DI LUIGI DELLA MONICA
Questa frase dolorosa mi ha angosciato profondamente nell’assistere allo sfascio sociale e morale che sta interessando la nostra letargica comunità invernale per il caso di “Uccelli di rovo, nel rovo”. Non intendo lanciare messaggi di falso moralismo, profetismo o dal contenuto meramente farisaico. Il Vangelo ci offre immediatamente la chiave di lettura: “date a Cesare, quel che è di Cesare ed a Dio, quel che è di Dio”. Ciò precisa inequivocabilmente che la libertà di pensiero dell’uomo laico deve arrestarsi per onestà intellettuale al cospetto delle dinamiche intrinsecamente riferite e riferibili alla sfera spirituale della religione. Non ammetto e non tollero le frasi di commento che plaudono alla rinnovata presunta presa di coscienza che sarebbe arrivato il momento dell’addio al voto di castità dei sacerdoti: è affare strettamente pregnante alle dinamiche di una religione, la quale è libera, come lo sono i propri adepti di prestargli fede e miscredenza, purchè non si invada la sfera altrui della autonomia di scelta e di determinazione.
Personalmente da cattolico non vado a sindacare il bhuddista che si veste di arancio e si rade i capelli a zero, come non contesto il mussulmano che pratica il ramadan o si astiene dal consumo di carne di maiale, ma non intendo essere condizionato dal loro pensiero, come allo stesso modo non ardisco di giudicare un uomo per pulsioni ormonali attratto dalle donne, il quale per una libera scelta personale decida l’astinenza dai rapporti fisici. Eppure in questo caso vi sarebbe stata una aggressione alla credulità popolare, la quale avrebbe scardinato la tradizionale fede incrollabile nella bontà d’animo di un uomo di chiesa che anziché collaborare al proselitismo della comunità religiosa avrebbe ceduto alla tentazione della carne. In questo modo, una intera comunità di pontificatori, di cicaloni, per ricordare come Alberto Sordi apostrofava il giovane Carlo delle Piane nei film comici anni ’50, che si sono prodotti in frasi fatte, preconfezionate che minavano la autorevolezza della Chiesa cattolica isolana. Al riguardo, S.E. il Vescovo esortava tutti alla discrezione ed alla necessaria temperanza del caso, del pari l’avvocato del marito separando ammoniva alla riservatezza, per non inquinare la serenità dei figli minori e turbare il dolore dell’altro coniuge, paventando azioni nelle sedi competenti. In altri termini, un polverone altissimo, pari ad una tempesta di Ghibly di desertica memoria, che non accenna a sottodimensionarsi. La “Vita in diretta”, “Verissimo” hanno invaso di cameramen e di cronisti l’isola, per creare il caso mediatico “scabroso”. Questi i fatti, ma difficile è codificarne l’arcano significato del mio titolo principale. Una laurea “honoris causae” della Accademia dei Lincei sta per essere riconosciuta a tanti chiacchieroni da bar, che non fanno altro che aggiungere fango, su fango. Questa sciagura ha cagionato l’innalzamento dei muri ideologici fra atei, agnostici e fedeli della Chiesa, nonché ha posto nello sconforto e nella angoscia un’intera famiglia, per cui si dovrebbe reagire con compostezza e dignità, secondo un altro precetto evangelico: “Chi è senza peccato, scagli la prima pietra”.
Non intendo scadere nel qualunquismo, investigando sulla dirittura morale di alcuni commentatori, ma ricordo a me stesso che la coerenza morale costa cara. Se, ad esempio, il nuovo Codice della Strada impone parametri rigidissimi del tasso alcolemico tollerato alla guida, la reazione deve essere quella di tendere quasi all’astensione totale dall’assunzione di alcune bevande; allo stesso modo, se una condotta di un singolo sacerdote mina le basi della credibilità del celibato degli uomini di chiesa, il rimedio non è delegittimare l’istituto ecclesiastico in astratto, ma serbare il silenzio in attesa che gli Organi preposti verifichino, indaghino, sanzionino, sempre ricordando che la responsabilità è individuale, non collettiva. Neutralizzare la responsabilità del singolo è abile artifizio per fugare i singoli addebiti di condotta: un soggetto sbaglia, non è colpa sua, ma del sistema. Questo è accaduto ad Ischia: un singolo, una singola hanno commesso un errore a chiarirsi verso loro stessi e verso le loro famiglie, per cui si visto un vulnus sulla istituzione matrimoniale e su quella del celibato ecclesiastico. Nella mia professione, mi capita spesso, anzi ne sono talvolta obbligato per codice deontologico forense, di vedere persone che commettono azioni non proprio conformi alla morale condivisa, ma non per questo si è tenuti a giudicarli, ovvero a sentirci superiori a quanti abbiano un problema. Ricordo ai lettori, che il litigio professionale, il distacco fra i fondatori della psicanalisi, Freud padre e Jung figlio, avvenne per la presunzione del primo di quella che oggi è riconosciuta come scienza sperimentale di qualificare il terapeuta come l’uomo superiore che sta al di sopra del problema dei pazienti e non dentro il problema, per risolvere il problema.
Freud sosteneva che il malato è inferiore al medico risolutore del problema, Jung invece sosteneva che era semplicemente un soggetto terzo, coadiutore alla fuoriuscita da esso. Questo dovrebbe essere l’approccio corretto con cui affrontare la questione, ma i nostri concittadini si stanno producendo in commenti sui social e nei locali pubblici davvero scomposti. Il mio tuonare contro il chiacchiericcio non vuole significare una istigazione al silenzio ed alla omertà, ma soltanto alla compostezza e dignità, perché più se ne parla con clamore e più si arriva ad accrescere il dolore delle vittime innocenti di questa vicenda, che non sono soltanto le famiglie dirette dei protagonisti, ma anche coloro i quali professano con entusiasmo e genuinità la fede cattolica, rispetto a cui gli oppositori ideologici di questo credo non hanno il diritto di adoperare questo evento come grimaldello per scardinare le altrui convinzioni e credenze religiose. È questione di dignità, che nel caso di specie la comunità isolana ha perso, vittima e carnefice contemporaneamente di se stessa. Non è mio compito sostituirmi ai vertici della Chiesa Cattolica, ai magistrati, alle famiglie strette ed agli amici, ma devo assolutamente condividere il parere di quanti esortano ad una reazione di prudenza e moderazione, perché si sta giocando con il futuro di un nucleo familiare e della serenità di professare il culto cattolico nella comunità insulare, che sono tutti valori costituzionalmente tutelati.
* AVVOCATO
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