delle istanze arretrate, tanto più rapido sarà l’allineamento verso una tempistica assolutamente accettabile per il futuro.

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La piattaforma darà una valida mano, ma entro il 2026, secondo i target del Pnrr, la questione dell’irragionevole durata dovrebbe essere ridimensionata.

Allora: io confido che strumenti digitali allestiti per la formalizzazione delle istanze aiutino davvero ad accorciare determinate tempistiche. Ma sul fatto che grazie al Pnrr riusciremo a ridurre in modo talmente significativo i tempi di definizione dei processi da non avere quasi più bisogno della legge Pinto, mi permetto di essere assai più prudente. E poi l’auspicio dell’avvocatura è di avere sì una giustizia rapida, efficiente, ma innanzitutto giusta. Capace di garantire la qualità della giurisdizione e non solo la celerità delle decisioni.

Presidente, è stata appena approvata al Senato, nel Dl Giustizia, un’estensione del contributo che gli avvocati possono assicurare nei Consigli giudiziari. Sembra un passo avanti anche rispetto alla riforma Cartabia del Csm.

Sì, i passi avanti sono naturalmente da apprezzare, ma io mi chiedo davvero com’è possibile che ci siano ancora degli ambiti nei quali il contributo degli avvocati nei Consigli giudiziari è, o era, limitato. Prendiamo come esempio proprio la novità dell’emendamento a cui lei si riferisce, che consente tra l’altro ai componenti avvocati di partecipare alle sedute in cui si preparano i pareri sui magistrati in lizza per gli incarichi direttivi: la professione forense garantisce il cittadino nell’accesso pieno alla giurisdizione e alla tutela dei diritti, e mi sembra assolutamente doveroso che compartecipi alla scelta dei magistrati chiamati a dirigere Tribunali, Corti e Procure che quei diritti dovranno riconoscere. Mi pare un discorso talmente semplice e lineare che trovo assurdo doverlo ribadire. D’altronde, va anche perfezionato il diritto di voto assicurato agli avvocati in quell’unico ambito sdoganato dalla riforma Cartabia, le valutazioni di professionalità ai fini degli avanzamenti di carriera.

In che senso va perfezionato?

Ora gli avvocati hanno il diritto di votare, ma esprimono un unico voto. Esempio: a Palermo, il mio distretto, il Consiglio giudiziario annovera un componente avvocato per il capoluogo di Corte d’appello e altri due rappresentanti provenienti, in base a una rotazione, dalle sedi circondariali. Ebbene, sono tre ma esprimono un solo voto. Che il pronunciamento degli avvocati debba essere uniforme e coerente con quanto deciso dai Consigli dell’Ordine è una soluzione necessaria per disamare, diciamo così, la tesi dei presunti rischi di personalizzazione che la magistratura sospetta per noi avvocati ma magari non per il consigliere giudiziario pm che si è visto negare una misura cautelare dal gip, ma lasciamo perdere. Io mi chiedo perché tre avvocati debbano esprimere un voto solo. Non ha senso. Ci impegneremo per ottenere una ragionevole correzione anche da questo punto di vista.



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