Le grandi aziende USA si preparano all’arrivo di Trump e Musk – Fiscal Focus

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Il mondo del lavoro si è ripreso, e dopo aver calato le braghe di fronte all’effetto post-Covid delle “Great Resignations” (le grandi dimissioni), e aver concesso smart working a pioggia pur di convincere i lavoratori a fermarsi, si riprende il ponte di comando. La controtendenza inizia ovviamente dagli USA, Paese dove le concessioni e le retromarce sanno essere veloci e drastiche al tempo stesso, e secondo gli esperti parte dell’inversione di tendenza è figlia del ritorno di Trump alla Casa Bianca.

Al ritorno della figura del boss inflessibile e interamente votato l’azienda ha dedicato un ampio spazio ad un’inchiesta del “Wall Street Journal”, al punto da raccontare come si stiano progressivamente chiudendo ogni possibilità di dialogo per lasciare ai propri dipendenti solo due opzioni possibili: accettare le nuove condizioni, con netto calo dello smart-working e dei benefit aziendali, o andarsene. Tanto, sono certi che prima di scegliere la seconda soluzione molti ci penseranno su con molta attenzione, visto che i posti di lavoro buoni sulla piazza non sono molti e le occasioni altrettanto.

Decisioni che avrebbe già adottato la banca d’affari “JPMorgan Chase”, con il ritorno in presenza in ufficio per cinque giorni a settimana dal prossimo marzo, seguiti a ruota dal colosso dell’e-commerce “Amazon” e dalla “Dell”, multinazionale tecnologica.

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E questo è solo l’inizio: da una ricerca della “KPMG”, società svizzera di revisione e organizzazione contabile, il 79% degli AD statunitensi è convinto che i dipendenti torneranno in presenza entro tre anni, ed è una visione in netto contrasto con le preferenze dei lavoratori, soprattutto quelli più giovani. Secondo un sondaggio realizzato dalla piattaforma iHire, l’81,3% dei giovani della Gen Z (nati tra i tardi anni ’90 e i primi anni del XXI secolo) considera “quando, dove e come” lavora da “estremamente” a “molto” importante. Dati assai simili a quelli messi insieme dall’Osservatorio Digital Innovation del Politecnico di Milano, secondo cui il 73% dei 3,5 milioni di lavoratori italiani in smart working sarebbe pronto ad opporsi con forza se l’azienda chiedesse il ritorno a tempo pieno in ufficio.

Ma quello a cui si assiste negli Stati Uniti sarebbe un modo, prosegue il quotidiano WSJ, per colpire l’equilibrio della forza lavoro più recalcitrante ben sapendo che le condizioni per una nuova corsa alle dimissioni di massa oggi sarebbe impensabile, ma che è anche lo specchio di una situazione lavorativa che mostra il segno più soprattutto verso settori come ospitalità e sanità, dove lo smart working è praticamente impensabile. E al contrario con una netta diminuzione di posti di lavoro disponibili in settori come finanza, IT e consulenza.

È come se i grandi “boss”, reduci dalla sbornia del post-Covid, periodo incerto in cui pur di salvare l’azienda le maglie si erano allargate fin troppo concedendo lavoro ibrido, bonus, tempo per il volontariato, sostegno psicologico e via così, ci avessero ripensato di colpo, lasciando certi benefici solo chi può vantare una professionalità così unica da diventare una figura intoccabile perché assai complicato da sostituire.

Non è ancora chiaro a nessuno, conclude il WSJ, se l’approccio porterà realmente a un aumento della produttività, ma al momento il potere ritrovato piace e può contare sul duo pronto al decollo, il Trump 2.0 e il Musk 0.1, ovvero il ritorno e il debutto di due non hanno mai nascosto di pensarla allo stesso modo: “il lavoro a distanza non è più accettabile – aveva tuonato Elon in tempi non sospetti, aggiungendo che – i dipendenti Tesla che volessero continuare con lo smart working dovrebbero continuare da un’altra parte a far finta di lavorare”.

Mentre adesso, in tempi invece assai sospetti, Musk non ha esitato a far capire quale sarà l’imprinting al nuovo Dipartimento per l’efficienza governativa donatogli dal suo amico Donald per premiarne l’impegno: le regole varranno anche per i dipendenti pubblici, specie dopo la pubblicazione di un rapporto del Congresso secondo cui solo il 6% della forza lavoro federale è in ufficio a tempo pieno e che le sedi centrali delle agenzie governative a Washington hanno un’occupazione media di appena il 12%.





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