“Gesù, un profeta apocalittico ribelle per la giustizia”

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Bergamo. “Gesù intese esplicitamente rompere con la Legge?”. A questa domanda ha risposto il teologo Vito Mancuso durante il primo dei cinque appuntamenti della seconda edizione di “Lezioni di Storia”, sabato 18 gennaio al Teatro Donizetti, iniziativa ideata da Editori Laterza e realizzata in coproduzione con la Fondazione Teatro Donizetti e con il sostegno di Cassa Lombarda.

Una nuova edizione dedicata ai Ribelli, che pone al centro il pensiero e l’azione di alcune grandi figure di rottura del passato, che hanno messo in discussione costumi, mentalità e regole, per spiegare il presente ed esortare a coltivare la speranza di un cambiamento.

In questo primo appuntamento, Mancuso ha delineato la figura di Gesù, un Ribelle nell’affrontare “la rottura della Legge”. Un ribelle religioso, rispetto alla strumentalizzazione politica messa in atto nei confronti della stessa religione.

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“La nostra vita passa necessariamente dall’incontro con Gesù, sia in senso positivo che negativo. In questo, nessuno può dirsi neutrale”, spiega il docente e teologo.

“Che idea mi sono fatto di Gesù? È ebreo, etnicamente e religiosamente, ed è un profeta apocalittico, il cui messaggio centrale era l’avventura imminente del regno di Dio. Io credo che Gesù sia Figlio di Dio. Un uomo totalmente a servizio di quella Santa Intelligenza che è all’origine del processo che ci ha generati e che ancora ci genera, e dove torneremo inevitabilmente. Le persone che si pongono a servizio di questa Intelligenza, sono suoi figli. Grazie a loro il mondo prosegue il proprio corso, grazie alla giustizia, a chi introduce l’armonia nel caos”.

Mancuso distingue il Cristianesimo religioso dal Gesuanesimo, l’annuncio originario del Regno di Dio (nell’accezione di “dominio di Dio”) e la trasformazione della Storia mediante la Giustizia. “Gesù è un ribelle, anche dal punto di vista storico. La crocifissione punisce la lesa maestà dell’Impero Romano, nel modo più atroce, sia sotto l’aspetto della sofferenza che della vergogna. Un ribelle da esporre come monito ai suoi seguaci”.

 

Foto Federico Buscarino/Fondazione Teatro Donizetti

 

Il teologo porta ad esempio gli stessi fatti dei vangeli (in particolare quelli sinottici), insieme ad alcune incongruenze, che portano a pensare come la narrazione della morte di Gesù riporti più l’eliminazione di un capo politico sovversivo che non di un messia solamente religioso. Incongruenze giuridiche rispetto al diritto penale ebraico: viene narrato come compatto un mondo giudaico in realtà frammentato, ma anche l’esecuzione di processi in abitazioni private durare le festività, così come la condanna a morte che non può rifarsi alla sola accusa per blasfemia.

Incongruenze rilevate anche rispetto ad altre fonti storiche. “Filone di Alessandria e Flavio Giuseppe, ad esempio, raccontano la figura di Pilato nella maniera peggiore (“inflessibile e spietato”, che mostra “corruzione, violenze, crudeltà infinita”, ndr). Non avrebbe mai avuto timore degli ebrei. Se Pilato fa crocifiggere Gesù, e manda i suoi soldati a catturarlo, non era solo una questione religiosa, ma anche politica”.

Una narrazione comune che contrasta poi con le testimonianze del tempo. “Gesù era rimasto deluso dalle città della Galilea, aveva pensato di andare al cuore dello Stato, a Gerusalemme, con intento ribelle. Gesù era un ribelle religioso, ma una ribellione religiosa non avrebbe potuto non avere conseguenze anche di tipo politico. Gesù, però, non voleva istituire una nuova religione, aveva in mente la sua purificazione, purificando proprio il sistema di potere all’interno della teocrazia. Gesù viene arrestato infatti dagli ebrei e dai romani, entrambi fazioni con interessi nel Tempio e rispetto al suo ruolo finanziario”.

Pilato crede che Gesù non sia una minaccia, perché si confronta solo con il potere religioso dell’epoca. “Gesù viene ucciso in quanto ribelle profeta religioso. Ribelle al modo in cui la religione veniva esercitata, solo per il potere. Venne ucciso dal potere religioso, senza processo. perché era un ribelle. Non ribelle alla religione, ma ribelle a chi usava la Torah per questioni politiche”.

Una ribellione che guarda ad una Giustizia più alta, teologica, che riguarda ancora oggi tutti gli uomini. “Gesù era un profeta apocalittico, perché annunciava il Regno di Dio, mai arrivato. Storicamente sbagliando, Gesù sì sbagliò, ma non si sbagliò da un punto di vista filosofico, nel cercare, ad esempio, la verità nella sua connotazione etica. Gesù combatte il potere per affermare il regno di Dio. Filosoficamente parlando, io sento di appartenere al Regno di Dio, perché io intendo la vita in maniera diversa rispetto al Regno del Potere – spiega Mancuso – . Serve vedere la verità in senso più profondo dalla semplice successione di fatti. Un’utopia che va al di là dallo status quo. Un ritorno ad un Gesuanesimo che possa sottolineare la capacità dell’uomo di sentire la musica della giustizia. Non a caso insegnava ‘beati quelli che hanno fame e sete della giustizia’”.

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