Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, in un’intervista al “Foglio”, parla di quali siano i rischi, le opportunità, le partite da non sottovalutare e quelle da mettere a fuoco nella nuova stagione di relazioni con gli Usa che si apre con la presidenza di Donald Trump: “Intanto non è che possiamo parlare di Trump, dobbiamo parlare di rapporti con gli Stati Uniti. I rapporti non cambiano a seconda del presidente in carica. Gli Stati Uniti sono un alleato tradizionale dell’Italia: storico, stabile, indispensabile. Un alleato scegliendo il quale abbiamo fatto una scelta di campo. Un alleato – aggiunge – con il quale i rapporti presuppongono anche degli obblighi. Cosa cambierà con Trump? Cambierà probabilmente l’assertività con cui gli Stati Uniti chiederanno il rispetto degli accordi che abbiamo firmato, sottoscritto, accettato. Da 75 anni, governo De Gasperi in poi, gli altri a seguire”. Crosetto pensa alla Nato, ma non solo: “Penso al rispetto degli accordi in generale, penso al modo in cui si intenderà il rispetto di questo patto di amicizia. Se sei amico mio, significa che allora magari abbiamo gli stessi nemici, che le cose che abbiamo deciso di fare insieme le facciamo insieme e non le faccio solo io. E il primo punto, certo, è la Nato”.
Per l’Italia “cambierà molto: dovremo rispettare dei target precisi che la Nato ha equamente distribuito tra le nazioni. Cambierà il modo in cui intenderemo il concetto di difenderci tutti insieme, detto anche ‘difesa collettiva’. La difesa comune è un concetto nobile, certo, ma non significa che gli Stati Uniti difenderanno tutti a prescindere da quello che faranno i suoi alleati. Non più. Ci sono degli accordi. Degli obblighi. E quegli obblighi ora, con Trump, varranno di più. Lui – prevede il ministro – non farà sconti, non farà finta di non vedere. Trump è molte cose insieme, ma è soprattutto un uomo e un presidente pragmatico. E un pragmatico non può non puntare alla sostanza delle cose. Ovvero: all’aspetto economico”. Crosetto osserva che “l’America ha bisogno che quelli che da decenni si dicono alleati facciano qualcosa per dimostrare che l’alleanza esiste e sa compiere dei passi in avanti reali”. Chiedere di fare di più, nella Nato, significa prima di tutto chiedere di fare di più anche all’Italia, che è uno dei pochi Paesi europei a non aver raggiunto neppure quest’anno il target del due per cento del Pil investito nella difesa: “Certo che lo so, lo dico da 30 mesi. In diverse interviste, davanti alle Camere, cioè nel luogo più solenne possibile, ovunque. È così. Noi più di altri lo dovremo fare. Anche la Germania, fino a tre anni fa, investiva poco nella propria sicurezza e nella propria difesa, ma ora, invece, e pur con un governo che aveva nel programma la riduzione della spesa in difesa, ha superato il due per cento e parla del tre. È il momento di una svolta, è oggettivo, e lo è anche per noi”.
Il problema c’è, ammette Crosetto, “ma per noi non è un problema di scelta politica contingente, ma generale, e non specifico, che riguarda il bilancio dello Stato, nel suo insieme. Stante le regole europee e il Patto di stabilità, l’aumento della spesa della difesa dovrebbe diventare un taglio di altre spese. Perché il Patto di stabilità mi pone il limite massimo: se io non posso superare quel limite per la difesa, devo comprimere altre spese ed è molto difficile. Soprattutto in un momento di crisi economica”. Questo è un discorso che a Trump non interessa. Quindi il risultato è che probabilmente il prossimo anno andrà fatto e basta. “Andrà affrontato e fatto, sì: è un obbligo, non una scelta e lo dovremo fare”, dice il ministro. Tuttavia, prosegue, “c’è un tema diverso e che dico da sempre. Io trovo sbagliato farlo solo perché lo chiedono gli alleati o Trump. Noi dovremmo farlo perché pensiamo che la sicurezza, la difesa, e anche la deterrenza, siano fondamentali per tenere in piedi una democrazia in un mondo sempre più competitivo, nel quale la forza militare sta diventando un elemento di influenza sempre maggiore”.
Crosetto avverte: “nel caso in cui Trump decidesse che la sua priorità è l’Indo-Pacifico, e/o la Cina, sarebbe cruciale avere una capacità autonoma di occuparsi di Mediterraneo, Europa, o del vicino russo, perché magari potremmo essere lasciati molto più soli di quanto siamo stati finora”. Quindi con l’arrivo di Trump, l’Italia potrebbe essere maggiormente responsabilizzata nel Mediterraneo: “Assolutamente sì. È probabile che Trump sia più interessato all’Indo-Pacifico che al Mediterraneo. Cioè, Trump, un pragmatico, ha come tema principale, e avrà sempre di più come tema principale, la competizione con la Cina. Che non è solo una competizione con la Cina, è qualcosa di molto più grande e molto più complesso: riguarda il modo in cui cambia l’ordine del mondo. È la capacità della Cina e di alcuni Paesi suoi amici di essere attrattivi per una parte del mondo alternativa a quella occidentale. Quindi – rileva infine il ministro – la Cina, l’Iran, la Corea del Nord e la Russia sono un punto di partenza di qualcosa di più ampio. Si rischia di saldare insieme tutta l’Asia, il Sud del mondo, quasi tutta l’Africa, in una competizione anti Occidente. Che è una competizione non soltanto militare, ma, e questa parte si sovrappone a quella militare, sulle nuove tecnologie e sulle materie prime”. In questo contesto rientra anche il tema della Groenlandia: “Non esiste competizione più importante, oggi, che non sia quella sulle materie prime. Nella logica di Trump, con Groenlandia e Canada, dal punto di vista delle materie prime, è un salto quantico. Però, non è solo su questo aspetto, la competizione. La competizione sarà, ed è già fortissima, su alcune traiettorie tecnologiche che rivoluzioneranno completamente il futuro”, conclude Crosetto.
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