si muove anche il governo

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La spinta per una legge che riconosca a Roma poteri e risorse di una Regione (o quasi) non viene solo dal Parlamento. Nei mesi passati, infatti, si è lavorato a fari spenti anche su un testo del Governo. L’obiettivo è sempre lo stesso: colmare il gap tra la Capitale italiana e le sue “colleghe” europee, dando a Roma più peso in termini legislativi, amministrativi e anche finanziari. L’indiscrezione arriva dopo il via libera in commissione Affari costituzionali di Montecitorio all’iter di due proposte di legge molto simili, una di centrodestra – relatori Paolo Barelli (Forza Italia) e Luca Sbardella (FdI) – e un’altra invece di Roberto Morassut (Pd). Entrambe, modificando alcuni articoli della Carta, puntano a dare alla Capitale molti dei poteri regionali, con qualche eccezione: in primis la sanità, che occupa gran parte del bilancio del Lazio (come delle altre regioni) e che rimarrebbe dov’è. Le due versioni si impegnano anche a dotare Roma di «adeguati mezzi e risorse per lo svolgimento delle sue funzioni».

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LA PREMIER
Nel frattempo, come detto, si è innestata sottotraccia un’altra partita all’interno del Governo. A gestirla, secondo quanto filtrato su mandato della premier Giorgia Meloni, è in particolare il senatore Andrea De Priamo (FdI). D’altronde, l’attuale leader di Palazzo Chigi – in passato consigliera comunale a Roma e in corsa per il ruolo di sindaco nel 2016 – ha dimostrato in tempi non sospetti di essere piuttosto sensibile al tema: basti pensare che nel dicembre 2020 (ai tempi del governo Conte II) propose durante la discussione della Manovra alla Camera un ordine del giorno per impegnare l’esecutivo a dotare la Capitale di più fondi e più poteri. Dando così sostanza alla mai applicata legge 42 del 2009 (promulgata sotto il governo Berlusconi).

Secondo quanto emerso, De Priamo – che ha seguito per FdI anche la riforma dell’autonomia – ha lavorato in questi mesi con i due ministri direttamente interessati, viste le loro deleghe, dalla riforma dei poteri di Roma Capitale: il leghista Roberto Calderoli (Affari regionali e autonomie) e la forzista Maria Elisabetta Casellati (Riforme istituzionali e semplificazione normativa). Insieme hanno definito una bozza, ancora da limare, che ricalca le due proposte di legge depositate alla Camera. Ma che prevede anche di definire, con una legge non di natura costituzionale ma di rango inferiore, il successivo riparto di competenze tra Regione e Capitale, evitando così di rallentare il procedimento a valle, una volta approvata la modifica della Carta. Mettendo le basi anche per un tavolo di confronto tra Regione Lazio e Campidoglio, dove discutere ad esempio se la riforma si applicherà al comune di Roma oppure a tutta l’area metropolitana, oppure ancora se i municipi – oggi sono 15 quelli della Città Eterna – avranno una propria autonomia di bilancio (su quest’ultimo punto si propende al momento per il “sì”).

La settimana prossima ripartiranno i contatti tra i ministeri coinvolti per limare gli ultimi dettagli della bozza, così da arrivare a un testo condiviso, che nelle intenzioni non dovrebbe “scavalcare” quello del Parlamento ma costituire una sorta di tassello ulteriore, pur ovviamente avvantaggiato dal fatto di avere il bollino verde di Palazzo Chigi. D’altronde, questo testo nasce anche dall’esperienza della scorsa legislatura, quando si era trovato un accordo in commissione ma poi tutto finì nel nulla con la caduta del governo Draghi. Anche stavolta il consenso a questa riforma appare trasversale, lasciando ipotizzare che si possa arrivare a una soluzione condivisa e superare in aula il quorum di 2/3 (evitando così anche il referendum successivo). I due canali (parlamentare e governativo) al momento viaggeranno comunque separati, ma si punta a trovare poi una sintesi.

L’ITER ALLE CAMERE
Se sul testo dell’esecutivo se ne saprà di più tra un paio di settimane, per quanto riguarda le proposte di legge parlamentari (Barelli-Sbardella e Morassut) l’intenzione è di arrivare a un’approvazione in prima lettura entro l’estate. Così da lasciare tempo per la seconda approvazione, necessaria per le riforme costituzionali.

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