Giustizia, Premierato, Autonomia. Delle tre riforme proposte dal governo Meloni la prima è quella più avanti, dopo l’approvazione lo scorso 16 gennaio, l’aula di Montecitorio ha approvato il ddl con 174 voti favorevoli e 92 contrari e 5 astenuti. Trattandosi di una riforma costituzionale, il teso della riforma della giustizia dovrà ricevere il benestare del Senato e successivamente l’approvazione di entrambi i rami del Parlamento, a distanza di almeno tre mesi dalla prima approvazione.
La spinta del ministro Nordio, che da trent’anni teorizza la separazione delle carriere, con il grande sostegno di Forza Italia che vede nella riforma la realizzazione del sogno che fu di Silvio Berlusconi ha fatto sì che oggi fosse quella che sta realmente prendendo piede tant’è che in una dichiarazione del guardasigilli ha specificato che auspica che “entro l’estate” avvenga la doppia approvazione, per poi tenere la consultazione “in autunno”.
Se nella seconda votazione i voti favorevoli saranno meno dei due terzi dei componenti in almeno una Camera, per entrare in vigore la legge dovrà passare per un referendum confermativo, ipotesi che il governo da per certa. Nelle dichiarazioni di voto in aula, tra i tanti toni entusiasti provenienti da Fi, il viceministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto, chiama in causa il defunto ed ex premier azzurro Silvio Berlusconi: “L’approvazione in prima lettura della separazione delle carriere è una grande vittoria di Silvio Berlusconi, di Forza Italia, del centrodestra, del Parlamento e di tutti gli italiani liberi.
Prosegue il nostro impegno per una giustizia calibrata sui principi costituzionali e sulle garanzie del cittadino”. Nonostante i toni festosi continua ad esprimere la sua contrarietà a riguardo l’associazione nazionale magistrato, secondo loro tale riforma metterebbe “a rischio l’autonomia e l’indipendenza della magistratura”.
Sulle altre due, ci sono ancora incognite.
La riforma del Premierato, quella più grande, quella che vorrebbe ribaltare la nostra forma di governo, consegnando il comando al premier, non v’è traccia. La lunga pausa di riflessione è stata determinata da alcuni aspetti irrisoli: in primis la legge con cui eleggere il premier. E qualora si dovesse passare al voto popolare, un referendum, a giugno una bocciatura porterebbe a un risvolto negativo per il governo (un po’ come accadde per Renzi).
Un altro elemento che ha messo in pausa il Premierato è la possibile concomitanza con il referendum sull’Autonomia differenziata.
Anche per questa riforma sono arrivati i nodi al pettine. Il principale intoppo è stata la bocciatura da parte della Corte Costituzionale. Lo scorso 14 novembre i giudici della Consulta hanno dichiarato illegittime ampie e sostanziali parti della riforma, che era già stata approvata dal Parlamento su iniziativa della Lega. Dunque, secondo la sentenza la legge è inapplicabile e quindi le regioni del nord guidate dai presidenti della Lega non possono chiedere il trasferimento di maggiori poteri da parte dello Stato. Tale risultato ha causato un forte irrigidimento della Lega, il patto iniziale secondo cui vigeva l’accordo Salvini Meloni era che Autonomia e Premierato procedessero in concomitanza. E vista l’impossibilità ha indotto alcuni esponenti del Carroccio a rimarcare la loro perplessità sul premierato sia sulla riforma in sé sia sulla legge elettorale che andrebbe definita per renderla coerente col nuovo sistema istituzionale che entrerebbe in vigore.
Per via di questo clima non proprio sereno la commissione Affari costituzionali della Camera, che dovrebbe discutere la riforma del Premierato, per ora procede con prudenza. Il suo presidente, il deputato Nazario Pagano di Fi, ha spiegato che dopo la riforma della Giustizia è in calendario quella sulla Corte dei Conti, su cui la commissione sarà impegnata verosimilmente fino a fine febbraio. Nel mentre, però potrebbe complicare la situazione la Corte Costituzionale, in quanto il 20 gennaio dovrà confermare il giudizio della Cassazione, e cioè se è ammissibile il referendum sull’Autonomia. Qualora fosse ammissibile il referendum dovrà tenersi tra il 15 aprile e il 15 giugno.
Sul piano politico, sarebbe uno scenario da incubo per il governo al di là dell’esito del voto, perchè le campagne referendarie dell’opposizione punterebbero sulla salvaguardia della Costituzione e quindi si minerebbe sia sulla riforma del Premierato che su quella dell’Autonomia delle regioni.
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