Il rapporto è stato commissionato dalla Diocesi: alcuni religiosi sono stati semplicemente trasferiti. Una vittima degli abusi si è suicidata: l’età media dei preti è tra i 28 e i 35 anni
«Ogni caso è un caso di troppo». Con queste parole il vescovo Ivo Muser ha accolto oggi i risultati della prima indagine indipendente mai realizzata in Italia sugli abusi sessuali in ambito ecclesiastico. Lo studio, commissionato proprio dalla Diocesi di Bolzano-Bressanone allo studio legale Westpfahl Spilker Wastl di Monaco di Baviera, specializzato in questo tipo di indagini, ha portato alla luce una realtà drammatica: 67 i casi al vaglio, 59 le vittime accertate e 29 i sacerdoti responsabili di abusi, in un arco temporale che va dal 1964 al 2023.
«Fino al 2010 il sistema, anche in Alto Adige, era quello di non vedere le vittime e ignorarle», ha sottolineato l’avvocato Ulrich Wastl presentando le 610 pagine del rapporto. Un dato emerge con forza: il 51% delle vittime erano bambine e ragazze, un’anomalia rispetto ad altre indagini condotte in area germanofona dove prevalgono le vittime di genere maschile. La fascia d’età più colpita è quella tra gli 8 e i 14 anni, mentre gran parte dei colpevoli di abusi aveva un’età compresa fra i 28 e i 35 anni. L’indagine ha esaminato circa 1.000 fascicoli personali, rivelando 67 casi di probabili aggressioni sessuali. Di questi, 43 erano già noti prima del 2010, smentendo così la teoria delle «pecore nere» isolate. «Tutti i numeri che indichiamo sono una parte minima di quello che è realmente accaduto – ha precisato l’avvocata Nata Gladstein – il fenomeno sommerso è molto più ampio ed è difficile quantificarlo».
Emblematico il «caso numero 5»: un sacerdote che per quasi 50 anni, dagli anni ’60 fino al 2010, venne semplicemente trasferito di parrocchia in parrocchia, a ripetizione, nonostante le continue segnalazioni di abusi su bambine. O il «caso numero 15», in cui un sacerdote insistette per celebrare il funerale di un ragazzo morta suicida, nonostante i forti sospetti che la vittima si fosse tolta la vita proprio a causa degli abusi inflitti dallo stesso religioso.
«Al primo posto le vittime – ha dichiarato con forsa il vescovo Muser -. Abbiamo bisogno di un cambiamento di mentalità, di una nuova cultura di vicinanza. Questo non è un punto di arrivo ma un primo passo». Il rapporto evidenzia come fino al 2010 prevalesse ancora una «cultura dell’errore» che escludeva la possibilità di ammettere fallimenti, soprattutto ai vertici della diocesi.
Tra le raccomandazioni dello studio tedesco emerge con forza la necessità di un maggiore ruolo delle donne nelle funzioni dirigenziali ecclesiastiche. «Sono proprio le donne – sottolinea il rapporto – a comprendere la questione degli abusi sessuali molto meglio di quanto spesso evidenziato dai loro omologhi maschi». «La nostra speranza – ha concluso l’avvocato Wastl – è che questo lavoro possa essere una scintilla per un’attività d’inchiesta da estendere anche al resto d’Italia». La Diocesi di Bolzano-Bressanone è infatti l’unica, tra le oltre 200 diocesi italiane, ad aver commissionato un’indagine indipendente di questo tipo. Dei 67 casi esaminati, sette sono arrivati a procedimenti penali, con tre condanne. Ma i numeri, come sottolineano gli esperti, raccontano solo una parte della storia. Dietro ogni caso ci sono vite spezzate e un dolore che, dopo decenni di silenzio, chiede finalmente di essere ascoltato.
Emblematico il «caso numero 16» in cui una denuncia nei confronti di un sacerdote accusato di abusi plurimi si è trasformata in un fascicolo di polizia e della Procura: «Si era arrivati a un arresto – ricorda l’avvocato Wastl -. Ma il vicario generale diocesano fece una dichiarazione nei confronti della Procura: «Non vi daremo il nostro fascicolo interno». L’allora vescovo Egger si considerò incapace di prendere dei provvedimenti perché stimava molto il sacerdote in questione che in primo grado fu assolto, in appello condannato ad una reclusione di diversi anni e, in Corte di Cassazione, fu assolto, cita la sentenza, «soltanto per la prescrizione nel frattempo subentrata». La stessa sentenza della Cassazione ha però dato riscontro positivo a una «richiesta di risarcimento verso la vittima superiore a un milione di euro».
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