La realtà distrugge Giorgia Meloni: il rapporto Istat smentisce le frottole del Governo

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Il record di occupazione strombazzato da Giorgia Meloni ai quattro venti non esiste, così come il mantra che l’Italia cresce più di chiunque altro in Europa. I dati ISTAT sono impietosi e rivelano un calo della produzione industriale del 3,6% a ottobre 2024, (terzo anno consecutivo con il segno ‘meno’) mentre l’occupazione cresce solo in settori a bassa produttività e il PIL si riduce. La crisi è strutturale e gli annunci governativi sono solo propaganda per nascondere la realtà.

Il rapporto Istat smentisce il Governo Meloni

L’ultimo rapporto ISTAT sulla produzione industriale italiana ha destato grande preoccupazione, evidenziando una realtà economica ben diversa da quella prospettata dalla propaganda governativa.

I dati aggiornati a ottobre 2024 segnalano un calo del 3,6% rispetto all’anno precedente, che già registrava un -1,1%, a sua volta preceduto da un -1,6%. Questo quadro dipinge un’economia in declino, in netta contraddizione con le dichiarazioni ottimistiche diffuse dal governo di Giorgia Meloni e dai suoi sostenitori.

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La CGIA di Mestre aveva pubblicato un rapporto sull’occupazione che sembrava offrire una visione più positiva: un aumento di 847 mila occupati, con un boom di assunzioni al sud. Giorgia Meloni e i suoi alleati politici hanno prontamente colto l’occasione per celebrare questi numeri come una prova del successo delle loro politiche economiche. Tuttavia, un’analisi più approfondita dei dati ISTAT rivela una situazione ben più complessa e preoccupante.

La crescita dell’occupazione è avvenuta principalmente in settori a bassa produttività e a basso salario, come il food delivery e l’over-tourism. Questi sono settori che non contribuiscono significativamente alla crescita economica complessiva e non offrono posti di lavoro stabili e di qualità. Di fatto, il PIL italiano è stato rivisto al ribasso dall’ISTAT, passando dall’1% allo 0,5% per il 2024. Questo fenomeno segnala una transizione da un’economia industriale a una basata su servizi precari.

Gli economisti Alessandro Bellocchi e Giuseppe Travaglini dell’università di Urbino hanno sottolineato come questa transizione sia un segnale di deindustrializzazione, con un conseguente aumento dello sfruttamento del lavoro povero. L’osservatorio INPS ha confermato che l’occupazione è cresciuta soprattutto nei settori a bassa produttività, mentre le aziende che investono, innovano e creano occupazione stabile arrancano.

La propaganda filo-governativa ha cercato di distogliere l’attenzione da questi problemi sottolineando come altre grandi economie europee, come Germania e Francia, stiano attraversando difficoltà simili o peggiori.

Tuttavia, ciò non giustifica la mancanza di strategie efficaci per affrontare il declino economico interno. Il consenso attorno a Giorgia Meloni rimane alto, ma il collasso del tessuto produttivo italiano è evidente.

L’industria italiana è particolarmente colpita nel settore dei beni intermedi e strumentali. I beni intermedi, che rappresentano una parte significativa della produzione industriale, hanno subito un calo del 5,2%. Questi includono prodotti come acciaio, chimici e componentistica meccanica, che sono essenziali per molte filiere produttive europee, in particolare quelle tedesche. Con l’economia tedesca in difficoltà e nuove tariffe imposte dagli Stati Uniti, le esportazioni italiane soffrono ulteriormente.

Il settore dei beni strumentali, che ha storicamente rappresentato un punto di forza per l’Italia, è anch’esso in declino. Aziende leader come IMA Group, Coesia e Gruppo Marchesini hanno visto una riduzione significativa degli ordini e del fatturato. La Breton di Treviso, ad esempio, ha previsto un calo del fatturato da 220 milioni di euro nel 2023 a 175 milioni nel 2024, accompagnato da un drastico taglio del personale.

Le province come Reggio Emilia, un tempo fiori all’occhiello della produzione industriale, stanno registrando aumenti significativi nelle ore di cassa integrazione ordinaria. Questo riflette un calo della produzione e una diminuzione degli ordini, segnali di un’economia in contrazione.

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L’indice PMI composito per l’Italia ha registrato un calo sotto la soglia di 50, indicando una contrazione economica. L’indice manifatturiero ha subito un ulteriore crollo a 44,5, segnalando un peggioramento delle condizioni economiche.

In questo contesto, è difficile conciliare il quadro dipinto dalla propaganda governativa con la realtà economica descritta dai dati ISTAT. La narrativa di un’Italia che sta ripartendo grazie alle politiche del governo Meloni si scontra con una situazione di declino industriale e crescita economica stagnante. Mentre la propaganda celebra successi apparenti, la realtà è che l’Italia rischia di diventare sempre più dipendente da lavori precari e stagionali, compromettendo il suo futuro economico.

La sfida per l’Italia è ora quella di invertire questa tendenza, promuovendo investimenti in settori ad alta produttività, innovazione e occupazione di qualità. Solo attraverso politiche economiche lungimiranti e un sostegno concreto alle imprese produttive il paese potrà sperare di uscire dalla crisi e garantire un futuro migliore ai suoi cittadini.

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