SANITÀ/ I numeri del “turismo sanitario” che smentiscono il principio di uguaglianza

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Qualcuno, forse con l’intento di addolcire per l’immaginario collettivo una pillola che dolce non è, lo chiama “turismo sanitario”, trasformando un’attività sicuramente poco piacevole, come la necessità di muoversi lontano dal proprio territorio alla ricerca di cure adeguate che si ritiene di non trovare vicino a casa, in qualcosa di più attraente, perché non vi è dubbio che il turismo è certamente un tipo di mobilità più piacevole della mobilità sanitaria.



Nomi ed immagini evocative a parte, resta il fatto che molti cittadini del nostro Paese che hanno bisogno di cure scelgono di (o si vedono costrette a) andare lontano da casa (ed in particolare in altre regioni, o talvolta anche all’estero) alla ricerca di prestazioni sanitarie, un fenomeno che ha molto da dire sul funzionamento del Servizio sanitario nazionale (SSN) come vedremo in questo contributo.

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Tutto ha inizio dalla regola secondo la quale le prestazioni che fanno parte dei Livelli essenziali di assistenza (LEA) possono essere richieste dai cittadini assistiti dal SSN alle strutture erogatrici di qualsiasi regione del nostro Paese a prescindere dalla regione di residenza dell’assistito stesso. È compito poi delle regioni, attraverso il meccanismo della compensazione sanitaria, sistemare gli aspetti economici che conseguono alla regola di erogazione, compensazione che riguarda i ricoveri ospedalieri, le prestazioni ambulatoriali, la farmaceutica, la medicina generale (MMG e PLS), le cure termali, i trasporti con ambulanza e l’elisoccorso. Tutte le altre prestazioni LEA erogate in mobilità sono soggette a fatturazione diretta tra il soggetto erogatore e la ASL di appartenenza del cittadino.



Grazie ad un recente rapporto di AGENAS (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) abbiamo a disposizione molte informazioni sulla mobilità sanitaria aggiornate all’anno 2023, a cominciare dal suo andamento nel tempo, che ha visto il valore economico della mobilità passare da 3.928 milioni di euro del 2013 ai 4.414 mln del 2019, crollare a 3.394 mln nel 2020 e velocemente risalire fino ai 4.547 mln nel 2023, tornando quindi ad un valore economico superiore a quello pre-pandemico. La mobilità sanitaria è dominata dal costo dei ricoveri (3.134 mln di euro nel 2023), seguita dalla specialistica ambulatoriale (754 mln), dalla somministrazione di farmaci (443 mln) e dal resto (216 mln), ma i ricoveri non hanno ancora superato i valori del 2019 mentre ciò è avvenuto per tutte le altre tipologie di prestazioni.

Sia per la quantità della spesa (circa il 70%) sia per le loro caratteristiche e per quello che ci insegnano sulla mobilità ha senso un approfondimento dei ricoveri usufruiti dai cittadini al di fuori della propria regione, che AGENAS ha suddiviso in tre categorie: la mobilità “apparente”, cioè quella costituita dai ricoveri effettuati nella regione di domicilio del paziente anziché in quella di residenza (è definita “apparente” in quanto non si tratta di una vera e propria mobilità); la mobilità “casuale”, cioè quella relativa a ricoveri effettuati in urgenza; la mobilità “effettiva”, cioè quella determinata dalla scelta del cittadino paziente. A sua volta la mobilità “effettiva” è stata suddivisa in mobilità per prestazioni di elevata complessità, per prestazioni di complessità media e bassa, e per prestazioni a rischio di inappropriatezza erogativa (in quanto ricoveri). La figura 1 presenta gli andamenti dei valori economici di questi ricoveri dal 2018 al 2023.

Figura 1. Andamento nel tempo della mobilità interregionale dei ricoveri: costi in milioni di euro. Anni 2018-2023. Fonte: Agenas.

A parte il calo del 2020 che ha caratterizzato tutti i tipi di ospedalizzazione, i ricoveri apparenti sono pochi e sostanzialmente costanti nel tempo; anche i ricoveri a rischio di inappropriatezza erogativa non sono molti e sono tornati quasi al livello pre-pandemia; più numerosi sono i ricoveri casuali e sono in crescita nel tempo. I due gruppi più numerosi sono i ricoveri ad alta e a bassa/media complessità: i primi nel 2023 hanno largamente superato i valori del 2019 mentre i secondi non ci sono ancora arrivati. Complessivamente il numero di ricoveri del 2023 (668.145) è inferiore a quello del 2019 (707.811) ma la spesa (2,88 miliardi di euro) è leggermente superiore (2,84 mld), segno che la mobilità si sta spostando verso ricoveri a maggiore complessità, che comportano trattamenti più costosi e specializzati.

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Le regioni più attrattive sono da sempre Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, mentre quelle caratterizzate da maggiore fuga sono Basilicata, Calabria, Puglia, Umbria e Valle d’Aosta, con il Molise che ha contemporaneamente sia il più alto indice di attrazione, sia il più alto indice di fuga. In generale la mobilità va da sud a nord.

Le patologie maggiormente interessate dalla mobilità interregionale sono quelle del sistema muscolo-scheletrico e del tessuto connettivo (MDC 8), seguite da quelle del sistema cardiocircolatorio (MDC 5) e da quelle del sistema nervoso (MDC 1); le strutture ospedaliere maggiormente attrattive sono quelle private accreditate, che gestiscono circa i tre quarti delle prestazioni di alta complessità.

Questi gli elementi quantitativi, sintetici, principali che emergono dal rapporto: altre informazioni sono già state presentate su queste colonne, ma chi vuole approfondire può esplorare il portale statistico di AGENAS.

Cosa portiamo a casa da questi dati? Gli andamenti temporali delle prestazioni erogate in mobilità indicano che l’effetto negativo della pandemia con l’anno 2023 si è sostanzialmente esaurito: i dati 2023 sono superiori ai dati 2019 per quasi tutte le tipologie di prestazioni, salvo i ricoveri di complessità medio/bassa che pur essendo in aumento dopo il 2020 non hanno ancora raggiunto i valori del 2019. Il fenomeno della mobilità conferma anche per il 2023 che il flusso dei pazienti non è un fenomeno contingente perché ha una lunga e consolidata storia e segue una precisa direzione: dalle regioni del Sud ci si muove verso le regioni del Nord, principalmente per malattie del sistema muscolo-scheletrico e del tessuto connettivo (prestazioni di elevata complessità) scegliendo in preferenza strutture ospedaliere del privato accreditato. Anche al Nord c’è la mobilità sanitaria, ma si configura sostanzialmente come mobilità di confine, cioè spostamenti tra territori di regioni vicine.

Una analisi più fine indica inoltre da una parte la marginalità del fenomeno della mobilità apparente (dovuta alla differenza tra regione di residenza e regione di domicilio), e dall’altra il numero ridotto dei ricoveri a rischio di inappropriatezza (questi grazie soprattutto alle politiche di disincentivazione su tali prestazioni messe in atto dalle regioni abbassando, ad esempio, le tariffe di scambio).

L’aumento nel tempo del volume economico delle attività in mobilità, e soprattutto la sua costante direzione da sud a nord, denuncia però quello che è il problema fondamentale che la mobilità sanitaria presenta al SSN: non è garantito il principio della uguaglianza, in quanto i cittadini di alcuni ben definiti territori (regioni del Sud) non hanno le stesse opportunità di cura di quelli di altri territori (regioni del Nord). Sarà perché forse mancano le strutture, sarà perché i cittadini forse considerano migliore la qualità delle cure erogate in altre regioni, sarà che le strutture private accreditate del Nord forse offrono opportunità che non si trovano in altre regioni, o saranno chissà quali altri motivi, sta di fatto che si vengono a configurare due tipi di popolazioni: coloro che hanno la possibilità di uscire dalla propria regione alla ricerca di prestazioni ritenute più consone alla propria condizione di paziente e coloro che non hanno questa opportunità, cioè l’esatto opposto di un servizio sanitario che pretende di essere impostato attorno al principio di uguaglianza.

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