Il punto di vista dell’ Intifada Studentesca di Torino
L’ accordo tra la Resistenza palestinese e il governo israeliano è stato raggiunto e firmato da entrambe le parti, a darne l’annuncio è stato Trump che da oggi inizierà il suo mandato esecutivo come presidente statunitense.
L’intesa sulla tregua pare sia stata il frutto della collaborazione tra il neoeletto e il presidente uscente Biden; di certo il peso del primo ha inciso considerevolmente per far sì che il governo Netanyahu accettasse l’accordo. L’intesa raggiunta non si distanzia molto da altre risoluzioni proposte nel passato che Israele aveva rigettato o mai rispettato, al contrario della Resistenza che invece si è sempre dimostrata disposta ad attendere alle condizioni riportate nel documento, nell’interesse del popolo palestinese. Si può dire dunque che questo accordo poteva essere raggiunto molto prima. Poche ore dopo l’annuncio del cessate il fuoco, Netanyahu ha dichiarato che sarebbe slittata la riunione di approvazione a causa di una “crisi” imputata ad Hamas, sebbene nessuno degli altri partecipanti ai negoziati avesse recepito richieste dalla Resistenza, né tanto meno circolassero altre comunicazioni ufficiali.
Dall’annuncio dell’accordo Israele ha continuato a bombardare Gaza causando altri morti, giustificando tali attacchi con un presunto ritardo di qualche ora di Hamas nella consegna della lista degli ostaggi da liberare, per ragioni tecniche. La lista è già pervenuta al governo israeliano.
Forse le ragioni di questa “crisi” andrebbero ricercate nei momenti di tensione in corso nell’apparato governativo israeliano. Sappiamo che si sono già verificate delle proteste contro il cessate il fuoco, le quali hanno raggiunto anche la casa di Netanyahu; il leader del sionismo religioso ha inoltre minacciato di lasciare il governo nel caso di ufficializzazione dell’accordo.
Ancora è ignoto quale sia il premio che Trump ha promesso allo Stato sionista per compensare l’accettazione di questa tregua. Possiamo immaginare concessioni ad ampio raggio, ad esempio sull’Iran, obiettivo di grande interesse per USA e Israele, considerato il suo apparato nucleare, particolarmente in questo momento di debolezza per Teheran. Non sono da escludere ingerenze anche in Siria, la cui instabilità apre possibilità di guadagni strategici per l’occidente. Trump potrebbe aver garantito copertura anche per quanto riguarda l’espansione in Cisgiordania, attraverso i nuovi insediamenti già sequestrati alla popolazione locale da coloni armati e protetti dall’esercito di occupazione.
Ciò che sappiamo sulle condizioni dell’accordo è viziato da molte interpretazioni, traduzioni e letture di comodo fatte dagli organi di divulgazione nostrani, insomma è tutto relativo. I punti sembrano essere: il cessate il fuoco, su cui non è ancora chiaro se sarà una tregua totale o solo di 12 ore giornaliere; lo scambio di prigionieri sul quale il negoziato prevederebbe il rilascio di una trentina di israeliani vivi “in buone condizioni” per oltre mille prigionieri politici palestinesi, su cui però il governo di Tel Aviv ha già posto delle condizioni per coloro che definisce come “terroristi”, scambio che dovrebbe verificarsi nella prima fase dell’accordo che durerebbe 6 settimane; il ritorno al Nord della Striscia per un milione di sfollati grazie al ritiro graduale delle truppe occupanti, sotto la supervisione di un soggetto terzo (Egitto o Qatar), mentre Israele terrà il controllo del corridoio Filadelfia tra Gaza ed Egitto e inizierà a ritirarsi da quello di Netzarim che divide la Striscia a metà; dai valichi di terra potranno finalmente arrivare 600 camion di aiuti al giorno.
Successivamente sarà negoziato il rilascio dei restanti ostaggi, a cui è legato il ritiro definitivo delle truppe israeliane, e la liberazione di non si sa ancora quanti prigionieri palestinesi.
La tenacia della Resistenza ha permesso che questo accordo potesse esserci, e vedere il popolo palestinese festeggiare perché si può iniziare a tirare un sospiro di sollievo è una gioia per tutti e tutte noi, ma sappiamo bene che il primo giorno di vera pace sarà l’ultimo di occupazione; un accordo di questo genere non ha nulla a che vedere con la pace o con la vittoria, rimandando semplicemente ad un secondo momento la risoluzione dell’occupazione coloniale sionista.
La vittoria per la Resistenza è stata la capacità di rimettere al centro la questione della liberazione del popolo palestinese, imponendo a tutte le potenze colonizzatrici di fare i conti con questa rigidità.
Non pensiamo di poter parlare di “pace” se consideriamo che solo nelle scorse notti i raid israeliani hanno ucciso quasi un centinaio di civili e pare che l’intenzione sia quella di intensificare la potenza di fuoco per sterminare quanti più palestinesi possibile prima dell’inizio del cessate il fuoco. Al 468esimo giorno di genocidio le stime ufficiali contano 46 mila palestinesi uccisi (che potrebbero essere verosimilmente 60 mila) al quale si aggiungeranno tutte le successive morti per malnutrizione e malattie causate dal collasso delle infrastrutture sanitarie e civili, e 110 mila sono i feriti e i mutilati. La maggior parte dei prigionieri che (forse) verranno rilasciati sono palestinesi che nel corso dello scorso accordo per il cessate il fuoco erano stati rilasciati per poi essere arrestati istanti dopo dalle forze di occupazione israeliane. I coloni proseguono con l’occupazione (illegale persino per la loro legge) di nuove terre e danno alle fiamme i campi di ulivi coltivati da chi lì c’è nato.
Dopo un anno e mezzo di genocidio non sarà di certo un cessate il fuoco (che non sappiamo nemmeno se rispetteranno) ad assolvere la cricca sionista e i suoi sostenitori.
Lo scenario non è semplice come i media occidentali vorrebbero far credere per dare ai leader delle grandi potenze un merito che non hanno: i governi europei adesso cercano di guadagnare prestigio dipingendosi come determinanti per il raggiungimento di questo accordo, quando così evidentemente non è.
Il governo italiano attraverso le parole di Tajani si è espresso in merito al cessate il fuoco, enfatizzando l’ottimo risultato raggiunto, secondo lui grazie anche alle ingerenze dell’Italia. Il ministro non ha fatto altro che ripetere che è andato in Israele e Palestina a “incoraggiare la pace” (attività diplomatica non meglio definita) e dipinge questo momento come l’alba della stagione della pace. A noi pare piuttosto che la guerra stia espandendo i suoi tentacoli velenosi ogni giorno di più, e che al nostro governo faccia comodo una fotografia fantascientifica del contesto generale, in cui possa autoproclamarsi baluardo internazionale di serietà e autorevolezza, quando invece conta davvero poco nell’equazione finale. Si ostinano a dipingere “due popoli, due stati” come la soluzione più compatibile con la pace quando il genocidio ora in atto è la dimostrazione più evidente di come ciò sia impraticabile; proseguono i dialoghi con l’Autorità Palestinese come se questa forza politica fosse sostenuta dal suo popolo e se ne addestra anche la polizia, la stessa che poi aiuta Israele a far fuori i palestinesi. Il governo ha chiarito che ha interessi importanti per l’invio di ulteriori contingenti militari, sfacciatamente chiamati “portatori di pace in uniforme”, per la riunificazione della Striscia e della West Bank attraverso missioni di peacekeeping. Forse bisogna ricordargli che questa non è l’America e che sarebbe meglio devolvere tutti quei soldi per fronteggiare la crisi che sta impoverendo la gente qui, sotto i loro occhi. Si strizza l’occhio anche alla possibilità di allungare le zampe sul ricco piatto della ricostruzione post-guerra. Gli sciacalli, che già banchettano sulle carcasse dei palestinesi che hanno contribuito a sterminare, adesso vorrebbero gli applausi perché stanchi della sgraziata guerra guerreggiata e aperti a una trattativa sulla ripartizione del bottino.
Quello che sappiamo è che la sola strada per raggiungere la pace è la resistenza. Israele non è riuscita a raggiungere i suoi obiettivi di conquista, Hamas e la resistenza non sono stati “estirpati” come promise in più di un’occasione Netanyahu, i popoli di tutto il mondo si sono schierati dalla parte della Palestina nonostante una soffocante e deformante propaganda sionista.
Il governo di Tel Aviv è ancora costretto a negoziare con coloro che nella propaganda non definisce nemmeno come una controparte politica riconosciuta: si continua a dipingere l’ANP come il governo riconosciuto dai palestinesi ma è chiaro a tutto il popolo levantino quanto questa forza politica lavori per gli interessi degli occupanti. Il tentativo da parte di questa amministrazione, impiantata dallo Stato sionista, di dimostrare di essere in grado di gestire i territori palestinesi è fallito miseramente: l’assedio del campo profughi di Jenin, peraltro con l’ausilio di tecniche proprie dell’esercito israeliano, è solo l’ultimo fatto saltato alle cronache che lo dimostra.
A Torino e in altre città italiane si scende in piazza per rimettere al centro la questione palestinese e per assicurarci che il risultato minimo di questo accordo venga rispettato.
La forza irriducibile del popolo palestinese sarà il motore che ci spinge a non diminuire il nostro sostegno alla Resistenza proprio adesso che iniziamo ad addentrarci nelle fasi cruciali di questa lotta lunga più di 76 anni.
Teniamo alta l’attenzione e rinnoviamo la nostra promessa: con la Resistenza fino alla Vittoria, quella vera!
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