18 gennaio 2025 10:43
di ALDO TRUNCE’*
Oggi piove, è prevista un’allerta meteo in tutta la fascia ionica calabrese, ma non è la pioggia a poter fermare questa manifestazione che il coordinamento delle Camere Penali Calabresi ha fortemente voluto. Una pioggia, nello scorso novembre, ha invece travolto quel colosso presentato con orgoglio come un punto di svolta nell’amministrazione della giustizia calabrese. L’aula bunker di Lamezia, nata per il processo Rinascita Scott e destinata a ospitare processi di grande complessità e dai grandi numeri, non ha resistito alle intemperie autunnali ed è stata travolta da una pioggia di fango e melma. L’immagine di quest’aula nel fango è tanto cupa quanto triste. E’ la sintesi prepotente di quanto sia fragile il modo di pensare all’amministrazione della giustizia come ad un’opera titanica, una grande nave da crociera in cui imbarcare quanti più passeggeri possibili. Nelle stive gli imputati, più riusciamo a metterne meglio è. Nelle cabine gli operatori della giustizia, divisi non per censo, in questo caso, ma per funzioni. Tutti però destinati ad affondare, al primo urto, prevedibile di un iceberg, come il Titanic. Il Titanic è affondato, la fortezza giudiziaria di Lamezia Terme, cattedrale nel deserto è affondata, mettendo a nudo l’impalcatura fragile su cui era stato costruito questo colosso di giustizia. Un’opera faraonica, concepita per ospitare “processi mostra”, processi da esibire, ma anche “processi mostri”, come si sono dimostrati nella loro reale essenza. Un castello di carte, incapace di resistere alle prime intemperie. Ora, giudici e avvocati sono costretti a un esodo forzato a Catania, per celebrare un processo simbolo di un sistema più interessato alla quantità che alla qualità della giustizia. In questo scempio, il lavoro delle Camere Penali Calabresi è stato incessante, con uno stato di agitazione nato ben prima del cataclisma abbattutosi sull’aula bunker lametina.
L’astensione “a staffetta” di 11 settimane che ha interessato i fori di tutta la regione è un evento eccezionale di cui non vi è memoria, perché eccezionale è il fenomeno della cosiddetta “Calabria giudiziaria”, quasi un geotopo, un luogo facilmente riconoscibile e creato ad arte dall’informazione, non solo di cronaca giudiziaria, grazie alle maxi inchieste e alle maxi operazioni che poi vengono accorpate tra loro dando vita a dei mostri giudiziari. Dietro la creazione di questo mostro, l’incapacità di garantire un processo equo e imparziale, dove la ricerca della verità è spesso sacrificata in nome di obiettivi politici, di politica giudiziaria se non di politica in senso stretto. L’avvocatura non può accettare che i diritti fondamentali della difesa siano sacrificati sull’altare di un modello processuale inefficiente e iniquo. La celebrazione di processi in condizioni così precarie è una grave violazione dei principi costituzionali. In mondo in cui si parla sempre più di scelte sostenibili, sotto il profilo ambientale ed etico, non è un’aberrazione affermare che il modello del maxi-processo, così come è stato concepito e attuato, ha dimostrato la sua insostenibilità. Immaginiamo quanti costi e sacrifici dovrà sopportare tutto il carrozzone in trasferta in una città insulare, oltre regione, che richiede viaggi impegnativi ed intere giornate di udienze interminabili.
E tutto questo investendo risorse che sacrificano la già esangue e martoriata cassa del sistema giustizia, che da inizio anno si sta confrontando con il processo telematico, che è già andato k.o. per ciò che riguarda gli applicativi in uso a magistrati e cancellieri. Ma il modello del processo cumulativo di massa, con i suoi ritmi frenetici e le sue limitazioni logistiche, è incompatibile con i principi del giusto processo. Principi che non erano sacralizzati nella Costituzione al tempo della celebrazione del cosiddetto “maxi”, il maxiprocesso nell’aula bunker di Palermo degli anni 80, quando il rito non era accusatorio, e quando il giusto processo era solo un’idea di illuminata dottrina. Quell’aula nel fango è un monito. Un monito a non ripetere gli stessi errori, a non inseguire modelli che promettono efficienza ma che in realtà generano inefficienza. È un monito a ripensare completamente il nostro modo di fare giustizia.
Non possiamo continuare a inseguire il mito della giustizia sul modello anacronistico dei maxi processi che fanno sempre notizia, perché portarne alla sbarra 1000 fa più notizia che portarne alla sbarra 100. Ma questa pesca a strascico si rivela un colosso dai piedi d’argilla che si sgretola al primo acquazzone. Dobbiamo tornare a processi di dimensioni più umane, dove il contraddittorio pieno ed agevole, con tutte le garanzie non formali, ma sostanziali, prevalga sulla quantità, dove ogni imputato possa essere difeso in modo adeguato e dove la ricerca della verità sia l’obiettivo primario, DI TUTTI.
La giustizia non è un prodotto industriale, da confezionare in serie e da distribuire in grandi quantità. È un processo delicato che richiede tempo, attenzione e risorse. È un diritto fondamentale di ogni cittadino, che non può essere sacrificato sull’altare dell’efficienza. Le mie parole, semplici, ma accorate, riflettono l’impatto emotivo di cui ogni giorno noi avvocati siamo investiti quando la giustizia sommaria, frutto dei grandi numeri, incide in maniera drammatica sulla vita delle persone, dei nostri rappresentati.
Siamo noi i veri testimoni di giustizia, o meglio di ingiustizia, perché solo noi possiamo testimoniare quanto dolore e sofferenza c’è sulle spalle di chi inerme, nonostante l’investimento di tempo, risorse e notti insonni, si ritrova a combattere una battaglia in un campo buio, in cui non ci sono punti di orientamento, senza fari che illuminino il percorso. Noi testimoni; i nostri assistiti, i veri attori protagonisti di questo dramma. È per loro che la nostra protesta oggi deve essere forte e chiara, perché non stiamo vaneggiando quando minacciamo astensioni a spron battuto per i prossimi mesi, ma stiamo combattendo strenuamente, con un metodo di lotta democratica, l’unico che ci è consentito, per costruire il futuro della giustizia in cui crediamo.
*Presidente della Camera Penale di Crotone
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