Secondo S&P Global Ratings la crescita sarà guidata dai consumi e dall’allentamento delle politiche monetarie. Ma pesano la bassa fiducia delle imprese, rischi nel mercato del lavoro e incertezze geopolitiche.
Un panorama di ripresa per l’Italia e l’Europa, quello previsto da S&P Global Ratings, che ha presentato l’outlook macroeconomico per il 2025. Il PIL italiano è previsto in accelerazione allo 0,9% nel 2025 (rispetto allo 0,5% del 2024), mentre quello dell’Eurozona all’1,2% (dallo 0,8% del 2024). La crescita è guidata dalla forza dei consumi e dall’allentamento della politica monetaria previsto nel corso dell’anno. Ma in questo contesto di crescita non mancano però fonti di incertezza e alcune anomalie.
“La prima anomalia è che, sebbene il quadro sia tutto sommato favorevole, per un’inflazione che appare sotto controllo e consumi in crescita, il sentiment economico è negativo, con gli indicatori di sentiment che segnalano una bassa fiducia delle imprese”, analizza Sylvain Broyer, Chief Economist EMEA, S&P Global Ratings.
La seconda anomalia (valevole più per Germania e Francia che per l’Italia) è nel mercato del lavoro: vi è infatti il timore che la tendenza positiva che si è affermata finora si inverta nei prossimi mesi. Le aspettative per l’occupazione stanno peggiorando, in particolare nel comparto industriale, mentre una crescita dei salari superiore agli standard storici potrebbe pesare sull’inflazione. “Nonostante queste anomalie, non c’è motivo per cui la BCE mantenga la politica monetaria restrittiva. Ci aspettiamo almeno 50 bps di tagli da Francoforte nel corso dell’anno”, dice Broyer.
Un nuovo contesto politico
Broyer si sofferma sui rischi provenienti dalla politica con l’arrivo di Trump alla Casa Bianca e per le elezioni in Germania di febbraio. In prima battuta, Broyer ritiene che molte delle minacce che hanno caratterizzato la campagna elettorale dal presidente eletto non vadano prese alla lettera. Saranno, invece la base di partenza per la negoziazione di accordi economici bilaterali con i singoli Paesi. Il timore riguarda nuovi dazi: gli Stati Uniti sono la destinazione del 17% delle esportazioni europee, con un peso pari al 2,6% del PIL UE. Indirettamente, i contraccolpi potrebbero provenire anche da un calo della domanda di beni europei. Il rischio è che l’agenda di Trump di tariffe, tagli delle tasse e controllo dell’immigrazione abbia contraccolpi inflazionistici tali da penalizzare la domanda interna negli USA. L’Italia sarebbe tra i Paesi più a rischio, perché seconda solo alla Germania per la quantità di scambi commerciali in essere con gli Stati Uniti.
Sfide della nuova leadership europea
Le sfide per la competitività futura del Vecchio continente sono state messe a nudo dal report Draghi, e si giocano sul fronte dell’innovazione, per tenere il passo di Stati Uniti e Cina. Per questo, secondo Broyer, il 2025 dovrà essere l’anno in cui passare all’azione, sotto la guida della nuova commissione Von der Leyen. C’è anche il tema della necessità di un aumento delle spese per la difesa, che rimangono ancora in media al di sotto del target del 2% del PIL per i paesi NATO, ma non è ancora chiaro se dal voto in Germania di febbraio emergerà una maggioranza di governo capace di varare piani di maggiore spesa pubblica.
L’Italia
In ultimo, S&P Global Ratings evidenzia come la ripresa italiana sia dettata da un cambiamento strutturale dei settori che guidano l’economia. Parallelamente a un declino dei settori industriali tradizionali del manifatturiero e dell’automotive, si segnala un boom nell’edilizia, nei servizi e nell’IT, mentre sul livello occupazionale vi è stato un aumento positivo della partecipazione al mercato del lavoro di lavoratori senior tra 55 e 64 anni. E sull’economia italiana dovrebbe giovare anche l’impatto positivo dei fondi del piano Next Gen EU, che secondo l’analisi di S&P Global Ratings non ha ancora espresso tutto il suo potenziale. “È difficile quantificare i benefici”, dice Broyer. Ad oggi, si sono registrati effetti positivi sui costi di finanziamento e sul contenimento degli spread, in attesa di un miglioramento della produttività.
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