The Time Capsule

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Il “MIT”, il prestigiosissimo Massachusetts Institute of Technology di Cambridge negli USA., è stato inaugurato nel 1875 e tra i suoi docenti ha enumerato ed enumera vari premi Nobel. Inoltre ha il primato di aver contribuito, in modo universalmente riconosciuto, a sviluppare tecnologie che hanno rivoluzionato il mondo, dall’informatica all’intelligenza artificiale.
Esso, nonostante tali meriti scientifici, si contende il primo posto tra le università statunitensi, con quella di Harvard e il California Institute of Technology. La sua retta, considerando vitto e alloggio, è però molto elevata e si aggira intorno agli 80.000 dollari annui, attestandosi mediamente, per un corso quadriennale, per chi non beneficia di specifiche borse di studio, sui 320.000 dollari totali.
L’entità di queste cifre comporta due cose. Primo: solo gli studenti appartenenti alle famiglie più abbienti possono permettersi un ciclo di studi al MIT e, secondo, ciò consente a questa Istituzione di poter annoverare nel suo organico molti tra i più famosi e ben pagati professori universitari.
Fra questi ultimi, nel 2020, rientravano senz’altro, Jeffrey Hopper, docente di Fisica quantistica, Martin Hosborn, professore di Ingegneria informatica e Ridley Whitehead, insegnante di Fisica relativistica.
Dopo lunghi dibattiti e mesi di studi e ricerche, i tre, assolutamente convinti e affascinati dagli aspetti più inesplorati delle teorie di Einstein, si convinsero fosse possibile costruire una macchina, che sfruttando le più moderne conoscenze in campo quantistico, informatico ed ingegneristico, li trasportasse indietro nel tempo, addirittura in altri Continenti e in altre civiltà.
Non avendo sufficiente denaro da investire in questo apparentemente utopico progetto, ognuno dei tre fece di tutto per ottenere il massimo della liquidità necessaria.
Jeffrey Hopper, così come gli altri due, misero a disposizione, senza naturalmente avvertire le relative consorti, l’ottanta per cento dei loro cospicui conti bancari. Ma essendo la cifra ancora troppo bassa per le necessità dell’impresa, Martin Hosborn affittò per due annt il suo piccolo cabinato “Jeanneau Sun Odyssey 389” e Ridley Whitehead ipotecò, sempre di nascosto dalla consorte, il proprio chalet sul lago Fresh Pond, vicino Cambridge
Giunti alla cifra ritenuta necessaria (si parla di circa 3,5 milioni di dollari) i tre, affittato un hangar periferico ed a costo relativamente basso, si misero all’opera in tutto il tempo libero a loro disposizione. La prima decisione fu quella di costruire una capsule, più o meno delle dimensioni di una roulotte, capace di contenere comodamente sia loro che la strumentazione elettronica e quantistica, necessarie per la navigazione nel tempo che si erano riproposti di costruire.
Il lavoro necessitò per la costruzione di una “Time capsule”, come fu da loro chiamata, durò circa tre mesi, ma il risultato finale parve a tutti più che soddisfacente. Essa, nonostante i cavi, i tubi, le leve, le lampadine, le valvole, i pulsanti, la video-tastiera, le antenne, i serbatoi e la dispensa, ospitava tre comode postazioni con poltrone reclinabili, cinture di sicurezza e pulsantiera di accesso ad un grande monitor comune.
I problemi che si ponevano ora erano due: la Capsula del tempo avrebbe funzionato? E chi sarebbe stato il primo a sperimentarla? Naturalmente, poiché nessuno si sentiva di rivestire il ruolo di cavia, decisero che lo avrebbero fatto tutti e tre contemporaneamente, scegliendo, in modo scaramantico, come data il Giorno del Ringraziamento, ovvero il quarto giovedì di Novembre del 2020.
Così, alle otto di mattina entrati nella capsula e preso posto nelle rispettive postazioni, Jeffrey Hopper, in qualità di membro anziano, dopo aver acceso il motore della macchina, e facendosi il segno della croce, servendosi della propria pulsantiera digitò sul grande monitor comune “Europe, Italy, Florence, 1582.10.12”.
La scelta della data da indicare non fu affatto casuale. Poiché erano tutti amanti dell’Arte del Rinascimento, sognavano di vedere le copia delle opere di Leonardo Da Vinci (poiché era morto nel 1519, gli originali non si trovavano più a Firenze), il David di Michelangelo, il Ritratto di Elisabetta Gonzaga di Raffaello, La Nascita di Venere di Botticelli Il trattato architettonico e quello scultoreo originali di Leon Battista Alberti, gli affreschi del Convento Domenicano del Beato Angelico, le decorazioni di frutta sugli alberi dipinti all’interno di Palazzo della Signoria da Melozzo da Forlì e in più le opere architettoniche concluse e quelle in costruzione, nonché le tante botteghe artigiane che formarono questi illustri geni.
Purtroppo per loro, però, gli astronomi del Vaticano già dal XIV secolo si erano resi conto che il Calendario Giuliano elaborato da Sosigene di Alessandria e fatto entrare in vigore da Giulio Cesare nel 46 a. C. era erroneo poiché perdeva 11 minuti e14 secondi l’anno.
Questi minuti, accumulatosi in 14 secoli, facevano mancare circa 11 giorni, rispetto all’esatto calcolo dell’equinozio di primavera, molto importante per fissare, secondo i dettami del Concilio di Nicea del 325 d. C., la festa mobile della Pasqua, la domenica successiva al primo plenilunio dopo l’equinozio di primavera.
Proprio per porre rimedio a questo erroneo conteggio del tempo, papa Gregorio XIII approvò la bolla “Inter gravissimas”, emanata da una apposita commissione di dotti, e per far tornare corretti i calcoli astronomici, stabilì che dal 4 ottobre 1582, si passasse direttamente all’11 ottobre dello stesso anno.
Poiché malauguratamente Jeffrey Hope, Martin Osborn e Ridley Whitehead avevano programmato la loro macchina del tempo perché li trasportasse a Firenze precisamente il 12 ottobre 1582, data non più esistente nel calendario gregoriano, si perdettero chissà dove e di loro non si seppe mai più nulla, così come della loro geniale, esattissima e costosa capsula del tempo.



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