Modelli di business aperti per imprese più digitali

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È stato appena pubblicato dall’Istat (17 gennaio scorso) il report “Imprese e Ict” relativo all’anno 2024, che misura il livello delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle aziende. Buono, nel complesso, il quadro che ne emerge, specie per le imprese manifatturiere e dei servizi avanzati. Qualche ombra per le imprese di minore dimensione, ancora su un percorso di difficile e faticoso avvicinamento alle nuove tecnologie informatiche e digitali.

Nonostante la forte crescita del fatturato realizzato online, passato dal 4,8% al 14,0% in 10 anni e ormai allineato alla media europea, restano numerosi i divari a carico delle imprese di media e piccola dimensione. Le piccole e medie imprese risultano deboli nella presenza di specialisti Ict tra gli addetti (11,3% per le Pmi contro il 74,5% le grandi imprese) e nella formazione informatica per i propri collaboratori (solo 16,9%), inclusa la sicurezza. Differenze emergono anche per gli indicatori legati alla complessità organizzativa, quali l’utilizzo di strumenti per effettuare riunioni a distanza e l’adozione di documenti connessi alla sicurezza Ict. Poco più di un quarto delle Pmi, infine, si colloca su livelli definiti “alti” di digitalizzazione, mentre oltre il 70% si colloca su un livello “base” dell’indicatore (target del 90% da raggiungere entro il 2030).

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Al contrario, il 97,8% delle imprese con almeno 250 addetti raggiunge un livello almeno base e l’83,1% anche quello alto. Appena migliori le condizioni riguardo all’uso di intelligenza artificiale: nel 2024, l’8,2% delle Pmi utilizza almeno una delle sette tecnologie di intelligenza artificiale analizzate, indicando un netto miglioramento rispetto al 5,0% del 2023, ma ancora in evidente ritardo rispetto all’area Ue27 (13,5%). Infine, la dimensione di impresa influisce anche sulla capacità di identificare i fattori di digitalizzazione che potrebbero incidere positivamente sulla competitività e sullo sviluppo nel biennio 2025-2026. Tra i principali, lo sviluppo di una strategia di digitalizzazione, importante solo per circa un terzo delle Pmi, l’inserimento di nuove competenze tecnologiche attraverso l’assunzione di personale e la capacità di “fare rete” attuando modelli di collaborazione con altre imprese e centri per la digitalizzazione.

Questi risultati aprono a tre punti di riflessione per la policy a supporto delle Pmi impegnate nel processo di trasformazione digitale.

Il primo fa riferimento alle fonti di generazione del valore e al raccordo di queste con le competenze digitali. Molta parte del valore è oggi generata al di fuori dell’attività “core” dell’impresa e in domini tecnologici spesso irraggiungibili da parte delle Pmi, in particolare quelle di più piccola dimensione. È dunque necessario promuovere modelli di business aperti che consentano alle Pmi di assorbire soluzioni sviluppate all’esterno, valorizzandole e facendone leva per le attività “core” e limitando i casi nei quali impegnarsi in difficili percorsi di sviluppo interno. Tale linea deve essere sostenuta non solo da una adeguata azione di stimolo del fattore imprenditoriale ma anche dalla formazione e dal training del management.

Il secondo punto consiste nel rendere meno costoso l’uso di risorse esterne con competenze digitali. In un sistema di imprese di media, piccola e piccolissima dimensione, anche l’investimento in una sola professionalità dedicata al digitale potrebbe risultare insostenibile. Passare da una logica di sviluppo interno a quella di minore costo d’uso del fattore esterno eliminerebbe una parte dei vincoli di domanda presenti in un sistema produttivo come quello italiano, specie per le tecnologie più avanzate come quelle di intelligenza artificiale.

Collegato a questi è il terzo punto che considera la ricomposizione della filiera dell’offerta digitale, anche attraverso percorsi di aggregazione dei players oggi presenti sul mercato, spesso troppo piccoli e limitatamente innovativi. Utile sarebbe una struttura di offerta in grado di sviluppare servizi a medio-alto grado di specializzazione tarati sulla domanda di competenze digitali che proviene dalle Pmi, che possa sostenere il percorso di adeguamento digitale nel quale le Pmi sono impegnate.

* Professore ordinario di Economia Applicata presso l’Università Politecnica delle Marche 

Facoltà di Economia “G. Fuà”





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