Sanità, enti locali e scuola: gli aumenti di stipendio in ostaggio del populismo sindacale

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Conto e carta

difficile da pignorare

 


Prima delle ultime elezioni politiche il Corriere della Sera pubblicò un articolo del professor Ernesto Galli della Loggia che era, in sostanza, un lungo e ponderato elogio del cambiare idea. Il professore, infatti, se la prendeva contro chi, in campagna elettorale, utilizzava affermazioni dette in passato da qualche leader politico, per accusarlo di aver voltato gabbana e propagandare ormai, per convenienza, posizioni opposte. La tesi del professore era che “quando si tratta di politica — lo scenario dove tutto può cambiare con la maggiore rapidità e nella maniera più imprevedibile — mutare giudizio non è una colpa, ma spesso una necessaria presa d’atto della realtà e magari anche una prova d’intelligenza”. Ora non sarò certo io a mettermi a contestare la tesi di un così eminente studioso, per cui mi dico pronto, senza alcun indugio, a sottoscrivere anche quest’altra affermazione riportata nello scritto in questione, ossia che tra i diritti che la libertà assicura c’è anche quello di cambiare idea. Un diritto che così come viene riconosciuto agli elettori allo stesso modo va riconosciuto ai politici che si sottopongono al loro giudizio”.

Benissimo, se avessi però di fonte il professor Galli della Loggia non potrei esimermi da chiedere se c’è almeno un tempo limite entro il quale questa libertà possa essere, non dico conculcata, ma almeno ritenuta non decorosa. Perché, per esempio, mutare idea nello spazio di un mattino a me sembra alquanto poco serio, soprattutto se per due mesi si è battagliato per ottenere in un importante, se non decisivo accordo sindacale, una serie di punti qualificanti e poi, quando l’obiettivo è stato raggiunto, dopo una breve pausa pranzo, si cambia posizione e si fa, letteralmente saltare il tavolo.

È quanto accaduto il 14 gennaio scorso, quando di buon mattino, prima dell’inizio della riunione definitiva per la pre-intesa del CCNL Sanità Pubblica 2022/2024, un sindacato, Nursing up, aveva diffuso un comunicato per ribadire quali richieste riteneva irrinunciabili, aggiungendo che se accolte, avrebbero firmato l’accordo. Peccato che qualche ora dopo, nonostante avesse ottenuto l’inserimento delle sue richieste nel testo conclusivo, a sorpresa quel sindacato si è rifiutato di sottoscrivere l’accordo, aggiungendo il suo no a quelli già dichiarati di Cgil e Uil, così da raggiungere il 50% più uno della rappresentanza sindacale e impedire quindi un rinnovo che avrebbe portato ad un incremento medio lordo mensile di 172 euro dei salari del comparto sanitario, ma anche ad altre importanti novità, molto attese dal settore, come l’obbligo per le aziende di assumere ogni onere di difesa legale in caso di aggressioni al personale sanitario e di fornire agli stessi colleghi vittime di violenza il necessario supporto psicologico. Inoltre, al pari dell’intesa già siglata per il contratto delle funzioni centrali dello Stato, anche al comparto Sanità erano stati estesi il riconoscimento del buono pasto in smartworking, l’introduzione sperimentale della settimana corta, la proroga delle progressioni economiche in deroga e nuove tutele per il personale in età avanzata.

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C’erano però anche altre importanti innovazioni, più legate alla specificità delle professioni sanitarie, come il mantenimento dell’attuale figura di OSS, operatore sociosanitario senior, l’ampliamento dell’accesso con laurea triennale all’area ad alta qualificazione, una normativa più favorevole alla attività professionale extramuraria e l’equiparazione economica delle ostetriche agli infermieri per quanto riguarda l’indennità di specificità, e si potrebbe continuare ancora con tutti gli altri importanti passi avanti che il settore attendeva e che sono stati congelati in un’attesa non si sa quanto lunga. Sì, perché è evidente che con le elezioni per il rinnovo delle RSU previste per aprile, di risedersi presto intorno a un tavolo non è proprio aria. Ma qui sta proprio il punto cruciale: le elezioni per la RSU.

È evidente a tutti che questo accordo non è saltato per questioni di merito, come non è finito in stand by quello per i dipendenti delle Regioni e degli Enti locali. Solo quello per le Funzioni centrali, come ho già detto, l’intesa è stata firmata e esclusivamente in virtù del fatto che Cgil, Uil e Usb non raggiungono a quel tavolo la metà più uno della rappresentanza. Le motivazioni che il fronte del no oppone al testo del contratto, infatti, sono evidentemente strumentali. Loro dicono che non si può accettare che il potere d’acquisto degli stipendi, falcidiato dall’inflazione, venga recuperato solo in parte.

Giusto, anche se nel decennio del blocco contrattuale non mi ricordo analoga preoccupazione per la lunga erosione di quegli stipendi, questa volta, però il problema è diverso. L’inflazione ha sfiorato le due cifre per effetto di un biennio micidiale, in cui la coda della crisi pandemica si è saldata con l’aumento esponenziale di molte materie prime, soprattutto energetiche, a seguito dell’aggressione russa in Ucraina. Recuperare in toto l’inflazione avrebbe richiesto una copertura di circa 30 miliardi, di euro praticamente un’intera finanziaria da destinare a uno solo dei comparti lavorativi. Francamente non era una via praticabile, tantomeno sotto gli occhi dei vigilanti europei, tornati ad essere ben poco flessibili con il rinnovo del patto di stabilità. Pur tuttavia la parte economica del contratto non è affatto disprezzabile, come ricordo spesso, i 172 euro medi, per 13 mensilità, corrispondono ad un incremento annuo degli stipendi del 7%. In termini assoluti e in percentuale è la cifra più alta ottenuta da tempo immemorabile.

Se quindi nessuna persona dotata di un minimo di razionalità (e ritengo che i colleghi di Cgil, Uil e Usb ne siano dotati), poteva pensare di portare a casa le cifre richieste, perché incaponirsi tanto e considerare irrinunciabile questo punto? Perché ci sono, appunto, le elezioni delle RSU e come dimostra la peggiore politica di questo decennio usare argomenti populistici spesso paga bene. E allora via a gridare contro il governo insensibile che non vuole restituire tutti i soldi ai lavoratori e contro i sindacati collaborazionisti che gli tengono bordone. Solo che questa volta non sarà semplice giocarsi la partita con le fake news, perché a raccontare la verità e a far capire ai colleghi chi davvero ha a cuore i loro diritti e i loro stipendi, ci saremo noi. Per quanto riguarda noi di Confsal-UNSA, mi impegno fin da ora a far partire una capillare e costante battaglia di verità. Altro che i referendum autoconvocati e ancora più autonomamente gestiti. Il vero referendum lo faremo nelle urne delle RSU e vedremo a chi daranno retta i colleghi.



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