I dazi proposti dal presidente colpirebbero molte case automobilistiche. Oltre alle imposte sui modelli importati dall’Europa e dall’Asia, vanno osservate attentamente quelle che potrebbero essere applicate sui veicoli prodotti in Messico
Il giorno più atteso negli Stati Uniti, e non solo, è arrivato. Dal 20 gennaio 2025 inizia ufficialmente il secondo mandato di Donald Trump come presidente americano. Quattro anni che si preannunciano di forte cambiamento per il Paese a stelle e strisce, se si considera quanto promesso dall’esponente repubblicano in campagna elettorale. Cambiamenti che riguarderanno gli equilibri interni della prima potenza mondiale e non solo. Tra i punti centrali del programma di Trump c’è infatti una politica economica di stampo protezionistico, che interesserà di conseguenza anche il resto del mappamondo. E che riguarderà , giocoforza, anche il settore automotive. L’industria automobilistica è cruciale per l’economia americana, rappresenta uno dei traini produttivi del Paese. E anche da un punto di vista culturale ciò che riguarda l’auto e l’industria attorno ad essa interessa molto i cittadini statunitensi. Le misure protezionistiche promesse da Trump, se realizzate, avranno l’obiettivo di spingere i grandi gruppi dell’automotive a produrre sempre più in terra americana. Andiamo dunque a scoprire quali sono i dazi citati dal presidente, quali Paesi andrebbero a colpire e soprattutto che effetti potrebbero avere sulle case europee e asiatiche.Â
quali dazi e per chi
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Durante la campagna elettorale Trump ha dichiarato di voler imporre un dazio generale del 10% (in alcune occasioni del 20%) per le importazioni. Questo, ovviamente, riguarderebbe anche l’industria automobilistica. Alcuni Paesi, inoltre, sarebbero soggetti a imposte ancor più altre. Tra questi la Cina, per cui si è parlato di dazi al 60% (sulle importazioni di auto elettriche ne è già presente uno del 100%) e i confinanti Messico e Canada. Per importare prodotti dai suoi “vicini” americani, il presidente vorrebbe imporre una tassa aggiuntiva del 25%.Â
case europee e asiatiche, la questione del messico
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Dunque, se Trump dovesse mettere in atto quanto promesso in campagna elettorale, per importare auto da Europa, Giappone e Corea del Sud bisognerebbe pagare un dazio del 10%. Un discorso approfondito, però, va fatto anche su quanto proposto dal presidente riguardo al Messico. Nel Paese, infatti, sono presenti stabilimenti di case d’auto di tutto il mondo: le europee (Mercedes, Bmw, Audi e non solo), asiatiche (Nissan, Kia), nonché dei grandi marchi americani (tra cui GM e Ford). Il motivo di questa concentrazione? Abbastanza intuitivo: produrre vicino agli Usa a prezzi minori per poi esportare i propri modelli in terra americana con costi di trasporto contenuti. Questo è proprio ciò che Trump vuole evitare, in campo automobilistico e non solo. Colpendo con dazi maggiori i Paesi confinanti, la Casa Bianca spingerebbe i produttori a spostare i siti di produzione negli Stati Uniti. Una situazione che sarà sicuramente monitorata dalle varie case.Â
la situazione della cina
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Diverso il discorso per le case cinesi. Gli Stati Uniti, già con l’amministrazione Biden, hanno attuato una serie di provvedimenti volti a contrastare la concorrenza di Pechino in campo automotive. Oltre al già citato dazio del 100% per le importazioni di auto elettriche prodotte nella Repubblica Popolare, il dipartimento del Commercio ha messo al bando le auto con software e hardware prodotti in Cina a partire dal model year 2027 per i primi e da quello 2029 per i secondi. Da valutare, invece, la risposta dell’amministrazione Trump a un’eventuale proposta delle case cinesi di aprire stabilimenti negli Stati Uniti. La messa al bando, infatti, è stata giustificata con motivi legati alla sicurezza nazionale. Se però i siti di produzione dovessero trovarsi negli Usa, potendo dunque essere monitorati dalle autorità locali, non sarebbe da escludere a prescindere un’apertura.Â
il “problema” del dollaro
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La politica dei dazi proposta da Trump potrebbe trovare qualche ostacolo fin da subito. “Responsabile”, per paradosso, sarebbe indirettamente il presidente americano stesso. I mercati hanno infatti reagito bene alla sua elezione, con il dollaro che è andato a rinforzarsi di più rispetto alle monete concorrenti. Un fenomeno che, se dovesse continuare, potrebbe per lo meno attutire l’effetto dei dazi stessi per gli importatori: comprando con una moneta più forte, infatti, si riduce in proporzione il peso dell’imposta applicata sul prodotto che si sta importando. È ancora presto per vedere quali contromisure verranno attuate in merito dal presidente americano. Per il momento, le case guarderanno con massima attenzione alle prime mosse di Trump. Da capire intanto quali dazi arriveranno e che in quale misura: il presidente manterrà quanto promesso o sorprenderà le aziende con delle imposte al rialzo (o al ribasso) rispetto a quanto dichiarato?
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