l’inapplicabilità per delitti punibili con l’ergastolo è legittima

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L’inapplicabilità del giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo non è incostituzionale. Il “Formulario annotato dei riti alternativi nel processo penale” offre una guida pratica e approfondita su queste novità, risultando uno strumento indispensabile per gli operatori del diritto che desiderano restare aggiornati sulle più recenti evoluzioni normative e giurisprudenziali

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Corte costituzionale – sentenza n. 2 del 17-02-2025

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1. Il caso: inammissibilità giudizio abbreviato


La Corte di Assise di Cassino era chiamata a giudicare sulla responsabilità di un imputato. per il delitto di omicidio aggravato dall’aver agito per motivi abietti e futili di cui agli artt. 575 e 577, primo comma, numero 4), del codice penale, quest’ultimo in relazione all’art. 61, numero 1), cod. pen., per il quale è prevista la pena dell’ergastolo.
In particolare, posto che, a seguito della notifica del decreto di giudizio immediato, l’imputato aveva chiesto che venisse definito il processo nelle forme del rito abbreviato, dal canto suo, il Giudice per le indagini preliminari aveva dichiarato codesta richiesta inammissibile rilevando come il delitto, per cui si procedeva, rientrasse nella previsione dell’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen., secondo il quale «[n]on è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo».
Ciò posto, siffatta richiesta di ammissione al rito abbreviato era stata reiterata dinnanzi alla Corte di Assise di Cassino che, a sua volta, aveva sospeso il giudizio ritenendo rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen. (nei termini che vedremo da qui a breve) il quale, come è noto, stabilisce quanto segue: “Non è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo”. Il “Formulario annotato dei riti alternativi nel processo penale” offre una guida pratica e approfondita su queste novità, risultando uno strumento indispensabile per gli operatori del diritto che desiderano restare aggiornati sulle più recenti evoluzioni normative e giurisprudenziali.

Formulario annotato dei riti alternativi nel processo penale

Il presente formulario raccoglie tutti gli schemi degli atti difensivi più rilevanti alla luce delle norme che disciplinano i cd. riti alternativi, quegli istituti che consentono una definizione rapida del procedimento in un’ottica deflattiva del carico dei tribunali, ma anche (e soprattutto) «premiale» per l’imputato.L’Opera si pone come valido strumento operativo di ausilio per l’avvocato penalista nella scelta del rito alternativo, fornendogli il quadro normativo di riferimento, spesso connotato da un elevato tecnicismo, le annotazioni dirette ad inquadrare sistematicamente l’istituto processuale e ad evidenziare i punti salienti di ogni questione problematica, e i riferimenti giurisprudenziali più significativi e recenti, il tutto per una più rapida e completa comprensione dell’istituto e per una più agevole redazione dell’atto difensivo.L’opera è corredata da utili schemi riepilogativi e da una sezione online in cui sono disponibili le formule in formato stampabile ed editabile.Paolo Emilio De SimoneMagistrato presso il Tribunale di Roma

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2. La questione di legittimità costituzionale: l’art. 438, co. 1-bis, c.p.p. è incostituzionale?


La Corte di assise di Cassino sollevava questioni di legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo), in riferimento agli artt. 3, 24, 27 e 111 della Costituzione.
Nel dettaglio, una volta accertata la rilevanza delle questioni, perché dalla caducazione della norma censurata sarebbe derivata l’applicabilità in via diretta del giudizio abbreviato richiesto dall’imputato, la Corte rimettente riteneva che esse fossero anche non manifestamente infondate, atteso che i dubbi di legittimità costituzionale (che esamineremo da qui a poco) si ponevano «sotto un diverso angolo prospettico» rispetto a quelli già esaminati da questa Corte, e dichiarati non fondati, nelle sentenze n. 207 del 2022 e n. 260 del 2020.
Più in particolare, il giudice a quo considerava come la disposizione censurata violasse, in primo luogo, gli artt. 3 e 27 Cost., con riferimento al giudizio di comparazione tra le fattispecie autonome di reato che prevedono la pena dell’ergastolo e i delitti «che pervengono a tale estrema sanzione solo in virtù di contestate, riconosciute e valutate come plusvalenti circostanze che aggravano la fattispecie base per cui è prevista una (seppure elevata) pena detentiva a termine».
Ad avviso del giudice rimettente, inoltre, malgrado le richiamate sentenze della Consulta abbiano attribuito rilievo al giudizio di maggiore disvalore della fattispecie in concreto aggravata, operato dal legislatore, ciò nondimeno dovrebbe ritenersi irragionevole l’accostamento tra l’ipotesi di omicidio aggravato e altra fattispecie di reato punita, nella sua ipotesi base, con la pena dell’ergastolo, come nel caso del delitto di strage (art. 422 cod. pen.), facendosene conseguire da ciò che l’accomunare in una medesima norma processuale di sfavore «fatti-reato dissimili e smaccatamente di diversa gravità» dovrebbe ritenersi lesivo dei principi di uguaglianza, proporzionalità e finalismo rieducativo della pena.
Per il giudice a quo, inoltre, l’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen. sarebbe costituzionalmente illegittimo, per contrasto con i medesimi artt. 3 e 27 Cost., anche alla luce di quanto oggi prevede l’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 24, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 (Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari), secondo cui la pena inflitta è ulteriormente ridotta di un sesto in caso di non impugnazione della sentenza di condanna emessa in un procedimento definito con rito abbreviato.
Invero, per effetto di tale novella legislativa, con riferimento al delitto di omicidio doloso, si verrebbe a determinare un eccessivo e irragionevole ampliamento della forbice edittale di pena detentiva astrattamente comminabile, tale per cui la contestazione di una sola circostanza aggravante condurrebbe alla irrogazione della pena dell’ergastolo (con conseguente preclusione per l’accesso al giudizio abbreviato), laddove, per l’ipotesi-base, la pena detentiva minima ammonterebbe (anche in applicazione dell’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen.) a sette anni, nove mesi e dieci giorni.
L’eccessivo iato tra queste due ipotesi renderebbe quindi, per il giudice rimettente, la preclusione contenuta nella disposizione censurata ancor più irragionevole rispetto al quadro emergente dal contesto normativo su cui sono intervenute le precedenti decisioni della Corte costituzionale e si porrebbe anche in contrasto con la finalità rieducativa della pena, atteso che il reo non potrebbe «comprendere adeguatamente […] il disvalore del proprio comportamento».
Da ultimo, sempre per tale Corte territoriale, sarebbero lesi anche gli artt. 3, 24 e 111 Cost. visto che, in caso di giudizio immediato, la traslazione del processo direttamente in dibattimento, senza il filtro dell’udienza preliminare, determinerebbe un vulnus dei diritti della difesa, perché la contestazione dell’aggravante, formulata dal pubblico ministero e valutata dal giudice per le indagini preliminari, non sarebbe vagliata da un giudice terzo e imparziale a seguito di un’adeguata interlocuzione con la difesa.
Di conseguenza, l’imputato verrebbe privato della possibilità di accedere al giudizio abbreviato per effetto di un atto riconducibile unicamente al pubblico ministero, tanto più se si considera che non potrebbe valere, in senso contrario, la possibilità che venga svolta la camera di consiglio di cui all’art. 458, comma 2, cod. proc. pen., sia perché questa può essere richiesta unicamente dall’imputato, che potrebbe non avere consapevolezza dello sbarramento posto dall’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen., sia perché, in quella sede, il giudice per le indagini preliminari non potrebbe comunque modificare l’imputazione a favore del reo, dovendosi attenere a quella contestata in sede di decreto di giudizio immediato.

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3. Come la Consulta ha affrontato la suddetta questione


Il Giudice delle leggi reputava le questioni suesposte infondate.
In particolare, i giudici di legittimità costituzionale stimavano prima di tutto priva di fondamento la questione con cui la Corte rimettente aveva censurato l’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen. perché esso accomunerebbe sotto l’egida di una norma processuale di sfavore «fatti-reato dissimili e smaccatamente di diversa gravità» in contrasto con i principi di uguaglianza, proporzionalità e finalismo rieducativo della pena di cui agli artt. 3 e 27 Cost., in ragione dell’assoggettamento a una medesima preclusione degli imputati di fattispecie autonome di reato punite ex se con la pena dell’ergastolo (come il delitto di strage) e di quelli di delitti per i quali si perviene al medesimo esito per effetto di circostanze aggravanti (come quella contestata nel giudizio a quo).
Invero, per la Consulta, già nell’ordinanza n. 163 del 1992, lo stesso Giudice delle leggi ha ritenuto, in linea generale, che «l’inapplicabilità del giudizio abbreviato ai reati punibili con la pena dell’ergastolo, non è in sé irragionevole, né l’esclusione di alcune categorie di reati, come attualmente quelli punibili con l’ergastolo, in ragione della maggiore gravità di essi, determina una ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli altri reati, trattandosi di situazioni non omogenee».
Quanto, poi, all’asserito deteriore trattamento che deriverebbe, per gli imputati di delitti cui consegue la pena detentiva perpetua in ragione della sussistenza di circostanze aggravanti, rispetto agli imputati di delitti puniti, nella loro ipotesi base, con l’ergastolo, si evidenziava come la Consulta avesse già chiarito, a più riprese e soprattutto nella sentenza n. 260 del 2020, che la censura, in casi del genere, dovrebbe più correttamente appuntarsi sulla previsione che dispone la pena perpetua per i reati contestati nel giudizio a quo – nella vicenda in esame, l’omicidio aggravato dai motivi abietti e futili –, «giacché è proprio da tale previsione che deriva l’asserita diseguaglianza di trattamento sanzionatorio rispetto a fatti che si assumono più gravi». La preclusione all’accesso al giudizio abbreviato costituisce, pertanto, «null’altro che il riflesso processuale della previsione edittale della pena dell’ergastolo per quelle ipotesi criminose, previsione che non è oggetto di censura da parte del rimettente» (ordinanza n. 214 del 2021).
Sennonché, come in quei casi, per la Corte di legittimità costituzionale, anche nel giudizio in esame il giudice a quo non contestava la scelta legislativa consistente nella previsione della pena dell’ergastolo per il titolo di reato per cui sta procedendo, non potendosi al contempo reputarsi irragionevole che la disposizione oggetto di censura stabilisca una medesima preclusione all’accesso al giudizio abbreviato per tutti gli imputati di reati punibili con la pena dell’ergastolo, poiché quest’ultima «segnala […] un giudizio di speciale disvalore della figura astratta del reato che il legislatore, sulla base di una valutazione discrezionale che non è qui oggetto di censure, ha ritenuto di formulare» (sentenza n. 260 del 2020).
Contrariamente a quanto assume la Corte rimettente, pertanto, per la Consulta, non v’è ragione per negare alla regola incorporata nell’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen. una solida ragionevolezza, perché la scelta legislativa di far dipendere l’accesso al giudizio abbreviato dalla sussistenza di una circostanza a effetto speciale «esprime un giudizio di disvalore della fattispecie astratta marcatamente superiore a quello che connota la corrispondente fattispecie non aggravata; e ciò indipendentemente dalla sussistenza nel caso concreto di circostanze attenuanti, che ben potranno essere considerate dal giudice quando, in esito al giudizio, irrogherà la pena nel caso di condanna» (ancora sentenza n. 260 del 2020).
Stimata infondata siffatta questione (nei termini appena enunciati), in riferimento ad un’altra questione con cui la Corte di Assise di Cassino censurava l’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen., nel senso che la preclusione all’accesso al giudizio abbreviato per gli imputati di delitti cui accedono circostanze aggravanti che conducono all’irrogazione della pena perpetua risulterebbe ancora più irragionevole dopo l’entrata in vigore dell’art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen., che attribuisce al giudice dell’esecuzione il potere di ridurre di un sesto la pena inflitta nel caso in cui la sentenza di condanna resa in esito allo svolgimento di un giudizio abbreviato non sia stata impugnata né dall’imputato né dal suo difensore, la Consulta considerava pure questa infondata dato che, a suo avviso, il vizio prospettato dall’ordinanza di rimessione non mostrava di considerare la specificità, più volte messa in risalto dalla giurisprudenza costituzionale, che assume il principio di proporzionalità della pena nel caso del trattamento sanzionatorio del delitto di omicidio, come da ultimo sistematicamente inquadrato nella sentenza n. 197 del 2023 (precedente alla sollevazione delle odierne questioni, ma non richiamata dal giudice a quo).
Difatti, per la Corte costituzionale, in tale pronuncia sono stati, innanzi tutto, ribaditi i precedenti enunciati dal medesimo Giudice delle leggi, nei quali era stato chiaramente affermato che il principio di proporzionalità esige «che la pena sia adeguatamente calibrata non solo al concreto contenuto di offensività del fatto di reato per gli interessi protetti, ma anche al disvalore soggettivo espresso dal fatto medesimo», il quale a sua volta «dipende in maniera determinante non solo dal contenuto della volontà criminosa (dolosa o colposa) e dal grado del dolo o della colpa, ma anche dalla eventuale presenza di fattori che hanno influito sul processo motivazionale dell’autore, rendendolo più o meno rimproverabile» (sentenza n. 73 del 2020; nello stesso senso, sentenze n. 94 del 2023 e n. 55 del 2021), tenuto conto altresì del fatto che, nel caso dell’omicidio, la considerazione da prestare doverosamente a questi profili è acuita dalla circostanza che esso può essere connotato, nei casi concreti, da «livelli di gravità notevolmente differenziati», che possono aver riguardo tanto al profilo oggettivo – in relazione, in particolare, alla tipologia e alle modalità della condotta – quanto a quelli soggettivi, attinenti al diverso grado di manifestazione dell’intento omicidiario.
Tal che ne discende, ad avviso dei giudici di legittimità costituzionale, che proprio la necessità, costituzionalmente avvalorata, di tale graduazione quoad poenam, unitamente alla considerazione per i caratteri del fatto di reato contestato all’imputato nel giudizio a quo, chiariscono perché può ritenersi non fondata la censura sollevata dalla Corte rimettente, sia in relazione alla violazione del principio di ragionevolezza, sia con riguardo al connesso profilo di violazione del principio di rieducatività della pena.
Infine, in relazione alla terza e ultima questione con la quale la Corte di Assise di Cassino aveva censurato l’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost., perché, essendo stato tratto l’imputato a giudizio immediato, l’inammissibilità della richiesta di accesso al giudizio abbreviato sarebbe stata determinata dalla sola contestazione dell’aggravante dei motivi abietti e futili da parte del pubblico ministero, senza un adeguato vaglio da parte del giudice dell’udienza preliminare, contrariamente a quanto richiesto dai principi del giusto processo, anche tale questione veniva dichiarata non fondata alla luce di quanto statuito dalla sentenza n. 260 del 2020, ribadendosi a tal riguardo che, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, «la facoltà di chiedere i riti alternativi – quando è riconosciuta – costituisce una modalità, tra le più qualificanti ed incisive (sentenze n. 237 del 2012 e n. 148 del 2004), di esercizio del diritto di difesa (ex plurimis, sentenze n. 273 del 2014, n. 333 del 2009 e n. 219 del 2004), essendo però altrettanto vero che la negazione legislativa di tale facoltà in rapporto ad una determinata categoria di reati non vulnera il nucleo incomprimibile del predetto diritto» (sentenza n. 95 del 2015), tenuto conto altresì del fatto che l’accesso a tali riti costituisce: «parte integrante del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. soltanto in quanto il legislatore abbia previsto la loro esperibilità in presenza di certe condizioni; di talché esso deve essere garantito – o quanto meno deve essere garantito il recupero dei vantaggi sul piano sanzionatorio che l’accesso tempestivo al rito avrebbe consentito – ogniqualvolta il rito alternativo sia stato ingiustificatamente negato a un imputato per effetto di un errore del pubblico ministero nella formulazione dell’imputazione, di una erronea valutazione di un giudice intervenuto in precedenza nella medesima vicenda processuale, ovvero di una modifica dell’imputazione nel corso del processo (sentenza n. 14 del 2020 e precedenti ivi citati). Ma dall’art. 24 Cost. non può dedursi un diritto di qualunque imputato ad accedere a tutti i riti alternativi previsti dall’ordinamento processuale penale, come invece parrebbe, erroneamente, presupporre il giudice a quo» (sentenza n. 260 del 2020).
Del resto, nell’impianto della riforma contenuta nella legge n. 33 del 2019, l’imputazione formulata dal pubblico ministero è oggetto di un primo vaglio ad opera del giudice per le indagini preliminari, che è tenuto, al termine dell’udienza preliminare, a provvedere sulla richiesta originaria avanzata dall’imputato, e comunque sull’eventuale riproposizione della domanda di giudizio abbreviato formulata ai sensi dell’art. 438, comma 6, cod. proc. pen. fermo restando che, al di là del rito all’interno del quale è chiamato a giudicare sulle richieste dell’imputato, il giudice del dibattimento, ai sensi dell’art. 438, comma 6-ter, cod. proc. pen., è in ogni caso tenuto ad applicare la riduzione di pena prevista per il rito speciale in questione nel caso in cui, in esito all’accertamento del fatto, siano ritenute insussistenti le aggravanti contestate dal pubblico ministero che avrebbero determinato l’applicabilità della pena dell’ergastolo e, quindi, l’inammissibilità del giudizio abbreviato ai sensi dell’art. 438, comma 1-bis, cod. proc. pen.
La preclusione all’accesso al giudizio abbreviato, pertanto, per la Corte di legittimità costituzionale, dipende solo nella fase iniziale dalla valutazione del pubblico ministero sull’oggetto della contestazione, oltre al fatto che tale valutazione «è poi oggetto di puntuale vaglio da parte dei giudici che intervengono nelle fasi successive del processo, ed è sempre suscettibile di correzione, quanto meno nella forma del riconoscimento della riduzione di pena connessa alla scelta del rito, come accade rispetto a ogni altro rito alternativo» (sentenza n. 260 del 2020).
Orbene, per i giudici di legittimità costituzionale, questa affermazione vale anche per il giudizio immediato, rispetto al quale l’art. 458 cod. proc. pen. (non censurato nel presente giudizio) demanda al giudice per le indagini preliminari di decidere sulla richiesta di giudizio abbreviato avanzata dall’imputato, pronunciandosi «in ogni caso» in camera di consiglio, nel corso della quale è applicabile anche l’art. 438, comma 6-ter, cod. proc. pen. (a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 27, comma 1, lettera b, numero 1, del d.lgs. n. 150 del 2022).
La Consulta, pertanto, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, dichiarava non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 1-bis, del codice di procedura penale, come introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera a), della legge 12 aprile 2019, n. 33 (Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 27 e 111 della Costituzione, dalla Corte di assise di Cassino, con l’ordinanza summenzionata.

4. Conclusioni: l’art. 438, co. 1-bis, c.p.p. non è incostituzionale


La Consulta, con la pronuncia qui in commento, con una motivazione articolata e in linea con precedenti decisioni sempre emesse da questa Corte in subiecta materia, reputa quanto previsto dall’art. 438, co. 1-bis, c.p.p. non costituzionalmente illegittimo.
Di conseguenza, alla luce di quanto disposto in tale decisione, rimane ancora in vigore questo precetto normativo e, pertanto, continua a non potere essere ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo.

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