“Il mio nome è Eddie”. Ma chi era veramente Eddie Walter Max Cosina, l’uomo della scorta che perì nell’attentato a Borsellino? Lo spettacolo messo in scena da un gruppo di persone e associazioni, motivate a far conoscere l’uomo che si nasconde dietro ad uno dei “nostri” simboli della lotta alla mafia, ha questa finalità. L’Orchestra a Fiati “Città di Muggia” con gli arrangiamenti e la direzione musicale di Andrea Sfetez, testi e regia di Michela Cembran, mirano a tratteggiare la figura di un giovane che faceva il Dj in una radio privata. Allestito al Magazzino 26, nell’ambito delle manifestazioni di Una Luce sempre accesa del Comune di Trieste, dopo Muggia e Trieste proseguirà per altri luoghi della regione.
Un destino quasi scontato
“In quegli anni si andava a fare il poliziotto perché non avevi un mestiere, poi c’era chi lo sbirro lo voleva fare sul serio” recita Cembran dal palco sulle note di una psichedelica “Atom Heart Mother” dei Pink Floyd, quasi ad anticipare la drammatica fine di Cosina. Destino quasi scontato a seguire le orme del padre che sotto il GMA era stato “cerin”. La famiglia nel ‘54 si era trasferita ad Adelaide in Australia, vita dura quella del padre Massimo che metteva i binari della ferrovia nei deserti. Vi ricordate quel famoso film con Claudia Cardinale e Alberto Sordi? Poi le cose migliorarono, ma nati i tre figli di cui ultimo Eddie, nel 1961, dovettero tornare in Italia, a Muggia, non senza qualche rimpianto.
Sulle note di “Yesterday” dei Beatles i tre attori in scena Michela Cembran, Pierluca Famularo e Raffaele Sincovich raccontano dei primi anni di sport, nel basket, dove Cosina mostra una maturità superiore agli altri atleti. Siamo ormai alla metà degli anni Settanta e l’attore in dialetto dice “tutti faseva radio in quei anni” e anche Cosina fa parte di Radio Nord Adriatico, ma intanto frequenta l’Istituto Galvani, per entrare successivamente in Polizia. Le foto della sua giovinezza scorrono sul fondo del palco. Un gruppo rock della scuola di musica esegue brani iconici degli anni ‘70 e ‘80, come quelli di Pink Floyd, The Beatles, Europe, Bob Dylan e Vangelis, le sonorità dei suoi anni di giovinezza.
Un amico con la A maiuscola
Il padre farà appena in tempo a partecipare al giuramento, morirà poco dopo d’infarto. Eddie è rimasto l’unico uomo in famiglia a doversi prendere cura di madre e sorelle. Gli attori raccontano gli aneddoti di quegli anni, l’auto in panne mentre andava con gli amici a Milano a vedere Inter-Milan. Suonano le note di “Final Countdown” degli Europe, ci stiamo avvicinando agli anni che determineranno la sua sorte. Nel 1984 la scuola degli agenti di scorta in Sardegna, nel 1989 nella Digos (antiterrorismo). Raccontavano gli amici che si portasse sempre addosso il lavoro. Le spalle al muro, guardando l’ingresso, nei luoghi pubblici, ma per loro era sempre un amico con la A maiuscola, generoso e altruista. Si ritrovavano di sera al giardineto de Muja, quello che oggi è a lui intitolato. Andavano in discoteca, si divertivano come tutti i loro coetanei. Anche i colleghi lo trovavano speciale, empatico, autorevole ma non autoritario. Siamo arrivati agli anni della mafia stragista.
Nel 1991 Falcone crea la DIA, ed è proprio quando il magistrato salta per aria a Capaci, il 23 maggio 1992, Cosina entra a far parte della scorta di Paolo Borsellino. È secondo nella lista, ma sceglie di partire per primo per permettere di restare al collega che ha appena avuto un figlio: la sua condanna a morte. “Certo che ho paura, è come camminare tra la vita e la morte su un filo sottilissimo”, dirà in quel tempo. Non racconterà ai familiari del suo pericoloso incarico. “Mi sentivo parte del rinnovamento di Falcone e Borsellino, per proteggere i miei valori”.
Tragico finale
Sono passati trent’anni dalla strage di via D’Amelio a Palermo il 19 luglio 1992, di quell’atto criminale si conosce il braccio armato, ma i mandanti non sono ancora stati condannati. Si tratta di tenere viva la memoria di Eddie Walter Max Cosina e dei tanti morti ammazzati nelle stragi di mafia, che non sono stati numeri ma persone.
Le note di Schubert dalla Deutsche Messe, cantate dall’ensamble corale “Scherzi armonici” dell’ARIS di Trieste, accompagnano il tragico finale quasi come un’orazione funebre. La sezione foto e video è stata curata da Edoardo Milani.
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