I limiti dell’attività del praticante avvocato

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 Fonti: https://www.consiglionazionaleforense.it/

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Inquadramento normativo: artt. 2, 35, 36 codice deontologico forense

A norma del codice deontologico forense “I praticanti sono soggetti ai doveri e alle norme deontologiche degli avvocati e al potere disciplinare degli Organi forensi” (art.2). In varie occasioni il Consiglio Nazionale Forense ha definito i limiti di competenza dei praticanti avvocato.

Spendita del titolo di avvocato. I praticanti sono tenuti al dovere di corretta informazione per cui possono usare esclusivamente e per esteso il titolo di “praticante avvocato”, con l’eventuale indicazione di “abilitato al patrocinio” qualora abbia conseguito tale abilitazione (Art. 35 comma 5). Anche nel caso in cui si tratti di Praticante Avvocato abilitato al patrocinio, egli non può utilizzare nello svolgimento dell’attività professionale il titolo di Avvocato, in caso contrario si renderà responsabile della violazione dell’art.36 comma 1 del codice deontologico che considera illecito disciplinare l’uso di un titolo professionale non conseguito (Consiglio distrettuale di disciplina di Napoli, decisione n. 25 del 19 aprile 2021).

Esercizio di attività professionale oltre i limiti di competenza del praticante avvocato. Peraltro, anche a prescindere dalla spendita o meno del titolo di avvocato, il Consiglio ritiene che violi il divieto di attività professionale senza titolo e di uso di titoli inesistenti anche il praticante avvocato che agisca in giudizio al di là delle competenze per materia e valore consentitegli dalla Legge, in quanto assume rilevanza e disvalore il comportamento dell’iscritto che abbia assunto il mandato senza essere in possesso della necessaria abilitazione per l’esercizio dell’attività difensiva (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n.237 dell’8 novembre 2023). 

 Difetto di jus postulandi del praticante avvocato. La giurisprudenza di legittimità e disciplinare concordano nel ritenere che il praticante avvocato sia privo di “jus postulandi”, che costituisce presupposto necessario per proporre ricorso in Cassazione o dinanzi al Consiglio Nazionale Forense (cfr. ex multis, Corte di Cassazione, S.U., sentenza 17 dicembre 2003, n. 19358; Consiglio Nazionale Forense, sentenza 18 settembre 2021).

Al riguardo il giudice disciplinare ha ricordato che l’ordinamento professionale consente all’incolpato nel giudizio dinanzi al Consiglio Nazionale Forense

  • di difendersi personalmente qualora iscritto nell’albo professionale ordinario o negli elenchi speciali (enti pubblici e università) e in possesso dello ius postulandi,
  • di farsi assistere da altro avvocato purché iscritto nell’Albo Speciale di cui all’art. 33 R.D.L. n. 1578 del 1933 e munito di mandato speciale.

I giudici di legittimità hanno, inoltre, precisato che, in deroga alla normativa contenuta nell’art. 66, comma 3, del regio decreto n. 37 del 1934, a norma del quale il ricorso in Cassazione “è sottoscritto dal ricorrente o da un suo procuratore munito di mandato speciale”, il suddetto ricorso possa essere proposto anche in proprio dall’interessato, purché iscritto all’albo degli avvocati e capace di esercitare le funzioni di avvocato, quindi non colpito da provvedimento esecutivo di sospensione, anche nel caso in cui, egli non sia abilitato all’esercizio davanti alle giurisdizioni superiori (Corte di Cassazione, SS.UU., sentenza n.22246 del 14 luglio 2022).

Ne discende l’inammissibilità sia del ricorso per cassazione sia del ricorso dinanzi al Consiglio Nazionale Forense, proposto personalmente dal praticante avvocato, in quanto soggetto privo del necessario jus postulandi.  

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 Pertanto, il Consiglio Nazionale Forense ha ritenuto inammissibile il ricorso sottoscritto personalmente dal solo praticante ricorrente riguardante

  • la delibera con la quale il COA aveva revocato in autotutela il provvedimento di iscrizione al registro dei praticanti (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n.288 del 5 luglio 2024);
  • la delibera con cui e il COA aveva rigettato la sua domanda di iscrizione nel registro dei praticanti Avvocati (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n.148 del 26 settembre 2022);
  • la delibera con la quale il COA non aveva convalidato il semestre di pratica (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n.123 del 25 giugno 2022).

Sanzione attenuata per il praticante avvocato. Nel caso in cui vengano commesse delle violazioni disciplinari in concorso da più professionisti, tra i quali un praticante avvocato, a quest’ultimo deve essere inflitta una sanzione più attenuata, rispetto a quella comminata agli altri concorrenti. Tale attenuazione è giustificata dalla circostanza che il praticante è in una posizione di inesperienza, con la conseguenza che la sua condotta è caratterizzata dalle incertezze e timidezze tipiche degli esordi professionali, nonché dal condizionamento dovuto alla collaborazione con professionisti di ben diversa esperienza (Consiglio Distrettuale di disciplina di Napoli, decisione n. 11 del 23 agosto 2017).

Ambito penale. In ambito penale, il Consiglio ha affermato che il praticante abilitato può sostituire il dominus negli interrogatori dinanzi alla polizia giudiziaria e durante le perquisizioni laddove il dominus risulti già essere stato nominato, a condizione che tali attività professionali siano svolte sotto il controllo del dominus e riguardino procedimenti rientranti nell’ambito di competenza di cui all’articolo 41, comma 12, ossia “nei procedimenti di competenza del giudice di pace, in quelli per reati contravvenzionali e in quelli che, in base alle norme vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51, rientravano nella competenza del pretore” (Consiglio nazionale forense, parere n. 47 del 9 ottobre 2024).

 

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