Come l’informazione modella le menti

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David Colon, docente di Storia della comunicazione, media e propaganda presso Le Centre d’Histoire de Sciences Po di Parigi, ha dedicato al tema dell’informazione un libro di perturbante attualità. Nel suo titolo e sottotitolo è espressa la questione: La guerra dell’informazione. Gli stati alla conquista delle nostre menti (trad. it. di Chiara Stangalino, Einaudi 2024, pp. 378). Il ponderoso saggio/miniera, dato originariamente alle stampe nel 2023, ci aiuta a capire quali sono i problemi all’ordine del giorno. Nel corpo dell’opera figurano cinque termini zenitali: guerra / informazione / stati / conquista / menti. Prendiamoli a uno a uno, per provare a orientarci nella selva di dati, sigle, citazioni di cui pullula questo volume, che intende fare luce aprendo le menti, e rischia invece di creare una nuova forma di cecità, quella di chi, travolto da una slavina, chiude gli occhi perché la morte che arriva, presumibilmente inevitabile, forse è meglio non guardarla dritta in faccia.

Guerra, dunque, come stato di belligeranza aperta, in cui non possono esserci che un vincitore e un vinto, ma in cui le regole del gioco sono sempre più sofisticate e mutagene e i colpi sempre più bassi, sregolati, volutamente imprevedibili e soprattutto virtuali, molto virtuali. La guerra la fanno i padroni del mondo o gli aspiranti tali, perlopiù evitando le alleanze, le mediazioni, i negoziati. Per Colon – con buona pace di alcune evidenze – la posta in gioco è sempre la stessa: dittature vs democrazie. La questione tuttavia non sembra essere esattamente questa, bensì che tanto le prime quanto le seconde ricorrano senza colpo ferire a una nuova tecnologia dell’informazione, che per brevità chiameremo di gaslighting, mirata a far credere ciò che non è, a spaventare, intimorire, persuadere, pietrificare la facoltà di pensare e la capacità critica, manomettere i fondamenti cognitivi, ingannare, bypassare il reale, imporre il regime subdolo dell’immaginario, confondere il vero con il falso e così via.

Il drone, disincarnata macchina della visione, è – metaforicamente parlando – lo strumento perfetto delle sempre più asimmetriche guerre contemporanee e della deresponsabilizzazione o delega assoluta cui esse stanno riducendo, o forse hanno già ridotto, il sapiens.

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Informazione. Sì, per Colon, oggi, gli strumenti principe della guerra sono la manomissione dei dati, la costruzione di fake news ad alto contenuto persuasivo, la fiction assunta a tecnica documentale, la fabula al posto dell’inchiesta. La guerra dell’informazione genera mostri e al contempo ridisegna l’ordine mondiale, cancellando l’idea stessa di verità e dei suoi correlativi oggettivi. «In ultima analisi», scrive a pagina 93 l’autore, «non c’è niente di più semplice per perseguire interessi particolari che far filtrare dati attraenti ma inaffidabili nella fabbrica dell’informazione, senza che nessuno li controlli mai». Ma il giornalismo senza la verifica dei fatti, ricorda immediatamente dopo citando il giornalista investigativo, scrittore e documentarista britannico Nick Davies, «è come un corpo umano senza sistema immunitario».

Stati. Nell’analisi di Colon aleggia la figura spettrale dello Stato, nel senso classico di Stato-nazione costituito prevalentemente da una comune e omogenea entità culturale o etnica. Sarebbero questi stati caratterizzati da un’identità linguistica e valoriale a operare in veste di conquistatori nei confronti delle nostre ‘menti’, ma la loro sarebbe una funzione di pura facciata o di schietto vassallaggio. I protagonisti della ‘guerra di conquista’ di cui parla Colon non sono genericamente gli stati, bensì alcuni stati: Russia, Cina, Iran, Stati Uniti, Inghilterra, Israele e, lievemente nell’ombra, la Francia. Sopra o dietro a essi una rete di criptopoteri flessibili e sfuggenti, perlopiù privati, cui i suddetti stati affidano o non possono non affidare la propria economia, la difesa dei propri confini, la sicurezza del proprio territorio nel quadro dell’ordine geopolitico che va rapidamente ridisegnandosi.

Conquista. «Nel 2020», leggiamo a pagina 329, «Guo Yunfei, presidente dell’Università di ingegneria dell’informazione delle forze di supporto strategico del pla (l’esercito della Repubblica Popolare Cinese e del Partito Comunista Cinese), afferma che il dominio cognitivo sarà la “vittoria finale nel confronto militare tra le grandi potenze”». In altre parole, chiosa Colon, «il cervello umano sarà il campo di battaglia della guerra futura». Si tratterà di una conquista di ordine militare, ma avrà come proprio territorio fisico non più, o non più solo, i corpi e la loro tenace e fragilissima materialità, bensì la nostra libera capacità di pensiero, di memoria e immaginazione. La pace moderna ci ha abituati a modulare il nostro pensiero sulle opinioni delle maggioranze, a piegare i nostri desideri e i nostri sogni al Sogno imbandito dai pifferai del consumo illimitato, a scambiare l’essere con l’avere – la propaganda e la pubblicità non sono forse state la migliore cartina al tornasole dell’habitus contemporaneo? Colon tuttavia parla di qualcosa di molto diverso e di infinitamente più terrificante: l’induzione di un non-pensiero che sfocerà, e sta già sfociando, in una serie di automatismi, di dipendenze da quel nulla siderale che internet e i social ci rovesciano addosso di continuo, di inconsapevoli e inarrestabili analfabetismi di ritorno, di impigrimenti della funzione cerebrale. Un’erosione di massa di ciò che nel corso dei millenni ci ha resi capaci di modulare attivamente ragione e sentimento, pensiero ed emozione.

Menti. Nell’originale francese l’autore ha usato il termine esprit, lemma meno rigido e sbilanciato verso la funzione razional-cognitiva del sapiens. “Il campo di battaglia” definito da Colon è un’area complessa, sbaragliabile grazie ad atti di sedazione, distrazione, obnubilamento, saturazione, che a poco a poco spengono l’anima e la mandano in quella discarica del reale in cui sono finiti già da tempo i nostri corpi fisici. La guerra dell’informazione ha per target la nostra mente, perché senza la nostra provocata indifferenza, senza la nostra pressoché compiuta incapacità di ricordare, connettere e vigilare su ciò che sta avvenendo e potrebbe/dovrebbe non avvenire, senza la nostra sempre più fantasmatica interpretazione del mondo, non si potrebbero avvalorare le guerre classiche, quelle che uccidono, devastano, depauperano, spostano l’asse del potere mandando a gambe all’aria i principi del diritto internazionale e l’idea stessa di giustizia.

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Mentre scrivo queste note, 16 gennaio 2025, i media mondiali ci bersagliano con una “buona notizia”: l’accordo, se pur ancora vacillante, tra lo stato di Israele e il movimento politico palestinese di Hamas. La tregua annunciata (e relativo scambio di ostaggi e prigionieri) dovrebbe avere inizio domenica 19 gennaio, il giorno prima dell’Inauguration day, quando Donald Trump e la sua squadra si insedieranno alla Casa bianca per un secondo mandato presidenziale. Per i media, tuttavia, la vera notizia del giorno non è la tregua annunciata, bensì a chi la si debba: all’uscente Biden o all’entrante Trump? alla flemma del primo che da mesi si serve di inconcludenti vie negoziali o al bullismo del secondo che impone il suo diktat trattando la guerra guerreggiata come un business tra gli altri, senza infingimenti?

Vale la pena mettere a confronto le parole di Colon e quelle che Biden ha rivolto alla nazione e al mondo poco prima di lasciare la carica di Presidente degli Stati Uniti.

Colon: «Dalla fine della Guerra fredda e dall’ascesa di internet e dei media globali, la militarizzazione dell’informazione da parte degli Stati ha stravolto l’ordine geopolitico. La guerra dell’informazione, che contrappone Stati autoritari a regimi democratici, moltiplica i campi di battaglia e trasforma ogni cittadino in un potenziale soldato. Oggi più che mai, il potere degli Stati – in termini di hard power, soft power o sharp power – dipende dalla loro capacità di utilizzare i mezzi di comunicazione per esercitare influenza, ricorrendo alla guerra informatica, alla disinformazione o alle teorie cospirative. Nell’era dell’intelligenza artificiale e della guerra cognitiva, i social media sono il teatro di una “guerra in rete” spietata e senza fine, in cui sono in gioco le nostre menti».

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Biden: «Sono preoccupato per la potenziale ascesa di un complesso tecnologico-industriale che può rappresentare seri pericoli anche per il nostro paese. Gli americani vengono seppelliti da una valanga di disinformazione e di propaganda che consente l’abuso di potere. La stampa libera sta crollando. Gli editori stanno scomparendo. I social media stanno rinunciando al controllo dei fatti. La verità viene soffocata dalle bugie, dette per potere e per profitto. Dobbiamo rendere le piattaforme social responsabili per proteggere i nostri figli, le nostre famiglie e la nostra stessa democrazia dall’abuso di potere.»

E se le cosiddette masse, benché prone ai giochini e agli irresistibili mini-video di TikTok – secondo Colon, “l’arma informativa più formidabile mai concepita” – non fossero poi così sedate come proprio i media sembrano interessati a farci credere? Se ci fosse, nel loro e nostro passivo agire, un uso parziale alternativo delle armi altrui? C’è, nella pagina finale di La guerra dell’informazione, un aneddoto straordinario, che ci catapulta nel territorio super promettente dell’imprevedibile: «Nel marzo del 2023 il gruppo norvegese Nammo, uno dei maggiori produttori europei di munizioni, ha espresso preoccupazione per il fatto di non poter espandere la propria fabbrica perché un nuovo centro dati per TikTok stava consumando tutta l’elettricità disponibile nella regione».

Pensate, la crescita futura di un produttore di materiale bellico «messa a repentaglio dallo stoccaggio di video di gatti». Da che parte schierarsi in questo match?

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   Le munizioni di medio calibro fornite da Nammo.  

In copertina, TikTok Kittens.



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