una scelta partigiana di pace

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Ormai da diversi anni l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università denuncia la pervasiva presenza degli apparati militari – dei loro esperti, delle loro attrezzature, dei loro metodi, ma anche dei loro valori, dei loro simboli, del loro lessico – all’interno dei luoghi deputati all’educazione e alla formazione di studenti e studentesse. Il volume Comprendere i conflitti, educare alla pace (Aracne, 2025) raccoglie gli interventi del Convegno tenutosi a Roma il 10 maggio 2024 e intende fornire un quadro teorico di riferimento attraverso il quale interpretare quella che viene letta come una deriva militarista della società e dell’istruzione in particolare: «La scuola va alla guerra e la guerra ed i suoi apparati di morte entrano sempre di più nelle scuole italiane» (Mazzeo, p. 79).

Tra proposte formative – di orientamento, di educazione civica, oppure collegate a percorsi scuola-lavoro (PCTO) e corsi di lingua straniera – e progetti di ricerca, avanzati e finanziati da imprese e fondazioni, l’Osservatorio constata amaramente il programmatico e deteriore processo di militarizzazione che investe la società civile proprio a partire dalle istituzioni scolastiche (Lucivero, pp. 9-13).

La critica si sofferma sulla diffusione di un modello culturale tutto teso a giustificare e sorreggere un militarismo diffuso e multidimensionale (Barnao). Come appare evidente per la dimensione economica – che ha visto l’aumento delle spese militari nel bilancio dello Stato – e per quella politica – che avalla l’idea di poter risolvere i conflitti con l’uso della forza – anche nella dimensione culturale assistiamo ad una continua legittimazione di un «sistema di valori, norme, simboli legati alla cultura militarista» (Barnao, p. 43).

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All’interno della prospettiva del dual use, infatti, quella per cui le partnership tra università e imprese che producono armamenti appaiono giustificate dall’impiego anche civile delle tecnologie militari, sembra sempre più difficile immunizzare la società civile dalla fascinazione militaristica (Lancione, pp. 111-116).

Così, nonostante all’interno delle singole istituzioni scolastiche possano pure fiorire pratiche volte ad orientare l’educazione verso il paradigma nonviolento (Coiro, pp. 117-133), la denuncia del testo arriva forte e chiara: «Sappiamo come, attraverso i Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (PCTO, già Alternanza Scuola Lavoro) e i patti territoriali con gli istituti scolastici, si facciano degli interessi economici il volano della didattica disciplinare» (Puleo, p. 142). E ancora: «Le tre missioni delle Università, ricerca, insegnamento, e soprattutto la terza, applicata al rapporto con il territorio, sono progettate e gestite sotto il ricatto dei fondi concessi dai privati e dagli orientamenti che l’Agenzia di Valutazione della Ricerca (ANVUR) impone attraverso il gioco delle pubblicazioni accademiche, favorendo o penalizzando dipartimenti universitari, carriere di docenti. Sempre sotto lo sguardo occhiuto dei privati» (Puleo, p. 139).

Dai diversi interventi contenuti nel volume emerge come sia l’intreccio tra nazionalismo, securitarismo, giustizialismo e populismo ad insinuare e sovrapporre questa cultura militarista, questa ideologia della difesa (Tusini, pp. 151-170) agli ideali educativi pluralisti. Ideali, ribaditi nella Raccomandazione sull’educazione dell’Unesco (2024), di pace, di rispetto dei diritti umani, di cooperazione internazionale, di tensione verso la cittadinanza globale e lo sviluppo sostenibile oggi piegati ad un deteriore realismo geopolitico.

La riduzione ad utopia, o peggio ad anacronismo, degli ideali pacifisti, fini espliciti delle organizzazioni internazionali, ci precipitano, così, nel baratro di un colpevole fallimento pedagogico: «di fronte alla scia di sangue e di vite spezzate che si sta estendendo dalla Ucraina alla Palestina, dal Libano allo Yemen […] l’utopia dell’UNESCO mi sembra la speranza ingenua di pochi spiriti eletti. Nulla ha potuto, evidentemente, in questi settanta anni, l’educazione, e nulla hanno potuto le pratiche pacifiste di formazione per scardinare e mettere al bando la guerra» (Marchetti, pp. 56-57).

All’interno dell’attuale contesto geopolitico, che vede una recrudescenza della distruttività delle guerre, ma anche delle stesse logiche di guerra, da insinuare e giustificare ideologicamente all’interno della società civile, va quindi collocato questo nuovo volume dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università. Con esso gli autori rimarcano in modo esplicito una scelta partigiana di pace, conforme a quella kantiana memoria del diritto – nazionale e internazionale – spesso colpevolmente annichilita da un funesto virus del dominio (Dolci, 1987).

Andrea Petracca



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