Così commenta all’agenzia Dire il portavoce Riccardo Noury. L’intervista avviene mentre i primi novanta prigionieri palestinesi lasciano il carcere di Ofir
Pubblicato:19-01-2025 20:02
Ultimo aggiornamento:19-01-2025 21:32
ROMA – “Bene le scarcerazioni, ma dovrebbero essere liberati prima di tutto quei palestinesi che non avrebbero mai dovuto andare dietro le sbarre: i minori in primis, e poi quelli tenuti senza prove, senza capi d’accusa ne’ processo, ossia in regime di detenzione amministrativa, e poi quelli arrestati per effetto della legge ‘sui combattenti illegali’, dei quali non sia stato verificato il sospetto di colpevolezza e quindi a loro volta non sono andati a processo”.
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Così commenta all’agenzia Dire Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International. L’intervista avviene mentre i primi novanta prigionieri palestinesi lasciano il carcere di Ofir, in Cisgiordania, una mossa che segue la liberazione delle prime tre cittadine israeliane ancora parte del gruppo dei sequestrati nell’ottobre 2023 dai combattenti palestinesi.
“Ovviamente- evidenzia Noury- anche gli ostaggi israeliani vanno rilasciati tutti e al più presto, e ci rallegriamo per queste prime tre donne che stanno tornando a casa”.
LA DETENZIONE AMMINISTRATIVA
Tra i detenuti che Israele ha acconsentito a liberare ci sarebbero anche autori di attacchi e omicidi. Nessuno dei 90 palestinesi liberati oggi si sarebbe però macchiato di tali crimini. Noury però tiene a evidenziare il nodo dei diritti umani, un tema affrontato anche in un report del 2022 in cui i ricercatori di Amnesty hanno incluso la pratica della detenzione amministrativa, degli arresti arbitrari e della negazione del diritto alla difesa tra le azioni che renderebbero Israele colpevole di applicare sui palestinesi un regime di apartheid. A dare stime del fenomeno è anche l’organizzazione israeliana Hamoked, secondo cui, all’1 gennaio 2025, ammontano a 3.376 i palestinesi in detenzione amministrativa.
Oltre all’istituto della detenzione amministrativa, ci sono anche quelli arrestati in applicazione della legge sui combattenti illegali: “È una legge varata nel 2002 e saltuariamente applicata”, continua Noury, “ma, dopo l’orribile attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, è stata usata per vere e proprie ‘retate’ di residenti a Gaza”.
Noury riferisce che un emendamento del dicembre 2023 ha consentito di “estendere a 45 giorni il periodo in cui l’esercito israeliano può trattenere i palestinesi arrestati senza un’ordinanza di detenzione, mentre è passato da 14 a 75 giorni il periodo di tempo in cui una persona può essere detenuta senza essere portata di fronte a un giudice, e da 21 giorni fino a sei mesi, in seguito ridotti a tre, quello in cui non può incontrare un avvocato”.
I NUMERI
Ad oggi se ne conterebbero 1.886 secondo Hamoked, portando così il totale dei prigionieri palestinesi a oltre 10mila unità. Noury continua riferendo che la norma, così riformata, ha consentito ai militari di eseguire arresti durante i blitz delle forze israeliane alle scuole-rifugio o agli ospedali della Striscia.
IL CASO DEL PEDIATRA
Un caso recente è quello del 27 dicembre scorso di Hussam Abu Safiya, pediatra e direttore dell’ospedale Kamal Adwan. Amnesty ha lanciato una campagna per la sua liberazione. Il medico, scrive l’organismo, è stato in “prima linea per fornire cure nel più grande e ultimo ospedale ancora funzionante nel nord di Gaza”, stretta dall’autunno scorso da un assedio militare. Le autorità israeliane hanno confermato l’arresto di Abu Safiya ma non hanno rivelato il luogo della detenzione, pertanto i familiari non hanno notizie sulle condizioni del medico, che non può neanche ricevere l’assistenza di un avvocato. Più in generale, il sistema detentivo israeliano a danno dei palestinesi “permette di tenere dietro le sbarre anche bambini, donne, anziani e malati, e abbiamo ricevuto da ex detenuti resoconti di torture e maltrattamenti” dice Noury.
DIECI ANNI DI DETENZIONE
Celebre è il caso di Ahmad Manasra, che oggi ha 23 anni e venne arrestato quando di anni ne aveva 13. La famiglia riferisce che il bambino venne interrogato e minacciato senza la presenza di un legale, e ha trascorso diversi anni in isolamento. Per questo, secondo Amnesty International, che si batte anche per il suo ritorno a casa, “ha sviluppato problemi di salute mentale” e oggi soffre di “schizofrenia, deliri psicotici ed è gravemente depresso con pensieri suicidi”.
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