Giovani, Sud e Abruzzo in controtendenza. E alla politica si chiede «molta più attenzione»
ABRUZZO. Preoccupazione mista a pessimismo, anche quando i conti vanno bene. Questa l’opinione delle piccole imprese italiane che scaturisce dall’indagine dedicata alle “aspettative delle imprese per il 2025”, realizzata dall’Area studi e ricerche della CNA Nazionale su un campione di 2.600 imprese associate, 130 delle quali abruzzesi. Alla base di tutto ciò risiedono in fattori lontani (guerre, aumento dei costi dell’energia, carenza di credito) ma anche sfiducia che deriva dalle mancate risposte della politica.
«L’incertezza – dice il Segretario generale della CNA, Otello Gregorini, intervenuto venerdì scorso a Chieti in occasione del 40esimo anniversario della fondazione della CNA provinciale – è davvero l’elemento dominante. D’altra parte, se la BCE riduce il tasso d’interesse ma i flussi di credito non arrivano alle piccole imprese, è ovvio che sia così. Solo il 18% del campione si rivolge al prossimo futuro con occhi non pessimistici, e in questa quota ci sono soprattutto i giovani, anche grazie alla spinta di ottimismo che deriva dalla loro età di fronte alle nuove sfide. E un minor pessimismo arriva dalle imprese del Mezzogiorno, anche in ragione del fatto che sui loro conti pesano più positivamente i risultati del turismo e il minor impatto dei problemi legati a moda e automotive». Scenario, questo, confermato dal direttore regionale di CNA Abruzzo, Silvio Calice, per quel che riguarda le imprese abruzzesi coinvolte: «Si, le nostre imprese manifestano una dose di pessimismo inferiore sia per quel che riguarda l’andamento complessivo dell’economia, sia per quel che concerne il futuro della propria impresa: su utile lordo, occupazione, investimenti, fatturato da esportazioni, fatturato totale e produzione, dal nostro territorio arriva un’indicazione dai tratti un po’ meno pessimistici. Piuttosto, viene manifestata una forte preoccupazione per quel che riguarda i fenomeni legati all’abusivismo».
Ma cosa dice lo studio della CNA Nazionale? Il 53,1% delle imprese artigiane, micro e piccole prova difficoltà a formulare una previsione sull’andamento futuro dell’economia italiana: difficoltà dovuta al moltiplicarsi delle variabili geo-politiche e geo-economiche. Tra le imprese che si sono fatte un’idea più precisa il 28,5% ipotizza un 2025 difficile e caratterizzato da un peggioramento della situazione e solo il 18,3% degli intervistati è ottimista.
Il pessimismo cresce quando ci si concentra sulla propria impresa. Su questo fronte cresce infatti non solo la quota di incerti sul proprio futuro (riguarda il 54,5% degli intervistati) ma anche di quanti prevedono dodici mesi insoddisfacenti per le imprese (30,2%) rispetto a un risicato 15,3% di fiduciosi. Il dato complessivamente negativo nasce da una convergenza di elementi: esportazioni, occupazione e investimenti hanno tutti un segno “meno” davanti. La differenza tra risposte negative e positive segna una predominanza di saldo negativo del 31,6% per quanto riguarda gli investimenti, del 29,4% per l’occupazione, del 21,4% per l’export, del 18,4% per il fatturato totale. Nel complesso raggiunge il 42% la quota di imprese che hanno partecipato all’indagine decise a ridurre la spesa per gli investimenti e l’occupazione: scelte pericolose perché fermare gli investimenti è rischioso, in una fase caratterizzata dall’introduzione massiccia di nuove tecnologie, e ridurre gli organici potrebbe aggravare il problema del reperimento di professionalità, già sentito ora, se il ciclo economico dovesse rafforzarsi.
Sul piano territoriale, come spiegato da Gregorini, risalta l’opinione in controtendenza delle imprese meridionali e di quelle con titolari under 40: il saldo tra ottimisti e pessimisti è positivo nel Mezzogiorno (+5,8% la differenza) e tra i giovani (+2,3% il gap) relativamente alle sorti dell’economia italiana. E quanto alla dimensione, le più piccole (meno di dieci addetti) appaiono più pessimiste delle maggiori sul loro futuro, mentre negativa è l’opinione di tutte sul futuro dell’economia nazionale. Il 39,3% delle imprese ne è convinto se perdurasse l’instabilità politica a livello internazionale Altri fattori di rischio sono il costo del lavoro (32%), i costi delle materie prime (31,8%), la mancanza di politiche pubbliche a sostegno dell’economia (23,5%) e la difficoltà a reperire manodopera qualificata (22,1%). Minore la preoccupazione quando si parla di temi più direttamente sotto il controllo delle imprese: concorrenza, rapporto con i clienti e gli istituti di credito, rispetto delle normative, necessità di stare al passo con l’evoluzione del settore, sfida della digitalizzazione.
Resta sullo sfondo, come detto, il nodo delle non risposte della politica a questo quadro. E qui il giudizio di Gregorini è sintetico: «Va bene il disegno di legge sulle Pmi, ma se poi fissi dei paletti molto alti per l’accesso ai suoi benefici vuol dire che i piccoli li tagli fuori, e che resti prigioniero di una visione legata solo al futuro della grande industria, dimostrando di non conoscere un tratto fondamentale del nostro apparato produttivo». Un giudizio, quello sulla politica, che il direttore regionale della CNA, Calice, condivide calandolo sull’Abruzzo: «Abbiamo chiesto alla Regione sostegno su alcuni meccanismi di sostegno al mondo delle nostre micro imprese, come ad esempio la bottega-scuola, senza trovare risposte positive. Nel bilancio di previsione del 2025 della Regione non ci sono soldi per l’artigianato, e questo non va bene».
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