Sanremo 2025, Lucio Corsi: ‘Volevo essere un Duro è il respiro dell’aria’

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È una storia western, una storia avventurosa quella di Lucio Corsi, che per la prima volta sarà protagonista sul palco dell’Ariston. Il brano che porta al Festival si intitola Volevo Essere un Duro e racconta di un mondo dove non sempre i desideri diventano realtà e dove le regole sociali ci vogliono sempre al top quando invece viviamo in un equilibrio precario. Per la nostra chiacchierata ha scelto una trattoria storica di Milano, un tributo al ristorante Macchiascandona, in provincia di Grosseto, fondato dalla nonna a fine anni Cinquanta.

Lucio partiamo dalle tue radici, dunque dal ristorante della nonna.
Mia nonna aprì la trattoria nel 1959, un luogo di passaggio e incontro che da sei anni ho ritrovato qui dove siamo oggi, all’Antica Osteria Ambrosiana nella zona milanese di Niguarda. Questa Niguarda, che oggi è un paesone inglobato a Milano, fino a pochi anni fa era solo una distesa di campi. Qui c’è quello spazio che mi fa stare bene, ci sono persone con i piedi per terra che mi fanno bene, mentre con la musica mi piace fuggire dal mondo che ci circonda e calarmi in altri campi, perché le forme d’espressione artistica devono portarci in altri panni, farci credere di essere qualcun altro. Le storie che raccolgo in trattoria mi servono per la musica e per la vita.

Cosa ti ha portato all’Ariston?
Quest’anno tornava tutto per andarci, a partire dalla mia partecipazione a Vita da Carlo, la serie televisiva di e con Carlo Verdone. Era il momento giusto, da bambino suonavo per strada ed è stato utile, poi c’è stata la band al liceo, tutto serve per avere basi. Sanremo è un frullatore, mi dicono, ed è facile tagliarsi ma se hai buone basi diventa un paracadute.

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Dopo che accadrà?
A marzo esce il disco e poi si va in tour: il mio sogno è passare tutta la vita in concerto, girare l’Italia con quelli con cui condivido il palco, che sono amici dai tempi del liceo e non turnisti. Mi piace conoscere con chi suono a prescindere dallo stare sul palco.

Come è nata Volevo Essere un Duro?

La canzone per Sanremo va scelta non scrivendola per il Festival; questa nasce un anno e mezzo fa come singolo del disco. Se cerchi la forma per un contenitore ben definito, l’arte si ribella.

Puoi accennarmi di cosa parla?
Intanto ti dico che in occasione dei concerti amo raccontare, anche se c’è chi dice che non dovrei perché deve essere il pubblico a interpretare a suo modo le parole. Parla di quando non si riesce a diventare ciò che sogniamo e di un mondo che ci vuole inscalfibili quando siamo in equilibrio precario. Nella mia crescita ho avuto tanti sogni, volevo studiare gli insetti, ho scritto una canzone sulle larve di cetonia che dovrei ancora avere da qualche parte, poi volevo essere un disegnatore di auto. A scuola ho imparato non dai professori ma dai compagni di classe. Ho imparato a convivere con persone che non hanno le mie stesse passioni. Ho anche sognato di essere un cantante dopo avere visto il film dei Blues Brothers dove la figura del musicista è mostrata come un supereroe: quando le cose vacillano mi dico che sono in missione per conto di Dio. Ho la cicatrice sotto il mento perché ho provato a ballare come Elwood nel film e non ho voluto mai i punti, neanche sul ginocchio in un’altra occasione, ho sempre rimediato con lo scotch. Ho amato Elwood più di Jake. Carlo Verdone ha la melanconia intrinseca del blues e infatti è appassionato di musica: è stato bello averlo a fianco ed essere consigliato da lui.

Il venerdì sera, nella serata delle cover, hai già deciso con chi condividere il palco?
Avessi potuto, avrei portato Randy Newman. Sarà un duetto con un ospite al di fuori della gara, una canzone del passato ma anche del futuro perché nelle sue varie epoche se ne va dove vuole.

Che look adotterai?
Non so ancora se farò da solo, fatico a trovarmi bene con gli stilisti. Amo i vestiti che sono legati alla musica. Ho lavorato con Alessandro Michele e Gucci perché si ispiravano al mondo glam che amo. Capirò di sera in sera ma ti dico che voglio anche incentrare l’occhio sugli strumenti che sono un simbolo: andai a vedere Neil Young con i miei genitori per osservare la sua chitarra. Il Glam era fatto di stracci, non è una cosa ricca, era gente povera che fuggiva dalla vita grigia.

L’essenza della musica?
È fatta di aria.

Sanremo ti porterà a un pubblico nuovo.
Mi piace l’idea delle nonne che mi guardano, ai miei concerti ci sono persone anziane con i nipoti, mi manca la fascia centrale e dunque sono contento di entrare in certe case.

C’è chi dirà: Lucio Corsi chi?
La signora lo scoprirà dal divano chi sono, sarei poi curioso di sapere la sua opinione.

Cosa puoi anticiparmi del nuovo disco?
Conta il cambiamento perché se la musica ristagna diventa noiosa. Bisogna provarci, io ora cerco il cambiamento dal punto di vista testuale. Amo Paolo Conte e Lucio Dalla che parlavano di cose fantastiche ma con termini ancorati a terra. In questo mi aiuta la Maremma con i suoi silenzi. Questo album lo registro a Milano ma l’obiettivo futuro è tornare in Maremma.

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Infine: temi l’Ariston?
Ci sono già stato qualche anno fa ospite del Club Tenco. Lo vivrò come un concerto con le persone sedute davanti. La musica non è competizione, le gare in musica non mi piacciono, amo le corse delle motociclette, dove sì che c’è competizione, perché musica e velocità hanno a che fare col tempo e con l’aria.



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