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C’era una volta in America (la Manifattura)

L’ingegner Taylor inventò la catena di montaggio, introdotta da Ford nel 1904, che raddoppiò non solo la produttività (con la divisione del lavoro e la noia) ma anche i salari degli operai (da 2,5 a 5 dollari all’ora). Così potevano comprarsi l’auto che costruivano e rimanere al lavoro, riducendo l’enorme tasso di dimissioni dal lavoro di allora che complicava molto la fabbricazione. Nel 1928 la produzione industriale americana rappresentava il 45% di quella mondiale. Basta questo dato per affermare che il secolo scorso è stato il secolo americano. Ma oggi la sua produzione industriale è scesa al 16% e nel Regno Unito nello stesso periodo è scesa dal 9% all’1,8%, mentre è salita in Cina (oggi 30% della produzione mondiale), Vietnam, Messico, in tutti i paesi asiatici, in Giappone, Polonia, e resiste (anche se in calo) in Germania e Italia. Nelle macchine utensili l’area tedesca-italiana è però ancora la più forte al mondo mostrando come l’Europa (se volesse) potrebbe svolgere un ruolo rilevante nel mondo.

Produzione di macchine utensili (% sul totale mondiale)

Colpisce la pochezza della produzione industriale di Stati Uniti, Regno Unito e Francia, tutti e tre i Paesi che hanno fatto la rivoluzione liberale ma che con la globalizzazione avviata da Clinton nel 1999 (e le politiche neoliberali) hanno autodistrutto la propria manifattura delocalizzandola all’estero e così diventando tutti importatori netti di merci.

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Nell’industria manifatturiera made in Usa lavorano solo il 9,7% degli occupati: 15 milioni. Scendono però a 5 se si considerano solo quelli che producono in fabbrica, oppure 8,2 complessivamente.
Per memoria si sappia che nella manifattura europea lavorano 30 milioni di persone (7,5 milioni solo in Germania e quasi 4 milioni in Italia) e, per quanto sia stata delocalizzata, quella europea è oggi il doppio di quella americana e nell’Europa dell’Est è diventata il triplo. Le statistiche americane, molto accurate, ci consentono di capire i “dettagli” (dove spesso si nasconde il diavolo).

Anche in agricoltura gli Stati Uniti, nonostante campi sterminati e macchine di enorme potenza, hanno un deficit del commercio e ci lavorano ormai solo l’1,4% degli occupati (2,23 milioni sui 161 milioni di americani al lavoro).

Occupati in USA per settori e tipo di attività, 2023, dati in migliaia

Fonte: BLS USA, https://www.bls.gov/cps/tables.htm

Gli americani hanno abbandonato la produzione di merci fisiche, beni durevoli e prodotti agricoli che fecero la ricchezza nel ‘900 e hanno oggi il loro potere nei giganti del web e nell’Intelligenza Artificiale (AI), guidati dalla Finanza anglosassone che “fabbrica” la maggior parte di denaro al mondo depositato nei paradisi fiscali: sia per non pagare le tasse, sia per poter “lavorare” e “produrre” nuovo denaro senza sporcarsi le mani in fabbrica o nella terra.

Per la verità, negli ultimi 20 anni gli Stati Uniti hanno silenziosamente aumentato la produzione di petrolio e gas di cui sono diventati esportatori netti, anche per l’altissimo sfruttamento del gas liquefatto (GNL) col fracking, che è altamente inquinante. Con la globalizzazione, hanno gradualmente smantellato la propria manifattura spostandola in Cina, Vietnam, Messico, India, Germania, Polonia, Italia. La stessa cosa ha fatto il Regno Unito che aveva già smantellato la propria produzione nazionale (auto incluse) con la Thatcher. Non è, pertanto, casuale che gli Stati Uniti abbiano il maggior disavanzo commerciale e della Bilancia dei Pagamenti al mondo (manufatturiero e agricolo in primis). Ed è in costante crescita dal 1992 (mentre quello della Russia è positivo in modo crescente dal 2000). Si potranno consultare tutti i dati cliccando sul sito di World Bank: https://prosperitydata360.worldbank.org/en/indicator/IMF+BOP+BGS_BP6_USD

Gli occupati americani non guadagnano lavorando quindi nella manifattura (delocalizzata all’estero). A guadagnare sono invece gli azionisti americani delle multinazionali che sfruttano i bassi costi del lavoro di altri paesi, mentre gli operai americani sono stati falcidiati (una delle ragioni del successo di Trump). Come si può vedere dalla tabella allegata, chi lavorava nella produzione industriale made in Usa nel 1999 (quando inizia ad operare la turbo-finanza e la globalizzazione) ha visto ridursi l’occupazione del 30%, nonostante l’economia americana sia cresciuta del 18,9% come occupati negli ultimi 24 anni (un milione in più all’anno). Da sempre gli Stati Uniti hanno un enorme afflusso di immigrati, per cui non bisogna credere che gli occupati in più siano “bianchi”. Sono quasi tutti messicani e asiatici e ciò spiega perché non aumenta il tasso di occupazione (62%) nonostante l’enorme aumento di occupati, che rimane molto inferiore a quella della media europea. Gli aumenti di occupati sono avvenuti sia nei settori ben pagati della finanza, computer, internet, intelligenza artificiale dove i fisici e matematici ora lavorano, ma anche nei servizi a basso salario come i servizi di supporto alla sanità privata, vendite, ristorazione, pulizie, agricoltura dove lavorano gli immigrati. Si potrà notare che gli ingegneri sono rimasti stabili, nonostante l’enorme aumento degli occupati e del digitale.

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Ora infatti l’idea è guadagnare con la finanza, il web, il management, come medici e dentisti delle assicurazioni private, avvocati, docenti universitari, nell’export di petrolio e gas (specie ora che si vende molto caro all’Europa al posto di quello russo che era a basso prezzo).

Chi paga questa dismissione nella produzioni dei beni durevoli fisici che comporta un deficit commerciale mostruoso e che è andato crescendo nonostante le politiche protezionistiche avviate da Obama, aumentate con Trump e consolidate da Biden?

Per ora gli americani usano i proventi del dollaro (più che le imposte interne) per pagare l’onere del debito. Essendo il dollaro la moneta di riserva internazionale (la più usata negli scambi mondiali: 58%/70% secondo le fonti), consente agli americani di spostare una parte del loro onere del debito sul resto del mondo. Voler controllare il mondo ed avere 175 basi militari in giro per il globo (rispetto ad una della Cina) non è quindi puro militarismo, ma difesa del tenore di vita americano. Per questo si fanno le guerre o si mette in discussione il potere di una moneta, non per mera aggressività o violenza. E’ il dio denaro, il dio quattrino che ha sostituito il dio trino che trascina in guerra. Le narrazioni “liberali” sulla democrazia esportata, la difesa delle libertà, delle minoranze, la sicurezza nazionale nascondono una semplice verità: si fa la guerra per tutelare il proprio tenore di vita e i propri soldi.

Questa lunga digressione sulla manifattura americana spiega l’incapacità di costruire proiettili da 155 m. (standard Nato) per l’Ucraina, incapacità di produrre merci fisiche che riguarda anche il resto delle armi e qualsiasi altra merce fisica. L’ha svelato al mondo la guerra in agosto 2023, quando il Pentagono ha ammesso questa debolezza degli Stati Uniti nel produrre banali proiettili. 

La realtà fisica del Lavoro nella Fabbrica, della Terra, delle Materie prime, (dove cresce il deficit commerciale made in Usa) prende la sua rivincita sull’Oro, sul Denaro, sulle Banche, la Finanza, i fondi di investimento, gli avvocati, i traders finanziari e su chi lavora con gli algoritmi: matematici, fisici e ingegneri sottratti alla produzione manifatturiera e spediti in banche, finanza e nelle multinazionali dell’AI.

Salario annuo (dollari) del 20% che guadagna di più in quel settore in USA

Dilazioni debiti fiscali

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Professional che guadagnano 150/200mila dollari lavorando in ufficio: non si capisce perché dovrebbero fare gli ingegneri in fabbriche dove si guadagna meno della metà e si è contestati da tecnici e operai che, a volte, la sanno più lunga. Così si spiega perché negli Stati Unti lavorano 1,3 milioni di ingegneri e 2 milioni nella Russia che ha il 42% degli abitanti del (fu) gigante americano; e perché scarseggiano i proiettili – ma non i soldi – da mandare in Ucraina.

 

Per leggere gli altri articoli e interventi di Andrea Gandini, clicca sul nome dell’autore.

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.



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